15.11.1886: nasce René Guénon, critico rigoroso della Modernità
Più di 40 anni fa Massimo Chiapparini Sacchini, un amico di fb, si laureava alla facoltà di Storia e Filosofia dell'Università di Pisa con la tesi "LE CATEGORIE INTERPRETATIVE NELLA PRIMA OPERA DI RENÉ GUÉNON: INTRODUZIONE GENERALE ALLO STUDIO DELLE DOTTRINE INDU". Il compleanno del Maestro della Tradizione ci sembra una buona occasione per pubblicare abbondanti stralci dell'introduzione. A seguire il link a una scheda sintetica ...
(…) La stragrande maggioranza dei pensatori ritiene che la
civiltà contemporanea, con le sue pecche, costituisca il modello a cui conformarsi.
Eppure il corso della cultura lascia dietro di sé, ancorate su posizioni che i
più ritengono estinte, oppositori decisi che nel rifiuto del “mondo moderno”
trovano uno dei punti qualificanti delle loro valutazioni. Ad essi, a volte, si
aggiungono, ma anche si confondono, quei filosofi che criticano aspetti della
società attuale da prospettive maturate nel suo interno. (…) Quale esponente
del primo atteggiamento delineato, dei critici della civiltà moderna in quanto
tale per la sua conseguenzialità e il suo rigore, fra i nomi più importanti
senza dubbio c'è quello di René Guénon. Per mostrare quanto sia netto il suo
giudizio è opportuno riportarlo direttamente:
“La civiltà moderna appare nella storia come una vera e
propria anomalia: fra tutte quelle che conosciamo essa è la sola che si sia
sviluppata in un senso puramente materiale, la sola altresì che non si fondi su
alcun principio d'ordine superiore. Tale sviluppo materiale, che prosegue ormai
da parecchi secoli e va accelerandosi sempre di più, è stato accompagnato da
una regressione intellettuale che esso è del tutto incapace di compensare.”
La radice del giudizio negativo di Guénon sulla civiltà
occidentale moderna risiede nella sua interpretazione dell'Oriente e dei suoi
valori, interpretazione che non si basa sulle categorie consuete con cui esso
viene analizzato. Posti di fronte agli scritti dello studioso francese abbiamo
la possibilità di conoscere una dimensione e uno orientamento non dissimili, e
questo negli schemi di Guénon sarebbe un pregio, nelle culture pre-moderne. In
questo senso studiare la sua opera, indipendentemente, sia chiaro, dall’accordo
o meno con le sue tesi, può essere utile allo studio del passato, oltreché a
quello di culture contemporanee, ma, per noi occidentali moderni, diverse.
L’occasione che ci offre la lettura delle pagine guenoniane è quindi duplice.
Da un lato ci introduce allo studio delle civiltà orientali, come erano prima
che gli Europei rendessero il mondo sempre più omogeneo alla loro cultura.
Dall’altro in esse è contenuto un tale “No!” ai fondamenti del mondo moderno,
che ci costringe e ci permette di ripensarne integralmente le strutture, al
fine di accettarlo coscientemente o coscientemente rifiutarlo. Posizioni
intermedie su questo piano in Guénon non hanno terreno, come capiremo, o
cercheremo di illustrare, a partire dall’analisi dei presupposti teorici e
delle categorie interpretative da cui parte.
È presente in Guénon una morfologia della storia e della
civiltà come in O. Spengler, e un rapporto stretto col pensiero
orientale come in A. Schopenauer, ma fra loro e l’autore dell’“Introduzione
generale allo studio delle dottrine indù” e del “Regno della quantità e
i segni dei tempi”, per citare due opere significative ed esemplari, la
diversità è profonda. In comune forse c’è il fatto che né gli autori citati, né
Guénon hanno avuto una formazione prevalentemente accademica, e questo per
Guénon è più esatto che per gli altri due.
Del resto, ci troviamo spesso davanti a questo tratto nella
biografia di chi produce un’interpretazione generale della civiltà. Il
carattere analitico della ricerca, e la sempre maggior specializzazione,
comportano che le sintesi si presentino a volte come esterne all’ambito
accademico, coi rischi che ciò implica. Questo, poi, è particolarmente vero
quando si fondono insieme valutazioni delle civiltà orientali e critica
dell’Occidente, come accade nel movimento teosofico. Ma l’esistenza di questi
rischi non significa che non ci si trovi mai di fronte al caso di ritardi, da
parte della cultura prodotta nelle Università, nel recepire la portata di chi
si forma fuori delle loro strutture.
In parte questo è
anche il caso di René Guénon; ma è un’affermazione di principio, profondamente
valida, che in un pensatore, il valore teoretico dei suoi scritti è del tutto
indipendente dalla sua fama e dalla stima del mondo degli studiosi di
professione. È necessario inoltre mettere in rilievo un dato di fatto che
diverrà trasparente quando tratteremo della biografia di Guénon. A torto o a
ragione, non è una tesi di laurea la sede per definirlo, René Guénon viene
fatto rientrare nel novero di quelle persone che possono essere definite come
“maestri di spiritualità”. Oltre alla valutazione delle sue tesi per un
giudizio complessivo, sarebbe opportuno tener conto di questo elemento. È a
partire dalla sua ricerca interiore, intrapresa inizialmente nella Massoneria
francese, che si giunge a capire come R. Guénon nel 1912 entri nell’Islam,
venendo a contatto con gli ambienti del Sufismo.
Lo studioso francese si stabilisce definitivamente al Cairo
negli anni ‘30, e assume il nome di Abdel Wahid Yahyà, cioé Giovanni il
servitore dell’Unico. Sono dati biografici che premettiamo, perché chiariscono
e sono utili alla comprensione delle sue opere, mentre, per non legare
eccessivamente le sue scelte di pensiero alla sua vita, cosa questa che Guénon
non riteneva valida, per ultima, nell’arco di questo lavoro, poniamo la
biografia. Specificatamente nella sua veste di studioso delle dottrine
orientali, Guénon ha ricevuto su di sé giudizi differenti nel corso del tempo.
Se L. Renou, in un libro degli anni ‘50, definiva seccamente il libro
guenoniano sul Vedānta un testo di seconda mano, più recentemente J. Varenne,
nel suo contributo “L’induismo contemporaneo”, inscritto nell’autorevole
“Storia delle religioni” a cura di H.C. Puech, afferma: “in
Francia non si può ignorare l’opera di René Guénon”. Con questa citazione e con
la frase di Guénon sopra riportata sono stati richiamati due momenti essenziali
dell’opera dello studioso francese: la ricerca spirituale verso l’Oriente, inteso nel senso
di un corpus di dottrine di cui egli si pone come interprete, e la critica
della cultura moderna come si è sviluppata in occidente. Dei due privilegeremo
ovviamente il primo, ma affronteremo brevemente anche il secondo. Questo non
solo per un elementare dovere di completezza, ma anche per un motivo meno
esteriore: la critica del mondo moderno prevalso in occidente è la conseguenza
necessaria, per Guènon, delle dottrine orientali, e in quanto tale è solo
esplicitazione di principi esposti in esse.
In sede introduttiva, ancora, un accenno alla fortuna in Italia dei testi guenoniani. La prima diffusione e conoscenza di essi è dovuta al fiorentino Arturo Reghini, studioso del Pitagorismo e partecipe delle vicende culturalì della Firenze di Papini e Prezzolini. Poi, negli anni fra il ‘24 e il ‘45, è Julius Evola che, in parte distorcendole, presenta alcune tesi guenoniane. Nel dopo guerra è a Torino che più viene conosciuta l’opera di Guénon. Nella città piemontese, a partire dal 1961, un gruppo di persone, molto vicine a Guénon fino alla sua morte, dà alle stampe la “Rivista di studi tradizionali”, in cui compaiono articoli di Guénon inediti in Italia. Il gruppo torinese è anche alle origini delle “Edizioni di studi tradizionali”, che pubblicano le traduzioni italiane dei principali lavori di Guénon.
Nel 1972
la situazione editoriale dello studioso francese muta, perché alcuni suoi testi
passano all'editore Rusconi, che assicura un pubblico più vasto. In fine
nel 1975 un'altra casa editrice di rilevanza nazionale, ma di diverso
orientamento culturale, la “Adelphi”, aumenta con “I simboli della
scienza sacra” e poi con altri libri il numero delle opere di Guénon a
disposizione del grande pubblico. Nonostante questo discreto successo mancano
in Italia studi di vasto respiro sulle tesi guenoniane. (…) Due parole, infine,
per la scelta che abbiamo fatto a favore dell’utilizzo di lunghe citazioni,
rispetto quello della parafrasi. Riteniamo, infatti, che l’originalità non sia
molto accessibile ad uno studente al suo primo lavoro. Più corretto, quindi, ci
è apparso fornire delle esplicite citazioni rispetto a compiere malcelati
tentativi di fare apparire come proprie idee ricavate da altri.
Massimo Chiapparini Sacchini
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