Magma, per chiudere il discorso su fantasy e complotti
Più che un “MAGMA” una bella poltiglia!
Lunedì 10 febbraio è stato trasmesso su LA7 un recente documentario dal titolo “Magma. Mattarella, il delitto perfetto”, nell’ambito della trasmissione “La torre di Babele” condotta da Corrado Augias, il quale aveva promosso con alcuni spot la puntata, chiedendo espressamente con aria solenne allo spettatore: “Quale filo unisce tra loro gli omicidi di Mattarella, Aldo Moro, Vittorio Bachelet e la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980?”.
Diretto dall’esordiente Giorgia Furlan, la quale ha spiegato, in un’intervista al TGR Veneto, che: “E’ una citazione di Licio Gelli e la P2. L’apertura al comunismo, al PCI, era sostanzialmente la politica di Moro, di Mattarella, ma anche di Reina, un politico della DC siciliana che viene citato nel film e che pure voleva aprire al PCI, insomma è una coincidenza particolare che tutte queste persone siano state messe fuori dai giochi in questa maniera”.
Tornando alla domanda di Augias, ben pochi fili, verrebbe da dire, posto che si tratta di quattro episodi che non c’entravano assolutamente nulla l’uno con l’altro, se non il fatto che a compiere il secondo e il terzo omicidio furono le Brigate Rosse (seppur in ben diversi contesti), ma sta di fatto che il “Magma” del titolo si trascina con sé un po’ di tutto, le “coincidenze” diventano misteri irrisolti, e così, scrive Daniela Catelli nella presentazione del film su “Comingsoon” che: “Si parla di un'Italia dilaniata dalle bombe e da trame segrete, sotto attacco da parte di chi non poteva accettare un'alleanza tra le frange più aperte della Democrazia Cristiana e il Partito Comunista (gli Stati Uniti in primis). E di chi si fece strumento, consapevole o meno, di un attacco alla democrazia senza precedenti nella nostra storia recente”.
In tal modo, e nonostante la stessa Rosy Bindi, presente tra gli ospiti, ci tenga a ricordare che non esistono “prove” in tal senso, lo spettatore viene indotto a credere che proprio perché non si sono mai trovate quelle prove che unirebbero quei quattro fatti in un unico disegno eversivo, ci sia stato “dietro” qualcuno interessato a “eliminare dai giochi” il glorioso PCI di Berlinguer, con tutto quanto di drammatico per la nostra democrazia, questo avrebbe comportato nei successivi 40 anni.
E poiché l’attribuzione alla mafia dell’assassinio di Mattarella a Palermo (6 gennaio 1980), alle BR degli omicidi Moro (9 maggio 1978) e Bachelet (12 febbraio 1980) e ai NAR della Strage di Bologna (2 agosto 1980) non “soddisfa” tale ricostruzione, posto che un collegamento Mafia/BR/NAR non è mai stato minimamente neppure adombrato in tutti questi anni, ecco che si riprende la tesi, già smentita in via giudiziaria, che a compiere l’omicidio Mattarella sarebbero stati quei NAR giudicati colpevoli per la strage di Bologna, strumenti, neppure si sa quanto inconsapevoli o meno, al pari delle BR con Moro e Bachelet, del piano eversivo di Gelli e compagnia cantante, volto a escludere il PCI con l’appoggio esterno degli alleati americani fedeli al Patto di Yalta.
E via con i soliti “misteri” irrisolti sul caso Moro che puntualmente al termine della visione del documentario mi sono sentito obiettare anche da persone tutt’altro che sprovvedute e che stimo.
Per la cronaca. è un falso storico tanto il fatto che Moro fosse favorevole al compromesso storico proposto da Berlinguer nei tre articoli pubblicati su “Rinascita” all’indomani del colpo di Stato cileno del 1973, come risultava evidente dal suo discorso programmatico al IV Governo l’anno dopo nel dicembre del 1974, in cui aveva espressamente definito: “la proposta berlingueriana una nuova anomalia del caso italiano, un deformante aggiungersi della componente comunista alle altre già impegnate a governare il paese”.
Come pure è un falso storico attribuire al compromesso storico il movente politico del sequestro del Presidente della DC ad opera delle BR di 5 anni dopo, perché fu progettato per “fare il processo a un alto dirigente DC” mentre era in corso a Torino quello ai militanti BR in prigione e ottenere in cambio il rilascio di alcuni di loro, come ampiamente dichiarato da tutti, prova ne sia che prima di optare per Moro, le BR avevano verificato la possibilità di sequestrare Andreotti e Fanfani, scartati solo per ragioni logistiche, perché abitavano in centro, mentre Moro proveniva dal quartiere Trionfale, e del resto fu lo stesso Moro a scrivere nella sua prima lettera dalla prigione di via Montalcini: “Mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato”, a significare che dietro le BR c’erano solo le BR.
Così pure Bachelet fu colpito due anni dopo in quanto vice-Presidente del CSM quando era in pieno corso la campagna contro le carceri speciali, la magistratura e l'annunciata legge sui pentiti, e non certo per dispetto a Berlinguer (Pertini disse che era un attacco a lui quale Presidente CSM).
Quanto all’omicidio Mattarella, per il quale i NAR sono già stati a suo tempo processati e assolti, proprio da recenti notizie di stampa, si apprende che il 6 gennaio 2025 la Procura di Palermo avrebbe recentemente indentificato “due persone indicate come i sicari del politico democristiano”, uno dei quali sarebbe stato il boss mafioso Nino Madonia, il quale peraltro, secondo quanto riferito dal pentito Francesco Di Carlo, somigliava molto a Valerio Fioravanti, anche a detta di Bernardo Brusca, con il quale i due commentarono “una foto apparsa sui giornali del terrorista nero” (cfr. Sentenza Bologna).
Infine, sulla validità probatoria delle varie sentenze sulla strage di Bologna, che ogni anno sembrano volere riempire sempre di più quella piccola aiuola posizionata di fronte alla stazione passando quasi fosse un hully-gully da due a tre, quindi a quattro, e ora a cinque, chi travestito da tirolese e chi non si sa bene come sia capitato lì visto che non c’entrava nulla coi NAR (Bellini) mi sono più volte espresso, ma transeat. Per cui, in Italia va così, nulla da fare, non se ne esce, e a questo punto credo proprio che non se ne uscirà mai.
Cosa Falcone pensava di Volo
Io avrò la testa dura ma noto che prosegue imperterrita l’opera di “rilettura critica” del pensiero di Falcone tanto cara a Scarpinato e sempre dagli stessi giornali.
Questa volta è Stefania Limiti che ne scrive nel corpo di un articolo del Blog del Fatto quotidiano del 16 febbraio scorso dal titolo “Il ruolo di Gladio nel caso Moro: dai nuovi documenti una conferma ma poche certezze”.
L’articolo, di commenti ne susciterebbe tanti, ma a proposito di Alberto Volo riporta “con lui Giovanni Falcone parlò a lungo, e forse da quelle conversazioni radicò la sua convinzione della pista fascista dell’omicidio di Piersanti Mattarella”.
Va dato il merito alla giornalista di essersi almeno espressa in termini dubitativi, c'è il "forse".
Ma il lettore meno avveduto si immagina che Falcone conversasse con Volo, non che lo interrogasse, conversasse amabilmente. Li immagina entrambi in un bar a Palermo a “conversare” insieme dei massimi sistemi. Poi si alzano, le solite dispute per pagare, “no lascia stare, pago io”, “ma figurati! Che scherzi!” e poi ognuno per la sua strada con Falcone che si reca in Tribunale e dice: “ma sai che c’è? Mi sono fatto convinto che per Mattarella sono stati i neri!”.
E si, perché mica Falcone e i suoi colleghi avviano l’indagine perché il fratello di un terrorista, Cristiano Fioravanti (opportunamente imbeccato, si vedrà poi), accusa il fratello Valerio dell’omicidio… no, per la conversazione con Volo.
Ebbene, se dal romanzo si passa alle tristi carte giudiziarie si legge quello che Falcone pensava di Volo.
Questa volta è Stefania Limiti che ne scrive nel corpo di un articolo del Blog del Fatto quotidiano del 16 febbraio scorso dal titolo “Il ruolo di Gladio nel caso Moro: dai nuovi documenti una conferma ma poche certezze”.
L’articolo, di commenti ne susciterebbe tanti, ma a proposito di Alberto Volo riporta “con lui Giovanni Falcone parlò a lungo, e forse da quelle conversazioni radicò la sua convinzione della pista fascista dell’omicidio di Piersanti Mattarella”.
Va dato il merito alla giornalista di essersi almeno espressa in termini dubitativi, c'è il "forse".
Ma il lettore meno avveduto si immagina che Falcone conversasse con Volo, non che lo interrogasse, conversasse amabilmente. Li immagina entrambi in un bar a Palermo a “conversare” insieme dei massimi sistemi. Poi si alzano, le solite dispute per pagare, “no lascia stare, pago io”, “ma figurati! Che scherzi!” e poi ognuno per la sua strada con Falcone che si reca in Tribunale e dice: “ma sai che c’è? Mi sono fatto convinto che per Mattarella sono stati i neri!”.
E si, perché mica Falcone e i suoi colleghi avviano l’indagine perché il fratello di un terrorista, Cristiano Fioravanti (opportunamente imbeccato, si vedrà poi), accusa il fratello Valerio dell’omicidio… no, per la conversazione con Volo.
Ebbene, se dal romanzo si passa alle tristi carte giudiziarie si legge quello che Falcone pensava di Volo.
Mandato di cattura nei confronti di Fioravanti Cavallini del 19.10.89, capitolo su Alberto VOLO, (p.79) a firma di Falcone e colleghi.
“La palma del "migliore", se così si può dire, spetta certamente ad Alberto VOLO. Nei suoi racconti egli è capace di accomunare idee politiche e tarocchi, contatti con servizi segreti e vicende amorose. La vicenda nella quale è implicato esalta la sua mania di protagonismo. Vale la pena di rilevare immediatamente come il comportamento del VOLO in questo processo risponda a quel ruolo fantastico e delirante del quale l'imputato ha deciso di connotare ogni momento della sua esistenza. Basta al riguardo aver riferimento alla notazioni contenute nella sentenza 24.5.1977 della Corte di Appello di Palermo (con la quale il VOLO fu condannato per una rapina di assegni bancari che l'imputato "pretendeva" poi di rivendere); ovvero al la lettera anonima da lui spedita alla Questura di Palermo e nella quale si autoaccusava di far parte di organizzazioni eversive. Lettera il cui intento era quello di sollecitare gli inquirenti a "non trascurarlo" nell'ambito della indagine sulla strage di Bologna.”
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