Trent'anni fa l'omicidio di "Spagna", un delitto stupido e feroce
L’uccisione a Genova, il 29 gennaio 1995, dell’ultrà rossoblù Vincenzo «Spagna» Spagnolo, militante del centro sociale Zapata, fa giustizia di tanta facile sociologia e delle semplicistiche assimilazioni tra violenza ultrà e neofascismo militante. Il capo della banda, le Brigate rossonere 2, di cui faceva parte il giovanissimo assassino, Simone Barbaglia, è Carlo Giacominelli, trentun anni, laureato in economia e commercio, detto il «chirurgo» per la precisione delle pugnalate ai glutei. Comincia nelle Brigate rossonere, dove è schiaffeggiato per un ammanco di cassa. Vanta un arresto a Perugia nel 1983 per un accoltellamento e poi è coinvolto in una sparatoria per motivi di traffico. Nell’estate 1994 guida la scissione.
Ai giudici si dichiara leghista. Alcuni testimoni lo hanno visto in prima linea, altri lo avrebbero sentito minacciare Barbaglia: guai a te se fai il mio nome. Anche per Simone non ci sono precedenti politici, né riferimenti iconografici o di look. La sua microbanda è nota come «il gruppo del barbour», il giaccone griffato che è un must in discoteca: pischelli andati a Genova con i coltelli per guadagnare punti nel branco e ottenere l’ammissione nelle brigate. Così Simone finisce per ammazzare «Spagna» per paura, per inettitudine.
Nell’assalto il giovane milanista si trova in prima fila, sguaina l’arma ma si limita a colpire con un pugno l’avversario che indietreggia terrorizzato. Parte la controcarica dei genoani e il suo gruppo si ritira. Simone è attardato e ritira fuori il coltello ma l’autonomo non si spaventa. Tenta di disarmarlo, ma è colpito allo stomaco e muore. Gli scontri si trascinano fino a tarda sera. I settecento tifosi milanisti possono uscire dallo stadio solo dopo le 23.
Barbaglia racconterà ai giudici:
a quel punto potevo fare due cose: o continuare a scappare col mio coltello verso la curva sud, come stavano facendo molti altri del gruppo, oppure fermarmi anch’io vicino a Carlo e tirare nuovamente fuori il coltello. L’idea di farmi vedere da Carlo scappare e di dimostrargli che non avevo abbastanza coraggio per imitarlo mi era insopportabile, sarebbe stato umiliante per me.
Dopo una decina di arresti il cerino acceso resta in mano all’accoltellatore, scaricato dagli amici. Trenta dei trentaquattro imputati per rissa patteggiano grazie anche al risarcimento. Simone in primo grado se la cava con undici anni – e gli arresti domiciliari dopo diciassette mesi di carcere – ma in appello la corte riconosce il futile motivo, contro il parere del pg. La condanna a sedici anni e mezzo non prevede lo sconto per il rito abbreviato, ma solo le attenuanti generiche prevalenti. Troppo scarsi sono gli indizi per classificare le Brigate rossonere due come banda fascista: non bastano il grido «Boia chi molla» lanciato all’inizio della carica o il nome di battaglia del numero due, M. E., alias «Olaf», un altro figlio della buona borghesia del ponente savonese, un agente di commercio che la domenica smette il doppiopetto e si diletta con il bastone animato. Il nome da vichingo evoca la mitologia nordica cara ai picchiatori neri, adusi a caricare martello in pugno invocando Odino.
I leader trentenni coltivano la violenza nel gruppo e il raid è stato programmato in birreria: ma il pm, dopo aver adombrato l’istigazione per Giacominelli, che ha fermato il succubo Barbaglia e lo ha spinto a reagire contro il genoano che avanzava, conclude che solo l’aggressione era premeditata e quindi i capibanda devono rispondere di rissa aggravata. Gli Spagnolo non ci stanno e accusano: hanno trattato al ribasso, pensano di cavarsela con dieci milioni a testa.
L’opposizione del pm fa saltare il disegno difensivo: il pavese P. D., un precedente per tentato omicidio, e M.E., che deve rispondere anche di detenzione d’arma, sono condannati a due anni e due mesi. Giacominelli non sarà né indagato né condannato per il fatto. Alla fine Barbaglia, condannato definitivamente a quattordici anni e otto mesi, grazie all’indulto, finisce di scontare la pena nell’autunno 2007 proprio quando le due squadre si reincontrano di nuovo, dopo dodici anni, nel campionato di serie A (ma il rendez-vous tra le tifoserie sarà rigorosamente scongiurato).
La verità dolorosa è che nella catastrofe dell’umano degli anni Novanta certe curve di stadio, come molte piazze, sono diventate i catalizzatori di una violenza sociale profonda che solo occasionalmente, e talvolta per caso, assume i caratteri propri della violenza fascista. Certo, mentre l’hooliganismo britannico è legato a quello che è stato chiamato lo «stile maschio violento» e forte è il legame tra club calcistici e working class, in Italia il fenomeno ha più evidenti connotati imitativi della realtà dei movimenti politici:
il gruppo ultrà, che pure nasce risentendo del modello hooligan inglese, è, nella sua composizione sociale, tendenzialmente più interclassista (rilevante, tra l’altro, è la presenza femminile al suo interno) e coniuga al tipico ribellismo giovanile una vocazione politica antisistema, maturata dai gruppi politici estremisti che in quegli anni in Italia occupavano le piazze e fornivano un ottimo esempio di spirito di gruppo, durezza e compattezza. Questa caratteristica peculiare contribuisce a far sì che il movimento ultrà mutui dalla sfera politica modi di agire e forme di organizzazione e si doti di strutture stabili e complesse.
Trent'anni dopo
Trent'anni dopo dei due coimputati condannati con Barbaglia si sono perse le tracce e quindi riconosciamo il loro diritto all'oblio, mentre il "chirurgo" continua ad avere cattive frequentazioni, come emerge nella recente inchiesta giudiziaria contro gli impicci criminali dei leader ultras milanesi:
Lucci davanti al suo bar incontra anche Carlo Giacominelli già capo delle Brigate rossonere e soprannominato “il chirurgo” per la sua abilità con il coltello. Ricorda la Procura: “Nel 1983 Giacominelli è stato arrestato per rissa durante gli scontri tra tifosi dopo la partita Perugia-Milan. Il 29 gennaio 1995 partecipò agli scontri svoltisi a Genova tra tifosi genoani e milanisti prima della partita Genoa-Milan, a seguito dei quali perse la vita il tifoso genoano Vincenzo Spagnuolo”. Oggi fa il commercialista: risultano suo consulenze per la Lega...
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