Le panzane di Angelo Izzo e i silenzi del colonnello Giraudo
Per essere un esperto di terrorismo di estrema destra e un ufficiale di polizia giudiziaria impegnato in migliaia di interrogatori sulla strage di Brescia, il colonnello Massimo Giraudo, balzato agli onori della cronaca per lo scoop della Verità, rivela clamorose falle nella conoscenza di fatti essenziali e risaputi. E infatti impensabile che abbia consapevolmente lasciato passare senza contestazione le dichiarazioni palesemente false di "persona nei cui confronti vengono svolte le indagini", a cui all'inizio dell'interrogatorio sono ricordati le prescrizioni di cui all'art. 64 CPP:
a) quanto verbalizzato potrà sempre essere utilizzato nei suoi confronti;
b) ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso;
c) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono le responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall'art. 197 (procedimento connesso e reato collegato) garanzie di cui all'articolo 197 bis.
Il 22 novembre 2016 il colonnello interroga il detenuto Angelo Izzo, un collaboratore di giustizia abbondantemente screditato, atteso che, ottenuti i benefici di legge, ha reiterato il reato, anzi ha "migliorato la performance" passando da un omicidio e un tentato omicidio con violenza sessuale a un duplice omicidio, sempre di donne...
L'ufficiale gli lascia ampio spazio per reiterare accuse che non hanno avuto esito giudiziario. Non lo interrompe neanche quando lancia accuse di omicidio (che non hanno avuto neanche dignità di essere contestate in udienza preliminare) su fatti del tutto estranei alla strage di Brescia. Può essere una tecnica di interrogatorio e noi la rispettiamo. Il problema sorge però a questo punto.
Perché è notorio che Giancarlo Esposti lascia Milano immediatamente per andare incontro al suo destino. Ce lo racconta Nicola Rao, nella Trilogia della celtica:
Torniamo, dunque, alla chiesa rossa. Che dalla sera dell’8 maggio ospita altri tre camerati, anche loro nei guai. Sono il veronese Pierangelo De Bastioni, che è ricercato per aver sparato a un gruppo di compagni, e i triestini Gianfranco Sussich e Claudio Scarpa, a loro volta nel mirino della polizia.
La mattina del 9 maggio il risveglio per le truppe della chiesa rossa è traumatico. Orlando si precipita in via Airolo e urla a tutti di lasciare la casa: Jordan [Fumagalli, ndb] è stato arrestato e tra poco polizia e carabinieri saranno qui. Ma in via Airolo c’è anche un altro camerata: Gianni Colombo, grande amico di Luciano Benardelli (il bombardiere di Ordine Nero).
Sentiamo Danieletti:
Colombo un mese prima mi aveva ospitato a Piagnona, in Valsassina. Era successo questo: tornati alla chiesa rossa dopo le scorrerie pasquali a Santa Margherita, D’Intino e Vivirito erano andati su tutte le furie perché io e Rizzi avevamo contravvenuto alle regole di sicurezza che ci avevano imposto. Per di più avevano scoperto dai giornali il casino che era accaduto in Liguria, anche col nostro contributo. Così pensarono bene di cacciare Rizzi, considerato ormai irrecuperabile, e di mandare il sottoscritto in Valsassina per «rieducarlo». Così conobbi Colombo. Che in realtà è una strana figura. Credo che fosse un uomo di Degli Occhi e di Picone Chiodo e che il suo compito fosse, più che altro, di collegamento. Nel senso che informasse Degli Occhi di quel che combinava Benardelli...
Se così fosse, sono in molti in queste settimane a «controllare» gli attentati compiuti da Benardelli sotto le insegne runiche di Ordine Nero: in Abruzzo il capitano del Sid D’Ovidio e a Milano nientemeno che il capo politico del Mar, Degli Occhi. Torniamo a Danieletti:
Avevo conosciuto Giancarlo Esposti qualche giorno prima del 9 maggio. Me lo avevano presentato D’Intino e Vivirito. Certo, di nome lo conoscevo. Ma non di persona. Quella mattina, per motivi diversi, ci aggregammo tutti a Esposti che, a sua volta, dopo l’arresto di Fumagalli, aveva deciso di darsi alla latitanza. Mi sembra di ricordare che nemmeno lui conoscesse da molto Fumagalli. Ma rammento che ne aveva stima e riconosceva in lui l’uomo d’azione che comunque «faceva qualcosa». I sequestri di persona e le rapine per autofinanziamento, a differenza che dentro le Br, nell’estrema destra incontravano ostacoli e remore. Qualcuno, come D’Intino, auspicava questo salto di qualità, ma era solo teoria. Fumagalli, invece, metteva in pratica queste cose ed era questo che piaceva a Esposti.
Così, mentre i camerati del Triveneto scelgono altri rifugi, il gruppo dei neofascisti milanesi, confuso e impaurito, decide di salire sul carro di Esposti, forse il più prestigioso e carismatico camerata della città.
Sentiamo ancora Danieletti:
Quella mattina D’Intino e Vivirito non si sentivano più sicuri, benché non fosse stato spiccato nessun mandato di cattura contro di loro. Così preferirono aggregarsi a Esposti piuttosto che rischiare di restare a Milano. Nemmeno io potevo più restare nella chiesa rossa, perché dopo l’arresto di Fumagalli era evidente che un’irruzione delle forze dell’ordine sarebbe stata questione di giorni. Ed ero ricercato per tentato omicidio. Così mi unii a loro: non avevo alternative.
Prima di lasciare Milano, Esposti va a trovare l’avvocato Degli Occhi, il referente politico del movimento. Ma non per parlare di politica. Gli servono soldi, tanti soldi. Per pagarsi la latitanza.
In tutta evidenza è impossibile che Izzo e Viccei abbiano avuto il tempo di salire a Milano e incontrare Esposti ...
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