Rovella: così Taviani mandò a morte Ordine nuovo
Francesco Rovella, militante ordinovista negli anni 70, prigioniero politico, autore del bellissimo memoir "Più forte del fuoco" ci offre una testimonianza storica sullo scioglimento di Ordine Nuovo in occasione del 50esimo anniversario. Per chi vuole approfondire storicamente l'argomento giudiziario posto i link al sito del Csm per scaricare le due sentenze, segnalandone la scarsa qualità della scannerizzazione
La sentenza di primo grado
L'appello
Il 22 novembre 1973, il giorno dopo la sentenza del processo per ricostituzione del Partito fascista iniziato nel 1971 contro i dirigenti del Movimento Politico Ordine Nuovo, il ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani (per sua ammissione capo della struttura Gladio in Italia) decretava lo scioglimento e la confisca dei beni del Movimento.
La legge Scelba del 1952, con la
quale i magistrati condannarono a varie pene i dirigenti, sancisce che uno dei
presupposti per le condanne deve essere l’uso della violenza quale metodo di
lotta politica (in riferimento allo squadrismo dei primi moti fascisti).
Il mancato uso della violenza
politica
Il gran lavoro degli uffici
politici della polizia
Non che i militanti nazional-rivoluzionari fossero degli angioletti, anzi il contrario, ma sempre nelle dinamiche di quei tempi, quando l’agibilità politica e le pratiche di proselitismo venivano difese anche con lo scontro fisico. Ma succedeva giornalmente e in tutte le città d’Italia e questi piccoli episodi in cui erano partecipi militanti di destra e sinistra di tutte le organizzazioni giovanili non potevano certo destare allarme.
Nel caso del processo a On, gli
uffici politici della polizia, incaricati città per città dalla magistratura di
redigere l’elenco degli ordinovisti e di segnalare le violenze fasciste
compiute, ebbe un bel da fare a trovare episodi da riportare. In quanto agli
elenchi di solito erano poco attendibili e finirono imputate diverse persone
che con il Movimento poco ci entravano; per le violenze furono due soltanto gli
episodi che arrivarono in tribunale, una scazzottata all’Università di Verona e
un sasso lanciato verso la finestra del ministro Sullo (contestatissimo ministro
dell’Istruzione di quegli anni). Episodi assolutamente irrilevanti per
dimostrare l’uso della violenza come metodo di lotta politica.
Graziani: è un processo alle idee
Graziani precisava che, quantunque il documento potesse risultare
controproducente per la posizione processuale del movimento, egli si curava non
del Tribunale, ma della Storia: per questo, formalmente imputato ma
sostanzialmente accusatore, presentava e diffondeva il memoriale per
documentare come fosse in atto in un processo persecutorio, un processo alle
idee.
Un’accusa da quadro neuropsichiatrico
All’approfondimento teorico, secondo il leader del MPON, non
sarebbero sopravvissuti alcuni valori qualificanti del fascismo: il
nazionalismo, lo Stato totalitario, il culto del Duce, il cattolicesimo.
Graziani procedeva così a illustrare le nozioni fondamentali della propria
ideologia. Tradizione sarebbe un concetto metafisico e metastorico,
compendiante i valori che da sempre elevano l’uomo, e che permeano una società
aristocratica e organicamente strutturata, ordinata in forma gerarchica.
L’idea di stato organico
La violenza, come la guerra che ne è l’espressione ultima e totale,
può essere giusta o ingiusta, santa o criminale, borghese, proletaria o
rivoluzionaria: in sé e per sé non può venire quindi criticata, bisogna
aggettivarla in qualche modo. Graziani, peraltro, rammentato che ON è un
movimento rivoluzionario, specificava che la rivoluzione non implicherebbe
necessariamente l’impiego della violenza perché le rivoluzioni si affermarono
con la forza delle loro idee.
Una battaglia rivoluzionaria nel quadro della legalità
Il racconto del ministro Taviani
“Il sabato 20 ottobre 1973 chiese e venne
a visitarmi al Viminale il magistrato Occorsio; mi disse: "II processo su
Ordine nuovo sta per concludersi con il riconoscimento che Ordine nuovo è la
ricostituzione del partito fascista. Non finirà ancora una volta tutto nel
nulla?". Gli risposi negativamente; da quando ero rientrato al Ministero
nel luglio 1973 mi ero reso conto della pericolosità che avevano assunto i
gruppi di estrema destra, ormai sconfessati dallo stesso Movimento sociale”
(quindi pubblico ministero e ministro degli Interni sapevano della
condanna prima ancora che uscisse la sentenza!).
Il 21 novembre 1973 il Tribunale di Roma, emise la sentenza che
riconosceva in Ordine nuovo la riorganizzazione del disciolto Partito fascista.
Racconta Taviani:
Il consiglio dei ministri e il no di Moro
Rumor si convinse, portai il decreto in consiglio
dei ministri. Dopo le prime pratiche e le varie nomine di routine, Rumor mi diede la parola.
Proposi al Consiglio di autorizzarmi a porre fuori legge il movimento di Ordine
nuovo dichiarato con sentenza di primo grado della magistratura ricostituzione
di Partito fascista. Il Consiglio approvò all'unanimità dei presenti. Al termine
il ministro Malfatti mi chiese se si trattava di atto dovuto. Gli
risposi di no perché la legge Scelba era stata emendata e l'atto dovuto
si sarebbe avuto soltanto con l'ultimo passaggio alla Corte di Cassazione. E’ stato
un atto politico. Tornai al Viminale e firmai in data 23 novembre il decreto di
scioglimento”.
La seconda ondata sui militanti
Le perplessità di Rumor, la contrarietà di Moro e di Piga
testimoniano della gravità della decisione repressiva. Come temeva Moro, avrebbe
potuto innalzare la tensione. Di più: avrebbe potuto dar luogo a frammentazioni
dell’arcipelago nero e alla nascita di gruppuscoli eversivi particolarmente
pericolosi e incontrollabili; Moro parlò proprio di creazione di schegge
impazzite.
Questa osservazione ha condotto più di una persona a ritenere che
dietro lo scioglimento di Ordine nuovo vi fosse la volontà del ministro Paolo
Emilio Taviani di creare «un mostro» di destra, su cui scaricare le
responsabilità di tutte le stragi e degli attentati terroristici.
Pasolini e gli attentati antifascisti
Il tentativo, svelato poi dal “gladiatore” Taviani a Pietro
Buscaroli in un’intervista mai smentita, era alla fine quello di screditare
tutta la destra, col fine di recuperare i due milioni di voti del Msi che
servivano urgentemente ad una Democrazia Cristiana con l’acqua alla gola di
fronte all’avanzata del Pci.
Ordine nuovo, una sigla prezzemolo
Ancora oggi l’aggettivo “ordinovista” e la definizione “cellule
ordinoviste” vengono usati da tanti giornalisti, storici e magistrati per definire
qualsiasi gruppetto neofascista degli anni Settanta. Avere una sigla che tutto
comprende fa molto comodo ad ogni tipo di ricostruzione o di inchiesta (il
teorema Salvini docet). Però è come se si definissero “brigatisti” tutti i
componenti dei gruppi armati di sinistra . Una falsità che, passati cinquanta
anni dallo scioglimento, andrebbe smascherata, una volta per tutte.
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