E' morta Sabrina Minardi, la fantasiosa supertestimone del sequestro Orlandi
Grazie alle sue dichiarazioni nel 2008 venne aperta una seconda inchiesta sulla scomparsa della giovane cittadina vaticana, Emanuela Orlandi, avvenuta nel 1983.
"È morta serenamente come chi sa di aver detto la verità" ha scritto la giornalista Raffaella Notariale in un post su Facebook in cui ha dato la notizia della morte di Minardi, con cui aveva scritto il libro "Segreto criminale".
"Si è spenta dopo essere stata dal parrucchiere, si era fatta bionda e bella perché aspettava i suoi affetti più grandi - ha aggiunto - È morta nel sonno, Sabrina... e a me dispiace umanamente e professionalmente. Non uno, ma mille gli spunti che ha offerto e che i più non hanno voluto cogliere. Non ultima la Commissione d'inchiesta sul caso di Emanuela Orlandi... Cosa aspettavate, Vossignori?"
La giornalista è generosa con l'amica. In realtà Minardi, fortemente dipendente della cocaina, è una testimone assai fantasiosa. Ce lo spiega, nel libro "Emanuele Orlandi. La verità", Pino Nicotri, massimo esperto tanto della vicenda della ragazza scomparsa quanto della banda della Magliana
Vediamo ora da vicino cosa ha detto Sabrina Minardi, che guarda caso parla anche di una Bmw. Ovviamente è sottinteso che sia quella Bmw…
Il 22 giugno 2008 è il 25esimo anniversario del «rapimento». Come per incanto a Roma ricompaiono i manifesti di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori di un quarto di secolo prima, per opera delle sorelle delle due ragazze scomparse, e il giorno dopo le agenzie di stampa sparano indiscrezioni di una precedente deposizione davanti ai magistrati dell’ex amante di Renatino. Ecco per esempio come ne parla il lancio dell’agenzia Agi:
ORLANDI: TESTIMONE, LA CONSEGNAI A UN SACERDOTE; ERA INTONTITA = (AGI) – Roma, 23 giu. – «Io arrivai lì al bar Gianicolo con una macchina – racconta. Poi Renato, il signor De Pedis, con cui in quel tempo avevo una relazione, mi disse di prendere un’altra macchina, che era una Bmw e di accompagnare… Cioè arrivò questa ragazza, una ragazzina, arrivò questa ragazza e se l’accompagnavo fino a sotto, dove sta il benzinaio del Vaticano, che ci sarebbe stata una macchina targata Città del Vaticano che stava aspettando questa ragazza. Io l’accompagnai: così feci. Durante il tragitto… non so quanto tempo era passato dal sequestro di Emanuela Orlandi… la identificai come Emanuela Orlandi… Era frastornata, era confusa ’sta ragazza. Si sentiva che non stava bene: piangeva, rideva. Anche se il tragitto è stato breve, mi sembra che parlava di un certo Paolo, non so se fosse il fratello. Va be’, comunque, io quando l’accompagnai c’era un signore con tutte le sembianze di essere un sacerdote, c’aveva il vestito lungo e il cappello con le falde larghe. Scese dalla Mercedes nera, io feci scendere la ragazza: “Buonasera, lei aspettava me?”. “Sì. Sì, credo proprio di sì”. Guardò la ragazza, prese la ragazza e salì in macchina sua. Poi, io, dopo che avevo realizzato chi era, dissi, quando tornai su, a Renato: “A’ Rena’, ma quella non era…” Ha detto: “Tu, se l’hai riconosciuta è meglio che non la riconosci, fatti gli affari tuoi”».
Come si vede, se Emanuela «non stava bene», a giudicare dall’eloquio non è che Sabrina Minardi durante il racconto stesse meglio. Tralasciamo il far comparire con nonchalance la Bmw, il problema è che l’amante di De Pedis dice «la identificai come Emanuela Orlandi». E come ha fatto a identificarla? Le ha chiesto il nome e cognome? Le ha chiesto i documenti? S’era impressa nella mente le vecchie foto sui giornali, lei che era sempre strafatta di cocaina?
Lo stesso giorno del lancio dell’Agi le edizioni on line dei quotidiani sono più generose, danno più particolari. La confusissima Minardi è promossa a tamburo battente «supertestimone» e viene portata sugli scudi. Nell’Italia berluscona e veltrona «se po’ fa’» ormai anche questo. Vediamo l’articolo di www.repubblica.it che riassume il tutto punto per punto e ha il pregio di dire una castroneria madornale, imperdonabile, e una forse veniale. Quella madornale è che ipotizza la consegna di Emanuela al sacerdote da parte della Minardi come avvenuta «forse durante il rapimento», cioè come suo fine! Quella forse perdonabile è che fa parlare «la sorella» di Emanuela, ma non dice quale delle tre: in ogni caso, è bene tenere a mente cosa dice «la sorella», perché in un’altra intervista dirà l’esatto contrario. Miracoli vaticani? Come che sia, ecco i passi salienti dell’articolo di Marino Bisso e Giovanni Gagliardi:
Emanuela Orlandi sarebbe stata prelevata da Renatino De Pedis su ordine di monsignor Marcinkus, all’epoca presidente dello IOR. Lo rivela Sabrina Minardi, la supertestimone che per anni fu l’amante del boss della banda della Magliana Enrico De Pedis, detto Renatino. La ragazza, dice Minardi, sarebbe poi stata uccisa e gettata in una betoniera a Torvajanica. E le sue dichiarazioni portano a nuove indagini.
«Nel sacco anche un bambino». «Successe tutto a Torvajanica», ha ricordato Sabrina Minardi, durante un colloquio con i dirigenti della Squadra Mobile, avvenuto il 14 marzo scorso. «Con Renatino, a pranzo da Pippo l’Abruzzese, arrivò Sergio, l’autista, con due sacchi. Andammo in un cantiere, io restai in auto: buttarono tutto dentro una betoniera. Così facciamo scomparire tutte le prove, dissero». In uno di quei sacchi c’era il corpo di Emanuela Orlandi e nell’altro, sostiene la donna, un bambino di 11 anni ucciso per vendetta, Domenico Nicitra, figlio di uno storico esponente della banda.
Date contrastanti. La testimone sostiene di essere stata la compagna del boss della Magliana tra la primavera dell’82 e il novembre dell’84. Emanuela Orlandi scomparve il 22 giugno dell’83, ma Domenico Nicitra, il bambino ucciso, morì dieci anni dopo, il 21 giugno 1993, quando De Pedis era già morto (fu ucciso all’inizio del 1990). Forse la confusione sulle date è colpa degli psicofarmaci e della droga di cui la testimone ammette di aver fatto uso per anni. Ma le dichiarazioni rese ai magistrati restano sufficientemente circostanziate e tali da giustificare un supplemento di indagini.
«Consegnai Emanuela a un sacerdote». La donna racconta di aver accompagnato con la sua macchina Emanuela Orlandi [forse durante il rapimento, ndr] e di averla consegnata a un sacerdote. Accadde sei, sette mesi prima – dice – della tragica esecuzione della figlia del commesso della Casa Pontificia. «Arrivai al bar del Gianicolo in macchina (…) Renatino mi aveva detto che avrei incontrato una ragazza che dovevo accompagnare al benzinaio del Vaticano. Arriva ‘sta ragazzina: era confusa, non stava bene, piangeva e rideva. All’appuntamento c’era uno che sembrava un sacerdote: scese da una Mercedes targata Città del Vaticano e prese la ragazza. A casa domandai: A Renà, ma quella non era… Se l’hai conosciuta, mi rispose, è meglio che te la scordi. Fatti gli affari tuoi».
La testimone specifica, inoltre, che lei e De Pedis arrivarono al bar Gianicolo a bordo di una A112 bianca, di proprietà della donna. «Renato e Sergio me la misero [la ragazza, ndr] in macchina, più che Renato, Sergio prese la ragazza dalle mani di questa signora e la accompagnò nella mia macchina. Poi, io salii in macchina e andai. Mi dissero che alla fine di quella via c’era questo signore che l’aspettava».
La prigione. Emanuela Orlandi sarebbe stata tenuta [durante il rapimento, ndr] in un’abitazione, vicino a piazza San Giovanni di Dio, che aveva «un sotterraneo immenso che arrivava quasi fino all’ospedale San Camillo», ha aggiunto la Minardi. Di lei si sarebbe occupata la governante della signora, Daniela Mobili. Secondo la testimone, la Mobili, sposata con Vittorio Sciattella, era vicina a Danilo Abbruciati, il killer della Banda della Magliana freddato nell’82 durante il fallito agguato a Roberto Rosone, vicepresidente del Banco ambrosiano.
Monsignor Marcinkus. Emanuela Orlandi sarebbe stata prelevata da Renatino De Pedis su ordine di monsignor Marcinkus, che fu presidente dello IOR, la banca del Vaticano, dal 1971 al 1989. Marcinkus è morto il 20 febbraio 2006 a Sun City, in Arizona. Alla specifica domanda dei magistrati, tramite chi Renato fosse stato delegato a prendere Emanuela, la donna risponde: «Tramite lo IOR… Quel monsignor Marcinkus… Renato ogni tanto si confidava». Sulle motivazioni del sequestro: «Stavano arrivando secondo me sulle tracce di chi… perché secondo me non è stato un sequestro a scopo di soldi, è stato fatto un sequestro indicato. Io ti dico monsignor Marcinkus perché io non so chi c’è dietro… ma io l’ho conosciuto a cena con Renato… hanno rapito Emanuela per dare un messaggio a qualcuno».
La testimone sottolinea di non sapere chi materialmente prese Emanuela: «Quello che so è che [la decisione, ndr] era partita da alte vette… tipo monsignor Marcinkus… È come se avessero voluto dare un messaggio a qualcuno sopra di loro. Era lo sconvolgimento che avrebbe creato la notizia». La donna fa un paragone con la morte di Roberto Calvi: «Gli hanno trovato le mani legate dietro, perché tu mi vuoi dare un messaggio». In un colloquio successivo, il 19 marzo, la donna aggiunge: «Renato, da quello che mi diceva, aveva interesse a cosare con Marcinkus perché questi gli metteva sul mercato estero i soldi provenienti dai sequestri».
Le ragioni del rapimento. La teste, sentita successivamente dal procuratore aggiunto Italo Ormanni e dai pm Andrea De Gasperis e Simona Maisto, ipotizza come ragione della scomparsa della giovane una «guerra di potere»: «Io la motivazione esatta non la so – dice ai magistrati – però posso dire che con De Pedis conobbi monsignor Marcinkus. Lui era molto ammanicato con il Vaticano, però i motivi posso immaginare che fossero quelli di riciclare il denaro. Mi sembra che Marcinkus allora era il presidente dello IOR… però sono ricordi così. Gli rimetteva questi soldi… Io a monsignor Marcinkus a volte portavo anche le ragazze lì, in un appartamento di fronte, a via Porta Angelica… Sarà successo in totale quattro o cinque volte, tre-quattro volte… Lui era vestito come una persona normale».
Sabrina Minardi, rispondendo ai magistrati, precisa che le modalità con cui avvenivano questi incontri erano diverse da quelle riferite sull’episodio del Gianicolo. «Mi ricordo che una volta Renato portava sempre delle grosse borse di soldi a casa. Sa, le borse di Vuitton, quelle con la cerniera sopra. Mi dava tanta di quella cocaina, per contare i soldi dovevo fare tutti i mazzetti e mi ricordo che contò un miliardo e il giorno dopo lo portammo su a Marcinkus».
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