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Cerasa: la Destra? il pericolo è il complottismo non il fascismo


 Concetto Vecchio per “il Venerdì di Repubblica

Dalla sua scrivania Claudio Cerasa, 40 anni, direttore del Foglio, può osservare le bottiglie di vino rosso allineate nella libreria di fronte. Il corriere gli ha appena portato un gioco comprato per il figlio su Amazon, Among Us. «Si svolge su un'astronave e consiste nel riconoscere gli impostori senza pietà. È perfetto per capire il futuro della destra italiana: senza riconoscere gli impostori della libertà, il Paese rischia di finire male». Le catene della destra, Rizzoli, è il titolo del suo nuovo libro. Un'inchiesta su un mondo destinato a governare l'Italia.

Che cosa ha capito?

«Che non è il fascismo il vero pericolo, ma il complottismo. Lo strizzare l'occhio ai no Vax e ai no Euro, strillare che le ong sono pagate da Soros. Vedere dittature ovunque. Il complottismo è questo: difendere non la libertà in assoluto, ma la libertà di essere estremisti».

La destra è estremista?

«Nella gestione della pandemia la destra sovranista è stata parte del problema, più che parte delle soluzioni. Ma è estremista anche sul resto».

Cioè?

«È estremista e complottista in economia. Ha il terrore della concorrenza, non riesce ad accettare la competizione del mercato. Ed è garantista soltanto a parole. Se tocchi le carceri riemerge la logica dello scalpo, sintetizzabile nella frase "bisogna buttare via la chiave"».

Vi coglie una doppiezza?

«Le parole d'ordine dei suprematisti bianchi le ritrovi nei testi della destra estremista. Se un islamico fa una strage saltano su, si interrogano su quali sono le radici di quel gesto; se una strage la compie un suprematista bianco la destra lo derubrica a pazzo. E poi non hanno mai condannato con parole chiare e definitive l'assalto a Capitol Hill. Il trumpismo non rinnegato della destra mi pare più pericoloso del fascismo rinnegato».

In Italia la destra non si è messa la cipria?

«Lo ha fatto. Ma in Europa e nel mondo coltiva relazioni con i soliti: Orbán e Le Pen per Salvini, Vox e Trump per Meloni. Sono atlantisti, ma non europeisti».

Giorgia Meloni si è fatta più cauta?

«Ancora nel 2016 diceva che tra Putin e Renzi fosse preferibile il primo».

Putin oggi è l'amico di cui vergognarsi?

«Era l'algoritmo per scardinare l'europeismo e porre le basi per la distruzione della democrazia liberale: il putinismo della destra è stato questo, una triangolazione tra un dittatore e i suoi utili idioti».

Perché scrive che i populisti sono i peggiori nemici dei giovani?

«La destra non si fa scrupoli nell'aumentare il debito pubblico, l'attenzione principale è rivolta ai pensionati, le proposte più importanti della destra sono figlie di quota 100. Dopodiché i giovani si sono vaccinati più di tutti».

Come lo spiega?

«Hanno capito da tempo che la politica ha un impatto sulle loro vite. E forse hanno iniziato a capire che i populisti non fanno né l'interesse del popolo né quello dei giovani».

Rino Formica dice che rischiamo di finire come in Ungheria.

«Vedo che Giorgia Meloni non si fa più vedere in giro con Orbán, Salvini sì. Lei in Europa sta con i conservatori polacchi, che vedono gli ungheresi come fumo negli occhi per la loro contiguità a Putin. Però sui diritti siamo sempre lì: Meloni la pensa come il premier ungherese».

Che farà Meloni una volta a palazzo Chigi?

«Potrà gestire il potere e dare un contentino al suo mondo. Oppure diventare la Tsipras di destra».

Cos' è più probabile?

«La seconda. Meloni non è una marziana a Roma. Tutti la conoscono nei palazzi del potere, la chiamano per nome, Giorgia. E il suo essere romana non è più un tratto di debolezza. È un punto di forza. È un argine all'estremismo degli stessi barbari che si trovano nella sua coalizione».

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