In ricordo di Marco Cochi: un militante dei Nar senza saperlo
AGGIORNAMENTO 22 FEBBRAIO
L'omaggio della curva giallorossa a Marco Cochi. a pochi giorni dalla scomparsa, in occasione della partita di Europa League Roma Feyenoord. Non so per chi tifasse Marco, ma sicuramente il fratello Alessandro, oggi delegato alle politiche sportive della Regione Lazio, è un noto ultrà laziale
È morto stamattina [il 19 febbraio] a Roma Marco Cochi, firma di lunga data di Nigrizia. Aveva sessant’anni e da mesi combatteva con una brutta malattia. Giornalista professionista, è stato analista per l’Africa Research Development Forum e l’Osservatorio ReaCT. Fondatore di Afrofocus.com e consigliere scientifico di Africana, ha scritto diversi libri dedicati all’Africa, sua grande passione insieme alla politica: L’ultimo mondo – L’Africa fra guerre tribali e saccheggio energetico (2006), Tutto cominciò a Nairobi (2018), Il jihadismo femminile in Africa (2021). Ha inoltre collaborato alla stesura del libro Il centravanti e La Mecca (2022), scrivendo un capitolo dedicato al rapporto tra calcio e jihad. Per Nigrizia è stato per molti anni prezioso collaboratore, in particolare per i suoi studi sull’universo jihadista nel continente. Lascia la moglie Barbara, i fratelli Alessandro e Fabio e il ricordo, tra i giornalisti e gli addetti del mondo universitario che lo conoscevano, di un professionista serio, sempre informato e appassionato del mestiere che faceva. I funerali saranno a Roma martedì 20 febbraio, alle 15, nella Basilica dei Santi Pietro e Paolo nel quartiere Eur.
Al ricordo di Nigrizia voglio accostare quello dell'Asi, l'associazione sportiva erede della Fiamma. Marco Cochi è stato una firma fissa della sua testata, Primato. Un evidente ossimoro giornalistico, che dà la misura della sua personalità solare e generosa
Marco, giornalista e scrittore, è stato responsabile dei progetti di cooperazione internazionale di Roma Capitale durante l’amministrazione di Alemanno ed era un grande appassionato di Africa, di cui conosceva ogni risvolto, sociale e politico, che espletava attraverso il suo blog AfroFocus. È stato, nel corso degli anni membro del consiglio scientifico di Africana, rivista di studi extraeuropei, Cambridge University Library. Ha realizzato progetti di ricerca a lungo termine per il Centro Militare di Studi Strategici del Ministero della Difesa, prestato la sua conoscenza agli studenti dell’ Università degli Studi Roma Tre e Link Campus University, Lumsa e altre. E tanto altro.
Soprattutto il curriculum non rivela il difficile percorso di riscatto che Marco ha attraversato nella sua vita, da militante che non si tirava indietro a intellettuale profondo e raffinato, sempre radicato negli stessi valori identitari e comunitari, che per lui valevano non solo per il popolo italiano ma per tutti i popoli della terra.
«Arrivarono verso le 14 e 30. Sordi era stato ferito ad una mano, impazziva dal dolore. Lo nascosi sulle scale, all’ultimo piano del palazzo, perché sanguinava e non volevo che mia madre lo vedesse. Corsi in farmacia a cercare qualcosa, poi mi resi conto che, ovviamente, a quell’ora erano ancora chiuse. Allora mi ricordai che mio nonno, nell’appartamento al piano di sotto rispetto al nostro, aveva della Nisidina, perciò andai a prenderla e la diedi a Sordi. Erano amareggiati, soprattutto preoccupati, perché si rendevano conto della gravità di quello che era successo e della reazione delle forze dell’ordine che ci sarebbe stata. E anch’io, devo dire, ero molto preoccupato: avere in casa due latitanti dopo un fatto del genere, uno dei quali per di più ferito, è un grosso ingombro…»
Al ricordo di Nigrizia voglio accostare quello dell'Asi, l'associazione sportiva erede della Fiamma. Marco Cochi è stato una firma fissa della sua testata, Primato. Un evidente ossimoro giornalistico, che dà la misura della sua personalità solare e generosa
Marco, giornalista e scrittore, è stato responsabile dei progetti di cooperazione internazionale di Roma Capitale durante l’amministrazione di Alemanno ed era un grande appassionato di Africa, di cui conosceva ogni risvolto, sociale e politico, che espletava attraverso il suo blog AfroFocus. È stato, nel corso degli anni membro del consiglio scientifico di Africana, rivista di studi extraeuropei, Cambridge University Library. Ha realizzato progetti di ricerca a lungo termine per il Centro Militare di Studi Strategici del Ministero della Difesa, prestato la sua conoscenza agli studenti dell’ Università degli Studi Roma Tre e Link Campus University, Lumsa e altre. E tanto altro.
Soprattutto il curriculum non rivela il difficile percorso di riscatto che Marco ha attraversato nella sua vita, da militante che non si tirava indietro a intellettuale profondo e raffinato, sempre radicato negli stessi valori identitari e comunitari, che per lui valevano non solo per il popolo italiano ma per tutti i popoli della terra.
Perché Marco Cochi, che come tanti della nostra generazione aveva cominciato a militare da bambino, a 18 anni era finito in galera. A sua insaputa, infatti, era diventato militante dei Nar, di quella conventicola molto particolare che erano i Walter boys. È stato Walter Sordi, nella primavera 1980, a spingere Marco Cochi (che all’epoca non ha nemmeno 17 anni) da Terza posizione ai NAR. Lo racconta lui stesso, con molta autoironia a Piero Corsini: «Per la verità, nemmeno mi ero reso conto di essere entrato a far parte dei NAR. Me ne sono reso conto solo il giorno dopo il mio arresto, nell’agosto 1982, leggendo i giornali. A parte il fatto che mi occupavo soprattutto del supporto logistico, e per mia fortuna non mi sono mai trovato a commettere reati di sangue, a me interessava più che altro entrare a far parte di un ambito di spontaneismo armato».
Nel ricordo di Cochi, la sua (inconsapevole) adesione ai NAR «ruotava soprattutto intorno al personaggio di Walter Sordi: era molto duro, “tosto”, litigioso. Era già stato arrestato varie volte, aveva un fortissimo carisma e ascendente sui noialtri ragazzini. Tra tutti i personaggi che in quell’epoca ruotavano nell’ambiente, era considerato il più pericoloso, perché era il più incosciente – non aveva nessuna cautela, benché latitante continuava a girare armato per Roma, a bordo di macchine rubate, mentre anche l’ultimo brigatista rosso sapeva che l’unico modo sicuro di spostarsi era a piedi – e anche perché non aveva nessun rispetto per la vita umana».
Così, quando Walter Sordi resta ferito alla mano nella sparatoria in cui muoiono Alessandro Alibandi e il poliziotto Capobianco, è a casa sua che si rifugia insieme a Ciro Lai:
«Arrivarono verso le 14 e 30. Sordi era stato ferito ad una mano, impazziva dal dolore. Lo nascosi sulle scale, all’ultimo piano del palazzo, perché sanguinava e non volevo che mia madre lo vedesse. Corsi in farmacia a cercare qualcosa, poi mi resi conto che, ovviamente, a quell’ora erano ancora chiuse. Allora mi ricordai che mio nonno, nell’appartamento al piano di sotto rispetto al nostro, aveva della Nisidina, perciò andai a prenderla e la diedi a Sordi. Erano amareggiati, soprattutto preoccupati, perché si rendevano conto della gravità di quello che era successo e della reazione delle forze dell’ordine che ci sarebbe stata. E anch’io, devo dire, ero molto preoccupato: avere in casa due latitanti dopo un fatto del genere, uno dei quali per di più ferito, è un grosso ingombro…»
Il giorno dopo, al giovanissimo Cochi tocca l'onore e l'onere di scortare Francesca Mambro:
«In realtà», commenta la Mambro, «ci vedono molto più forti di quello che effettivamente siamo. A tutti noi è ben chiaro che siamo alla fine. Io, poi, con la morte di Alessandro, perdo non solo un amico, ma anche il mio alleato più strenuo nel progetto di far evadere Valerio. Quando viene ucciso Radici, mi trovo per caso in un appartamento poco lontano – addirittura io e gli altri sentiamo i colpi della sparatoria. Dopo qualche ora me ne sono dovuta andare, perché avevo un appuntamento con Giorgio Vale: mi hanno accompagnata due ragazzini, giovanissimi, assurdamente fieri di scortarmi».
Uno di quei ragazzini è Marco Cochi: «Sì, certo, eravamo fieri. Tra l’altro, quella fu la prima ed unica volta che ho visto Francesca Mambro di persona. L’abbiamo accompagnata alla fermata della metropolitana: ricordo anzi di averle prestato i miei libri di scuola – all’epoca ero all’ultimo anno dello scientifico, al San Giuseppe de Merode – perché potesse sembrare una studentessa qualunque».
Mentre altri sono i ricordi della Mambro: «Ho solo l’immagine di questa città deserta, non c’era nessuno, solo le macchine della Polizia che pattugliavano la zona. Una scena allucinante, lunare».
La giostra finisce il 4 agosto 1982, con la cattura di gran parte dei Walter boys:
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