Tisei il pentito/3: c'è del metodo nella sua fantasia
Aldo Tisei è uno degli ordinovisti tiburtini pentiti, transitati dalla militanza di paese alla lotta armata e poi alla malavita organizzata. Muore di overdose il 26 ottobre 1988. Lo trovano con un ago al braccio in una stanza d'albergo a Milano. Era tossicomane da una decina di anni. Gode della stima di giornalisti e magistrati ma molte delle sue accuse crollano per l'assoluta inconsistenza e contraddittorietà. Alla sua vicenda ho dedicato un saggio inedito (qui puoi scaricare l'intero testo) che sto pubblicando a puntate (questa è la terza) tra ieri e oggi su Fascinazione
Ovviamente Tisei non si è inventato tutto ma ha lavorato alla grande nella rielaborazione della sua diversificata esperienza, che può essere schematicamente divisa in tre fasi:
1.
la militanza politica e poi politico-militare
nella componente ordinovista che finisce per aderire al progetto lottarmatista
di Pierluigi Concutelli (fino al febbraio 1977);
2.
la partecipazione, dopo il ritorno in libertà (era
stato arrestato nel luglio 1977 per il favoreggiamento di Concutelli), a un
giro misto di malavitosi e camerati che nel 1979 svolge una consistente
attività di finanziamento attraverso le rapine in banche;
3.
la definitiva “criminalizzazione” che coincide con
l'esperienza di tossicodipendenza (il cui avvio è collocato dai carabinieri nel
gennaio 1979) e il reclutamento nel clan Mazzitelli, una banda ben radicata nel
territorio tiburtino e specializzata in attività estorsive (fino all'arresto
nell'aprile del 1981, nel blitz che smantella la banda che ha introdotto la
pratica diffusa del “pizzo” sui negozianti a Tivoli).
Il suo ruolo con Concutelli
Nella breve stagione operativa della banda Concutelli (primavera 1976-inverno 1977, con il grosso delle operazioni concentrata in due settimane di luglio) si distingue come ladro d'auto e poi come “vivandiere” del “Comandante” e “guardaspalle” del vice. Nel furto del veicolo destinato alla rapina alla Banca nazionale del lavoro, a suo dire, si fa supportare da un altro militante (Sergio Calore) a cui dà le istruzioni per l'uso, essendo impossibilitato a operare direttamente per un malanno fisico. Particolare che lascia perplessi perché la vettura usata, una Simca 1300, era la più facile da rubare, essendo sufficiente per l'apertura e la messa in moto l'uso di una semplice chiavetta da carne Simmenthal...
Del resto il dolore alla spalla non
gli aveva impedito, giusto due giorni prima, di partecipare a una rapina finita
tragicamente, con una vittima uccisa per un gesto inconsulto che innesca la
reazione di uno dei banditi. E anche in questa occasione Tisei mente. Solo in un secondo momento ammette di
aver partecipato direttamente al colpo e non solo alla predisposizione del
furgone con targhe false.
Fase 2: Calore lo ridimensiona
Per la fase successiva sarà lo stesso Calore, in
un lungo confronto con Concutelli nel dibattimento al maxiprocesso Ordine nuovo
bis, a ridimensionare il ruolo del suo pupillo nella stagione di Costruiamo
l'azione alla semplice partecipazione alle attività di finanziamento, con una
propria batteria di rapinatori tiburtini.
Infatti, quando Tisei rientra dal servizio di leva, la nuova organizzazione che incarna la continuità del progetto ordinovista è in piena operatività. Alla fine di maggio, subito dopo il sequestro Moro, ha preso il via una campagna di attentati dinamitardi contro simboli del potere (il ministero della Giustizia, i servizi comunali, la Prefettura) da parte di un nucleo armato che fa a uno dei leader più noti e più amati della “piazza nera” romana, Lele Macchi.
Forti degli insegnamenti di Enzo Maria Dantini – un professore di mineralogia leader storico dell'estrema destra romana - lui e il suo fraterno sodale Marcello Iannilli sono in grado di fare grandissimi danni limitando al minimo gli “effetti collaterali”. Neanche l'arresto dei due capi più noti, Sergio Calore e Paolo Signorelli, coinvolti in un'inchiesta partita da Rieti e poi condotta dal pm che è il nemico giurato della fascisteria romana, Mario Amato (sarà ammazzato giusto un anno dopo dal principale nucleo armato dei Nar, quello che faceva capo a Valerio Fioravanti e Francesca Mambro) bloccherà l'operatività dei bombaroli.
Un nuovo modello organizzativo
Forti della lezione del fallimento di Concutelli, Calore e Signorelli hanno scelto di cambiare modello organizzativo: visto che il piccolo nucleo superprofessionalizzato e centralizzato di ispirazione brigatista è imploso in conseguenza della cattura del capo, il riferimento diventa la ragnatela autonoma, la tela paziente tessuta da Toni Negri, il professore padovano che ha costruito un sofisticato progetto rivoluzionario. Nessuna struttura verticalizzata e quindi decapitabile ma un network fortemente differenziato.
Con un giornale come snodo e strumento di diffusione dei contenuti (lì “Rosso”, qui “Costruiamo l'azione”) e poi circoli culturali, bande territoriali, reti amicali di solidarietà. In autunno una batteria di rapinatori di Latina, 'precettati' da Calore in extremis per una defaillance dei quadri politici di Vigna Clara, il quartiere del professor Signorelli, assicura la fuga di Franco Freda dal soggiorno obbligato in cui è costretto come principale accusato – scarcerato per decorrenza termini – per la strage di piazza Fontana.
Il leader più prestigioso della destra radicale è
però subito scaricato. Perché il suo vice patavino, Massimiliano Fachini,
pretende di imporgli una disciplina di organizzazione che Freda ritiene
oltraggiosa: e così sarà la 'ndrangheta a farlo espatriare in Francia, per poi
venderlo ai servizi segreti che se lo vanno a prendere in Costarica con un
blitz dalla dubbia legalità internazionale.
L'entrata in scena di Giuliani
Ai primi di dicembre un'altra “stella” di questa
galassia sovversiva, Egidio Giuliani, un autentico genio della logistica che a
23 anni ha messo su un formidabile service disposto a fornire supporto
indifferentemente alle bande della guerriglia rossa e nera, mette a segno un
attentato che lascia il segno: un nucleo armato misto attacca il centro di
calcolo della motorizzazione gestito dall'Honeywell (il colosso informatico per
cui lavora lo stesso Giuliani) e il sabotaggio per alcuni mesi renderà impossibile
il controllo poliziesco sulle patenti false.
In questa piccola ma efficace macchina da guerra Aldo Tisei si ritaglia un ruolo assolutamente marginale: insieme ad altri “banditi neri” dell'area tiburtina diventa membro di una batteria di rapinatori che in tre mesi organizza una raffica di rapine in banche e uffici postali del circondario (sei tra metà dicembre e metà marzo). Di colpo in colpo il suo ruolo diminuisce, probabilmente in funzione del suo progressivo “arrotarsi” nella tossicodipendenza: nelle due prime rapine partecipa al “salto del bancone”, poi è ridimensionato ad autista e infine soltanto a basista. All'ultimo colpo non partecipa neanche (per sua fortuna: una storia maledetta, con la guardia giurata che reagisce e finisce ammazzata): e intanto nella formazione della banda sono entrati dei camerati romani, ritenuti più affidabili di Tisei.
In
questa banda c'è chi farà una grande carriera (criminale): Attilio Clementi, di
Guidonia. Dopo un lungo tira e molla tra galera e libertà, sarà arrestato nella
primavera del 2012, insieme ad altri tre uomini d'oro romani, intercettati
sulla via della fuga dopo l'assalto a un deposito valori di Macerata da cui
avevano appena trafugato venticinque milioni di euro.
La caduta libera di Tisei
Dal suo canto, Tisei è in caduta libera. Scaricato dai camerati, vivacchia ai margini della criminalità tiburtina: in un paio di mesi tira su un'altra batteria con giovani malavitosi locali, grazie all'aiuto di una guardia giurata che fornisce precise indicazioni e talvolta favorisce il successo dei colpi. Da giugno a ottobre, in una mezza dozzina di rapine tra banche e oreficerie tirano su più di 120 milioni di bottino ma anche questo nucleo si sfalda ben presto.
Considerato ormai inaffidabile come rapinatore,
Tisei si ricicla nel racket: mette a frutto l'esperienza “politica” e diventa
l'artificiere di un'aggressiva banda di estorsori. Una volta, per un attentato
di addestramento, manda due giovanotti a far saltare in aria la sezione del Pci
di Villalba di Guidonia. E così, ad aprile 1981 finisce arrestato con il
capobanda e altri complici.
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