Manconi, un eroe della libertà: niente sanzioni penali per i saluti romani funebri
Luigi Manconi per La Repubblica - Estratti
Nei giorni successivi alla manifestazione neofascista dello scorso 7 gennaio ho avvertito forte la tentazione di replicare come segue: e allora Valerio Verbano? Il 22 febbraio del 1980, il diciannovenne Verbano venne ucciso, nella propria abitazione, da un commando di tre uomini che, dopo aver legato e imbavagliato i genitori, attesero il suo ritorno da scuola.
Quegli assassini non furono mai individuati. Poi, alla mia mente sono tornati i nomi di Lorenzo Iannucci e Fausto Tinelli e quelli di Walter Rossi, Roberto Scialabba, Claudio Varalli, Alceste Campanile, Francesco Mangiameli e altri ancora. Tutti militanti di sinistra uccisi da neofascisti, in genere rimasti impuniti. [A essere pignoli Francesco Mangiameli è ucciso dai Nar, ma non era di sinistra ma anch'egli neofascista. Di rango, ai vertici di Terza Posizione, ndb]
Mi rendo conto che la mia è una reazione umorale e regressiva: ripropone ancora una volta una cupa aritmetica delle vittime, che dovrebbe portare a sancire il primato dei morti di una parte rispetto ai morti della parte avversa. Ragionando in questo modo non si fa altro che riprodurre una logica perversa che rinnova il risentimento e ripropone una inesausta pulsione di vendetta. E, invece, penso che una simile spirale debba essere interrotta il prima possibile.
Non mi sembra che vadano in questa direzione le parole di Francesco Storace che, intervistato dal Corriere della Sera, non esprime alcun sentimento di compassione verso le vittime uccise dai militanti della sua parte politica; e racconta che anche oggi «per noi di destra la vita è ancora complicata»: ennesima manifestazione del vittimismo dei privilegiati.
E, invece, gente come noi, passata attraverso esperienze di violenta contrapposizione e ormai anziana, dovrebbe svolgere un ruolo di mediazione e di “disarmo” mentale, senza ammiccamenti e retropensieri, sfuggendo alla conta efferata di chi ha più morti. E rispettando le vittime della violenza politica dell’uno e dell’altro fronte, allora nemici e oggi — ci si augura — solo avversari: anche irriducibili e acerrimi avversari.
Ma torniamo ai fatti di Acca Larentia.
Sono risolutamente contrario a qualunque forma di sanzione penale nei confronti di chi si eserciti nel saluto romano in quelle circostanze: e proprio perché quel saluto assume la forma di un rituale funebre in omaggio a persone delle quali si condividono l’identità politica e i valori. Insomma, non penso che si debba promuovere l’azione repressiva contro una cerimonia che ha tutti i connotati di una commemorazione. Certo, anche di natura politica ma, ancorché pubblica, piegata al proprio interno e all’interno della propria comunità.
E carente, dunque, di quella valenza istigativa o di quel rischio emulativo che ne giustifica la sanzione penale, nel rispetto dei principi di materialità e offensività delle norme incriminatrici. Penso che diversamente vada valutato il ricorso al saluto romano quando sia collegato all’uso della violenza o quando si riveli strumento di istigazione alla commissione di reati. A quel punto il nesso tra parole e gesti e atti criminali va considerato sotto il possibile profilo penale.
E sono altrettanto contrario allo scioglimento d’autorità di organizzazioni come CasaPound (diverso è il caso di Forza Nuova, che sembra non estranea ad attività terroristiche), in quanto ritengo che una eventuale “clandestinizzazione” risulterebbe ancora più pericolosa per la vita democratica.
Resta impregiudicata la piena libertà di pensiero quando si tratti di mera espressione di idee, comprese le più ignobili. Ma il discorso non si ferma qui. (...)
Non avviene altrettanto a sinistra. Con pochissime eccezioni le vittime della violenza neofascista sono state consegnate all’oblio. È il risultato di una certa tendenza alla smemoratezza da parte della cultura e del senso comune di sinistra, resi fragili da una rovinosa crisi di identità. Da qui l’incapacità di fare, di quei lutti, un calendario civile delle ricorrenze.
All’opposto, il minoritarismo neofascista conserva una sua vitalità (non solo criminale) e trova nel suo inveterato culto della morte un ulteriore motivo per la sua vocazione funeraria e martirologica. È questa impossibilità di elaborare il lutto di quegli anni di “guerra civile simulata” che rende insidiosa la coreografia fascistica, in quanto alimenta il rancore e il revanscismo. E impedisce che la ferita possa suturarsi.
Sono trascorsi decenni e se non saremo capaci di collocare storicamente quelle morti, consegnandole a un passato che non dovrà mai più ripetersi e a una memoria senza vendetta, quella crudele vicenda rischia di non avere mai fine.
FONTE: DAGOSPIA
Nessun commento: