Reale: Fascismo (e Neo-) non furono conservatori né reazionari
Giacinto Reale ha risposto sollecitamente alla domanda da noi posta nel presentare il suo precedente intervento, una semi-recensione/ riflessione personale sul memoir di Francesco Rovella
IL FASCISMO MERIDIONALE NON FU CONSERVATORE-REAZIONARIO...e nemmeno il “neo”, soprattutto quello dei giovani.
Nella discussioncella sviluppatasi intorno al libro di Francesco Rovella è arrivato un nuovo contributo dell’Autore (lo trovate su Fascinazione), e la prima osservazione che mi viene da fare è che le nostre testimonianze, nel loro piccolo, smentiscono uno dei luoghi comuni più duri a morire, e cioè quello di un fascismo meridionale (e poi “neo”) conservatore se non reazionario.
E questo va negato da sempre, fin dalla vigilia fascista (la mia “passione”), che, nel dopoguerra, per i giovani del Sud che non avevano conosciuto l’esperienza della RSI, restava il riferimento più forte.
Lasciamo parlare i fatti, con qualche esempio:
- in Sicilia, “vulcanico esponente del fascismo” è Totò Giurato, scappato giovanissimo di casa per andare a Fiume, fondatore del primo fascio isolano, insieme con Totò Battaglia, considerato, come lui “bolscevico sotto la bandiera italiana” e autore, alla fine del ’21, nella sua Ragusa, di un manifesto che è facile trovare riprodotto in tutte le storie iconografiche del periodo:
“Ultimi ammonimenti alla borghesia locale
Domenica 20 corr, riunitasi l’assemblea della nostra sezione in numero imponentissimo, il legionario Totò Giurato, in seguito alle discussioni e di deliberati in merito alla direttiva della politica locale, proponeva il seguente ordine del giorno, che ad unanimità venne approvato: “L’Assemblea generale dei fasci qui riunita decide una politica di diretto avvicinamento alle masse oneste, manifestandosi per una azione aperta contro la borghesia locale che, nel momento attuale, dà prova palese di malafede ed incoscienza”
In base al suddetto ordine del giorno il nostro fascio stabilisce la definitiva direttiva da seguire”;
- in Calabria, dove forte è l’influenza di Michele Bianchi, già sindacalista rivoluzionario di spicco, che nel fascismo ha portato le sue idee sociali, così esordisce, il 20 giugno del 1920, il giornaletto stampato a Caulonia dal minuscolo e combattivo fascio locale:
“A voi, abbronzati lavoratori dei campi, infaticabili scrutatori della natura, ubriachi di sole e di fatica, a voi smunti operai delle officine, ricercatori instancabili, creatori indefessi di nuovi congegno di progresso, a voi umili minatori pallidi come la luce della lucerna che vi guida alla ricerca delle vitalità misteriose della natura sotterranea, giunga grato il saluto del nuovo sole della libertà.
Voi che soffrite invano il peso brutale dello sfruttamento, alzate con serenità la fronte; sono giunti i tempi della riscossa, sono questi i tempi della rivincita, l’animo pieno di fede nella sicura vittoria e avanti dunque per il sentiero fiorito che segnerà il cammino, il trionfo della nuova fede
Non più despoti e tiranni, non più sfruttatori delle umane energia; oggi più che mai, compagni lavoratori, si leva alto il nome del diritto e l’uguaglianza e la libertà nelle classi sociali si impone”(6)
- in Puglia, che conoscerà gli scontri più aspri tra le squadre a cavallo fasciste e i braccianti organizzati nelle leghe rosse, la figura dominante è quel Peppino Caradonna che un preoccupato rapporto del Prefetto così descrive il 31 maggio 1919:
“Nemmeno nei dirigenti delle predette sezioni (combattenti ndr) si può avere fiducia, perché alcuni per i loro principi sovversivi poco affidano, ed altri variano le idee da un giorno all’altro, e vanno coltivando delle utopie sovversive, come quella fatta nel comizio pubblico tenuto nel teatro Mercadante, il 24 corrente dall’avvocato Giuseppe Caradonna, Capitano del Regio Esercito, il quale inneggiò all’Internazionale e dichiarò essere tempo di finirla con la vecchia Italia, quella dell’agente delle imposte, del questurino in borghese e dell’Italia che disonorava l’Esercito col farlo correre da una città all’altra e frapporlo nelle lotte fra capitale e lavoro”
E che le idee siano chiare, lo testimonia la lettera dell’organizzatore sindacale fascista Luigi Granata, diretta a Starace, Vice Segretario del Partito, nell’agosto del 1922:
“I peggiori nemici di Andria sono appunto i signori cosiddetti dell’ordine. Essi ostacolano veramenteil fiorire delle nostre organizzazioni; essi minano il fascio, pretendono veramente di portare l’operaio alla schiavitù. Oggi, nelle giornate di agosto, minacciano,anzi insistono colvoler pagarel’operaio con lire 4,25 al giorno. L’operaio cosa può pensare ?...L’operaio, fatto maestro da un’esperienza di un non lontano passato, teme dai proprietari un ritorno all’antico, ed ha perfettamente ragione”;
- in Molise, alla fine del ’21, la sperduta sezione di Celenza Valfortore: “…fa voti perché al Congresso (quello nazionale, di novembre, a Roma ndr)sia costituito il Partito fascista del Lavoro, come in un primo momento propose Mussolini, e si augura che…..subito dopo, in un non lontano avvenire, il Partito Fascista del Lavoro affermi definitivamente il suo indirizzo repubblicano, seguendo la dottrina del grande Maestro (Mazzini ndr) falsata da indegni seguaci”.
E, al ritorno da Roma, per chi non abbia capito il concetto, la Sveglia, l’organo del fascismo molisano, ribadirà: “Siamo i ribelli di tutti i gretti ed impotenti conservatorismi, perché desideriamo che la Nazione si a ringiovanita e rigovernata”;
- a Napoli, Aurelio Padovani, forte del consenso tra le maestranze del porto, e pronte a fare a pistolettate con i Nazionalisti reazionari, farà precedere il suo primo corteo, a Castellamare di Stabia, da uno striscione sul quale c'è scritto: "“L’operaio è il nostro primo fratello: col suo aiuto salveremo la Patria”.
In tempi più recenti, quando la storia si farà cronaca (e qui per me il discorso è più arduo), come non citare il calabrese Ciccio Franco e la rivolta di Reggio, Leucio Miele e la sua “Lotta di popolo”, Giancarlo Cito, “campione” dei pescatori (e non solo) a Taranto.
Rilevava certo l’origine di molti di noi, che lambiva il proletariato, mentre nostri avversari, per esempio a Bari erano la nipote di Napolitano (per lo meno, così si diceva, era omonima, ora, mi pare sceneggiatrice e autrice televisiva), i due fratelli che sarebbero finiti uno regista coccolato dall’intellighentsia nostrana e l’altro direttore della Mostra di Venezia, il futuro corrispondente RAI da Pechino, e via dicendo, con una pletora di futuri professori, avvocati e professionisti vari.
Né va sottaciuto, per chiudere, che tra noi, anche chi era “borghese”, si infiammava d'una predicazione risorgimental-mazziniana fatte di eguaglianza e di doveri.
Questo fu il neofascismo “vero” di tutto il Sud. La sua colpa maggiore è stata quella di aver lasciato troppo spazio ai “moderati” (nelle idee e nei fatti).
Ma questo avvenne un po’ dovunque...e spiega Alleanza Nazionale e i suoi indegni postumi,
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