Il guru dell'antifascismo Scalfari sfuggì dalla Resistenza
Il 19 settembre 1985, vigilia della presa di Porta Pia, Eugenio Scalfari ha 61 anni.
Il suo amico Italo Calvino (nella foto Scalfari e Calvino con gli amici) è in agonia su un letto di ospedale a Siena.
Il direttore di Repubblica ne aspetta la morte con i più stretti congiunti, e raccoglie i ricordi da trasferire in un articolo.
Scalfari aveva incontrato Calvino nell’ottobre del 1938 al regio liceo Cassinis di Sanremo, un tempo le scuole iniziavano ad ottobre, quando un dotto sacerdote di Italiano e latino chiama l’appello.
Calvino e Scalfari nello stesso banco “e per tre anni, vivemmo insieme a scuola e fuori”.
L’università li separa. Italo a Torino, Eugenio a Roma. Però il 25 luglio del ‘43 sono insieme in piazza a Sanremo quando dall’altoparlante si apprende delle dimissioni di Mussolini.
Sventolano un tricolore, pagano da bere a delle reclute. Scalfari era stato giovane fascista ma il 1943 era già da tempo dall’altra parte.
Quarantacinque giorni dopo, sono di nuovo insieme, quando la stessa voce cadenza l’8 settembre mentre sui binari paralleli al lungomare passano convogli carichi di nazisti e carri armati.
Calvino va sui monti con i partigiani. Scalfari torna a Roma. Il fondatore di Repubblica votò Monarchia al referendum. Lo scrittore votò Repubblica.
Scalfari e Calvino si scrivono una lettera ogni settimana. Un liberale e un comunista. Uno lavora in banca, l’altro alla Einaudi.
Italo è amico di Pavese e Vittorini, Eugenio di Pannunzio e Benedetti. Sono le lettere di un grande scrittore e di un giornalista bravo e gaudente.
Anni dopo quando era nata Repubblica, Calvino firma affermata, aveva scelto di scrivere per quell’incerto giornale fondato dal suo compagno di scuola. Per Scalfari “Il giorno più lieto della mia vita”.
Ricorda Scalfari un biliardo fumoso, i compiti per sé e per gli altri. Sulle panchine della passeggiata Imperatrice parlavano di Dio, che chiamavano Filippo, e pensavano al cielo stellato di Kant.
Dopo quarant’anni Eugenio rilegge le lettere ricevute da Calvino tornando da Siena a Roma. E pensa Scalfari che il ricordo di quello che lui e Italo furono da giovani dovrà conservarlo lui, per tutti e due “fino a che potrò”.
Ora che Scalfari è morto mi è sembrato opportuno rievocare a voi lettori “quell’allora”.
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