Acca Larentia e Fausto e Iaio: Michela Ponzani colpisce ancora
L'omaggio del vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, ai morti di Acca Larentia. Per l'occasione il leader di Fratelli d'Italia ha ribadito la distanza politica tra il suo partito e chi celebra il ricordo con il rito del "presente" e il saluto romano.
Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni. È il 7 gennaio 1978 quando tre giovani missini iscritti al Fronte della gioventù, vengono uccisi in un agguato organizzato dai Nuclei armati per il contropotere territoriale (Recchioni, militante della sede di Colle Oppio, è vittima della pallottola di un capitano dei carabinieri, intervenuti a sedare la protesta dei giovani neofascisti davanti alla sede del Msi). L’obiettivo è colpire Acca Larentia, la sezione del Movimento sociale italiano nel quartiere Tuscolano a Roma. Gli assassini non verranno mai individuati. Ma la morte dei tre ragazzi è un delitto che va pagato con altro sangue.
Così comincia l'editoriale di Michela Ponzani su Repubblica online: Il culto nero di Acca Larentia. Due errori in otto righe sono parecchi per una storica accreditata. Le verità incontroversa è che nell'agguato dei NACT sono ammazzati due giovani neofascisti e non tre. Quanto a Recchioni, ferito nel corso di scontri con le forze dell'ordine qualche ora dopo l'attentato (e morto due giorni dopo), è stato ucciso da una pistolettata che - secondo il magistrato inquirente - non sarebbe neanche stata sparata dalle forze dell'ordine. Esistono perciò numerosi giudicati in favore del "capitano dei carabinieri" accusato di aver ucciso il giovane militante di Colle Oppio. Effettivamente Eduardo Sivori sparò con l'arma di un subalterno verso i giovani missini che protestavano rabbiosamente per la strage. Perché si era inceppata la sua pistola. Ma la perizia balistica ha escluso che da quella Beretta cal. 92 9x21 sia partito il colpo mortale. E quindi al proscioglimento in istruttoria hanno fatto seguito numerose vittorie dell'ufficiale nelle cause per diffamazione contro chi è rimasto fermo alla cronaca del giorno senza seguire gli esiti della vicenda processuale. E non è tutto.
Ma la ricerca di una pacificazione non può lasciare spazio a sentimenti nostalgici mai sopiti, che ancora offuscano il giudizio sui tanti fatti di sangue. Vite spezzate dal piombo, come quella di Danila, madre di Fausto Tinelli ammazzato il 18 marzo 1978 a Milano in mezzo alla strada, insieme al suo amico Lorenzo Iannuzzi (Iaio), da un commando dei Nar appositamente venuto da Roma.
Ci fa piacere che in qualche modo Ponzani riconosca la cantonata presa in un precedente editoriale (su Sergio Ramelli e la memoria), laddove aveva collegato il duplice omicidio milanese al covo di Montenevoso. Ma in questo caso siamo in presenza di un'altra forzatura della verità giudiziaria e storica. Perché così come il capitano Sivori non è mai stato imputato per l'omicidio di Stefano Recchioni, per i due compagni del Leoncavallo i militanti dei Nar non hanno superato lo status di indagati. Nella sentenza ordinanza che conclude la sua inchiesta, il giudice Guido Salvini afferma la sua certezza di aver circoscritto la responsabilità del fatto ai Nar ma dichiara il non luogo a procedere. E quindi no, non si può dire che a uccidere Fausto e Iaio siano stati terroristi neofascisti romani.
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