6 febbraio 1980: l'omicidio Arnesano e la scelta armata di Giorgio Vale
Secondo la ricostruzione di alcuni protagonisti dell’epoca, Valerio Fioravanti volle coinvolgere Giorgio in un omicidio per attrarlo nell’orbita del suo gruppo. «Giorgio – ricorda Adinolfi – è stato trascinato in una spirale, nel senso che tutto è nato con la storia di Arnesano […]. Lì è stato proprio un modo non bellissimo di trascinare Giorgio oltre la frontiera del dovuto».
Dello stesso avviso Roberto Nistri, che tuttavia sottolinea una predisposizione all’azione armata ormai maturata: La prima cosa che ha fatto [Valerio] con Giorgio è stata a via Settembrini. In maniera proprio infame. Giorgio sicuramente non si sarebbe tirato indietro, non è che gli avrebbe detto “no, non ci vengo” […]. Lui con questa cosa qua ha voluto coinvolgerlo, aveva visto una persona seria e motivata, e soprattutto capace […]. E così Giorgio è entrato in quella logica... oddio, per carità, magari ci sarebbe entrato comunque, perché comunque era una persona che non si tirava indietro, però una cosa è che ci entro volontario, cosciente di quello che sto facendo per quanto si possa essere coscienti a diciott’anni, in quel periodo a diciott’anni, una cosa è che invece c’entro perché uno mi ci porta. E da lì è stato un crescendo.
Valerio Fioravanti dal canto suo ha considerato di non aver dato a Giorgio «un suggerimento esplicito» quanto piuttosto di aver mostrato «un qualcosa che doveva esserci, cioè Giorgio sapeva come ragionavamo noi e a un certo punto in qualche modo si adeguò […] non c’era niente di esplicito in realtà in tutto questo». Ci troveremmo, dunque, di fronte a un’azione non precisamente verbalizzata né definita nei dettagli, nata nell’ambito di un rapporto personale, non mediato da una vera e propria progettualità o da ragionamenti sull’appartenenza politica: Vale si è presentato a me come Giorgio Vale, non come uno di Terza Posizione. Io ero Valerio e lui era Giorgio insomma, non parlavamo a nome di nessuno, parlavamo per noi stessi e basta. I nostri rapporti erano molto semplici, io non dovevo rendere conto a nessuno dell’amicizia con lui e lui non doveva rendere conto a nessuno dell’amicizia con me, era un rapporto personale.
L’impressione di aver incontrato, riprendendo le parole di Nistri poco su citate, «una persona seria e motivata, e soprattutto capace», Fioravanti l’ha confermata nel corso delle udienze. Sulla serietà di Giorgio, ha dichiarato ad esempio che «se una cosa lui non la capiva, non la faceva, insomma non avrebbe mai fatto una cosa che non capiva». Quanto a capacità e motivazioni, nella ricostruzione processuale dell’azione che ha portato all’uccisione di Arnesano, ha riferito che «si comportò molto bene, soprattutto considerato che era la prima volta che scendeva in campo»; apprezzamento menzionato anche da Cristiano Fioravanti, che ha ricordato aver sentito dire al fratello che «s’era comportato molto bene perché era la prima volta che faceva un’azione insieme se ricordo bene, s’era comportato molto bene, è stato molto freddo, molto bravo».
Da parte sua, nel ricordo dell’amico Lorenzo Soderini, Giorgio era molto coinvolto dal recente rapporto con Valerio: Giorgio non lo so, ti ripeto, è stato completamente ipnotizzato dal contesto […] coinvolto specialmente da Fioravanti, io me lo ricordo che lui me lo disse proprio. Mi ricordo che Giorgio mi disse guarda ho conosciuto questo personaggio, era molto preso da questo personaggio, mi raccontava insomma dei particolari di Giusva.
Piuttosto che a Valerio Fioravanti, la ricostruzione di Dario Mariani attribuisce un’eventuale responsabilità ai vertici di Terza Posizione, con particolare riferimento alla scelta di promuovere Giorgio, nonostante la giovane età, a nuovo responsabile operativo dopo l’arresto di Nistri: Me l’ha ricordato Gabriele [Adinolfi] dicendomi: “abbiamo deciso di affidare questo compito a Giorgio” e io mi so’ gelato, piuttosto che magari a un capo zona, che cambiava semplicemente di ruolo, andava un po’ più nell’ombra, l’avessero dato a me mi sarei preso le responsabilità più io, avrei fatto la chioccia a uno come Giorgio, invece dargli a Giorgio a diciassette anni e mezzo, diciott’anni, gli dai questa cosa e tu lo butti poi in balia degli eventi.
A proposito del Nucleo operativo di TP guidato da Giorgio, Ciavardini ha ricordato la sensazione di essere «un po’ catapultati in questa realtà, perché in fondo eravamo solamente ragazzetti, un po’ più attivi sotto il profilo della presenza politica però non è che c’avevamo tutta questa conoscenza dell’illegalità armata, e invece ci siamo ritrovati insieme e ci siamo staccati sempre di più».
Trattandosi di un ragazzo di 18 anni appare comprensibile che, retrospettivamente, si cerchi una responsabilità “esterna” per spiegare le scelte compiute da qui in poi; appare quasi naturale che ciò avvenga in particolar modo nell’ambiente familiare e nel ricordo di chi ha condiviso con Giorgio momenti di amicizia e affetto, oltreché di militanza. «Mio padre – ricorda in proposito il fratello Riccardo – ce l’aveva a morte con Fioravanti». Anche secondo la madre la morte di Arnesano era «servita a Valerio Fioravanti per criminalizzare mio figlio e averlo suo succube». Tuttavia questa impostazione tende a cancellare le motivazioni, le spinte interiori e l’importanza che queste azioni potevano avere per lui. Rischiando di sottostimare, cioè, il significato in termini di ricerca di senso e di autodeterminazione che una scelta di vita così radicale poteva avere in quegli anni, in Italia, per un ragazzo inserito in dinamiche di militanza politica estrema.
Può certo supporsi che la stima e la fiducia incassate da figure carismatiche possano avere avuto un notevole e vincolante peso sulle scelte di Giorgio Vale. Ma appare comunque opportuna la considerazione di Dario Mariani, laddove osserva: «non credo che qualcuno l’abbia rovinato, era la sua forma mentis, il suo carattere. Io pure il fatto che l’abbia rovinato Valerio non mi sento di dirlo, perché tra l’altro ridimensioneresti di tanto l’intelligenza sua, la volontà sua, la scelta sua». L’input iniziale dell’azione di via Settembrini, per altro, è attribuito in diverse ricostruzioni processuali proprio a Giorgio Vale ed era probabilmente dovuto più al suo ruolo di nuovo vertice del gruppetto operativo tippino che al rapporto con Valerio Fioravanti. Quest’ultimo, che pure sulle prime aveva ritenuto l’ambasciata del Libano «un posto abbastanza pericoloso» per un’azione del genere, ha raccontato di aver voluto partecipare perché io mi sentii in qualche modo obbligato verso Giorgio perché lui mi aveva affidato… cioè mi aveva chiesto se potevo nascondergli certe armi, dopo gli arresti del dicembre del ’79 mi affidò delle armi da nascondergli, io ebbi…feci l’errore di affidarle a Calore per cui queste armi in qualche modo andarono perse ed ecco che io mi sentii in debito verso Giorgio insomma. Va be’ t’ho perso le armi e devo aiutarti a rifarti una tua piccola armeria diciamo, per cui questa azione fu fatta in parte per restituire quello che avevo mandato perso a Giorgio.
Anche Stefano Soderini, un altro componente del nucleo operativo di TP guidato da Giorgio, ha menzionato l’episodio delle armi da questi affidate a Fioravanti, inquadrandolo in un momento di evoluzione in cui il gruppo era dedito a operazioni sempre più importanti di autofinanziamento per finanziare appunto il movimento in quelle che potevano essere le sue esigenze. […] Nel corso di questa specializzazione che man mano acquisivano c’è stata una coincidenza di interessi con Valerio Fioravanti e il suo gruppo e quindi, probabilmente si sono avvicinati Vale e Fioravanti per interessi comuni di tipo pratico, operativo. […] Perché a un certo punto... con tutte le armi, con alcune armi che erano del gruppo operativo e che in quel momento Vale non sapeva dove gestire... quindi per questo iniziarono ad avere dei rapporti stretti Vale e Fioravanti.
D’altronde, nella memorialistica, l’associazione tra Giorgio e le armi è frequente, sia rispetto alla militanza politica, sia come passione personale: una (all’epoca) giovanissima militante di Terza Posizione, intervistata da Nicola Rao, ha ricordato ad esempio che, nell’ambito tippino, «tutti [lo] sapevano in possesso di una pistola sotto il sellino del vespone». E ha aggiunto subito dopo: «Ricordo di aver visto diverse volte Valerio Fioravanti». Stefano Greco, compagno di classe di Giorgio tra il ’78 e l’80, afferma: se ti dovessi fa’ un quadro adesso sarebbe l’immagine di lui così, col cappelletto in testa, il cappelletto in testa anche in classe, col giubbotto, il cappelletto in testa, così appoggiato sul banco, con la rivista di armi sotto che se leggeva la rivista. […] Ecco, questa è l’immagine che c’ho di Giorgio in classe.
FONTE: Carlo Costa-Gabriele Di Giuseppe, Corpo Estraneo, Milieu edizioni, 2021.
Nessun commento: