Il 21 settembre 1972 muore suicida lo scrittore e drammaturgo Henry de Montherlant. Nato a Parigi il 21 aprile 1896, volontario e ferito nella 1a guerra mondiale, fu proscritto come collaborazionista nel dopoguerra, si definiva “anarchico di destra”.
Come scrittore fu particolarmente precoce: scrisse infatti il suo primo libro La vie de Scipion (mai pubblicato) quando aveva appena dieci anni e a venti anni pubblicò a sue spese La Releve du Matin, dopo il rifiuto di undici editori, un omaggio ai soldati della Grande Guerra. Nel 1923 scrisse Les Olympiques, opera nella quale celebrava i cultori dell’atletica leggera. La tauromachia, di cui fu particolarmente appassionato (a 15 anni uccise il suo primo toro), gli ispirò uno dei suoi migliori libri: Les Bestiaires (1926). I suoi primi successi furono la tetralogia Les jeunes filles (1936-1939) e Les célibataires (1934).
In Les jeunes filles Monteherlant si scaglia contro l’esaltazione dei “valori femminili”, a cui addita la decadenza del mondo contemporaneo, a detrimento di quelli “virili”. Montherlant, in quest’opera, alza la sua protesta contro un’epoca in cui i grandi valori individuali vanno spegnendosi e la democrazia diffonde conformismo.
All’anticonformismo virile si contrappone per solito il conformismo femminile: cioè la mimetica capacità delle donne di adattarsi alla vita, di sposarla nella sua contradditorietà e mediocrità, senza mai misurarla al paragone di un’ideologia, di un assoluto. Nella stessa opera, ai valori della “pace” contrappone quelli della “civiltà della guerra”, che i soldati esperimentano sul campo di battaglia. L’opera, tacciata di misoginia, fu definita da Simone de Beauvoir una «cafoneria».
In questo periodo lo scrittore viaggiò molto, specie in Spagna, Italia ed Algeria. Da cattolico, con venature pagane, Montherlant vide nella Chiesa romana l’erede ideale della tradizione imperiale.Nella sua opera risentì molto, oltre che di Paul Adam, Charles Maurras, Maurice Barrès, Paul Bourget e in parte di Gabriele D’Annunzio, dell’influsso della grande tradizione religiosa del Seicento francese, da Racine e Corneille a Bossuet, soprattutto per lo splendore magniloquente della sua prosa e per la statura grandiosa dei suoi personaggi.
Tra gli ultimi eredi del decadentismo europeo, Montherlant unì il gusto estetizzante del passato a una vena di inquieto moralismo, che lo portò sia nei romanzi che nel teatro a scrutare il dramma di anime belle e tormentate, superiori alla comune umanità: nei suoi romanzi, in particolare, amava ritrarre personaggi eroici e moralmente perfetti.
Questo culto esagerato per l’eroismo lo portò a pubblicare nel 1941, sulla Nouvelle Revue Française diretta da Pierre Drieu La Rochelle, Le solstice de Juin, un saggio in cui esprimeva la sua ammirazione per l’esercito tedesco e dichiarava che la Francia era stata giustamente sconfitta e conquistata.
Accusato di collaborazionismo, finito sulla lista di proscrizione, nel dopoguerra gli fu proibito di pubblicare per un anno. L’adesione dello scrittore al governo del Maréchal Pétain fu “morale” e “spirituale” e sicuramente non dettata da opportunismo. A Pétain del resto lo legava l’aver preso parte alle operazioni di allestimento dell’Ossario di Douaumont.
Definitosi più volte «anarchico di destra», estraneo ai movimenti d’avanguardia e lontano dalla vita mondana della capitale, Montherlant fu vivacemente contestato per le sue posizioni conservatrici durante una rappresentazione del Cardinale di Spagna (1960) alla Comédie-Française.
Nel 1962 pubblicò, con discreto successo, Il caos e la notte: un ritratto grottesco di un anarchico spagnolo, incapace di approdare ad alcun significato universale; una dura critica sia del comunismo che della società americana.All’insegna di un «aristocraticismo nietzschiano di destra», la sua vita fu segnata da uno spirito di profondo anticonformismo, che lo portò nella vita come nell’arte, a sdegnare ogni forma di convenzione in contrasto con le proprie convinzioni.
Quando entrò nell’Académie française, di cui fu membro dal 1960 al 1972, egli rifiutò di indossare l’uniforme di gala e anziché pronunciare, secondo la tradizione, l’elogio funebre del suo predecessore, non esitò ad esprimere la sua divergenza di idee verso il sociologo André Siegfried.
Si interessò al Bushidō e allo Zen: di modo che la sua fine, più eroica che tragica, può essergli stata anche ispirata da queste discipline, di ordine universale.Divenuto quasi cieco, si suicidò nel 1972, ripetendo il gesto dei filosofi stoici che aveva pubblicamente ammirato per tutta la vita. Nel testamento dettato quattro ore prima di morire al pittore Mac’Avoy fece accenno a una congiura nei suoi confronti: «Sono sulla lista nera. […] So che tutto è finito per me».
Pierre Pascal, amico di lunga data dell’autore, additò Roger Peyrefitte quale responsabile morale della morte: «Quel verme umano che fu cacciato dalla diplomazia per motivi che non ha raccontato e che gira per certe librerie di Roma, in compagnia di un ineffabile cugino in cerca di opere pornografiche rare, ha osato di recente, in un libro ignobilmente concepito e sporcamente scritto, scrivere su Henry de Montherlant un intero capitolo di infamie, che sono altrettante menzogne, rasentanti la polizia politica e che non meriterebbero altro che lo sfregio di una punta di spada attraverso le sue due facce… Egli ha la sua parte di responsabilità nella morte di Henry de Montherlant, e lo sa». Le sue ceneri furono sparse nei pressi del Tempio della fortuna virile, fra i Rostri e nel Tevere, a Roma.
FONTE: WIKIPEDIA
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