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24 gennaio 1975: Mario Tuti uccide due poliziotti

 

Quella sera i poliziotti vennero a casa perché probabilmente mi volevano arrestare. Erano del commissariato di Empoli, li conoscevo di vista tutti e tre. Si presentarono in borghese. Era sera, al piano di sotto c’era l’appartamento dei miei suoceri e, in quel momento, la mia ex moglie era lì. Suonano, gli vado ad aprire e mi dicono: «Dobbiamo controllare le sue armi». Io le avevo denunciate, anche perché un mese prima, a scopo fiscale, era stata modificata la legge sulle armi, ed era stato stabilito un ulteriore balzello, quindi uno aveva l’obbligo di denunciarle di nuovo tutte e pagare questa nuova tassa. Cosa che feci.

Comunque gli chiedo: «Avete un mandato di cattura?» Rispondono: «No, perché il nostro è solo un controllo amministrativo, lei ha denunciato un certo numero di armi su cui ha pagato delle tasse e dobbiamo fare questo controllo». Devo dire la verità: non ero completamente tranquillo. Perché avevano già arrestato Franci. Certo, la spiegazione che avevano dato poteva essere ragionevole, ma la cosa non mi convinceva fino in fondo. Tra l’altro, in casa, nella rastrelliera, in bella mostra, avevo delle armi di pregio: quattro fucili d’assalto regolarmente denunciati più alcuni fucili di precisione. Poi avevo altre armi in una sorta di stanza di lavoro, dentro un armadio. Ah, altra cosa. In previsione di situazioni di guerra contro lo Stato o contro la sinistra, tenevo sempre un paio di armi cariche nella rastrelliera...

Inizia il controllo delle armi. A mano a mano che le prendevano, portavo loro i documenti corrispondenti. A un certo punto insisto e gli chiedo: «Ma devo chiamare l’avvocato?» Mi tranquillizzano: «No, no, non ce n’è bisogno». Tra l’altro non conoscevo nemmeno avvocati penalisti, non ne avevo mai avuto bisogno perché ero incensurato.

A un certo punto, mentre mi trovo con due agenti nel soggiorno, dalla stanza dove c’era l’armadio con altre armi arriva il terzo agente. In mano ha una bomba a mano Srcm e mi chiede: «E questa cos’è?» Allora, io in casa avevo fucili d’assalto di una potenza micidiale, in grado di sfondare dei blindati. Che senso avrebbe avuto tenermi una Srcm da esercitazione, una bomba da effetto psicologico che fa solo un botto e disorienta? Io bombe ne avevo. Di quelle vere: ananas e perfino quelle tedesche, con il manico. Ma certo non le tenevo a casa. Le avevo in posti dove non le avrebbero mai trovate. Così dico al poliziotto: «Perché ’sta cosa non l’ha lasciata dove l’ha trovata e non ha chiamato qualcuno?» Risponde: «Questa è sua». Io insisto: «No, non è mia, ce l’ha messa lei». Allora mi rispondono: «Ora deve venire con noi». Io reagisco: «Allora chiamo l’avvocato». «No», insistono loro, «deve seguirci.» A un certo punto uno dei due che mi stavano più vicino mi dice: «Lei è in arresto», e mi punta contro una pistola. Per sua fatalità io ero a fianco della rastrelliera, dove avevo un fucile d’assalto carico. Lo stacco dalla rastrelliera, lui mi spara un colpo ma mi manca, e io gliene sparo contro due. Poi ho sparato anche al secondo agente e ho rincorso il terzo...

Diciamo che oggi, a tanti anni di distanza, credo che se non mi avesse puntato contro la pistola, li avrei minacciati con la mia arma, rinchiusi in una stanza e sarei scappato. La polizia dice che non è vero che l’agente mi sparò contro. Ma se si vedono le foto dei giornali del giorno dopo, si vede che uno dei due agenti morti ha la pistola in mano. La perizia dell’accusa ha sostenuto che la tirò fuori dopo essere stato colpito, ma invece non andò così. Anche perché, se hai ricevuto due colpi espansivi calibro 7,62 Nato, dopo non ce la fai a tirare fuori una pistola...

Il vicebrigadiere Falco e l’appuntato Ceravolo muoiono, mentre Rocca resterà gravemente ferito. Ma vediamo di ricapitolare.

Tuti conferma che la polizia non aveva mandati. E fin qui i conti tornano. Ovviamente non tornano più quando lui parla di una bomba a mano tirata fuori dal «cilindro» degli agenti per incastrarlo: versione che non ha mai trovato alcun riscontro ufficiale. Così come quella per cui uno dei poliziotti gli puntò contro un’arma dicendogli che era in arresto. A parte il fatto che, anche se fosse stato vero, non ci sarebbe nulla di irregolare nell’impugnare un’arma contro una persona accusata di terrorismo, con una casa piena di armi, che sta per essere arrestata. Mentre, ovviamente, l’episodio della Srcm portata dal commissariato non potrà mai essere verificato.

Fatto sta che Tuti spara, freddamente e velocemente, contro la pattuglia degli agenti. Poi fugge.

Sentiamo ancora la ricostruzione dell’episodio fatta dal ministro Gui:

Mentre i tutori dell’ordine stavano operando la perquisizione e provvedendo al riscontro e al prelievo delle armi, il Tuti, improvvisamente, imbracciava un fucile a ripetizione e faceva fuoco contro gli agenti. Il vicebrigadiere Falco rimaneva colpito mortalmente e l’appuntato Rocca, che si trovava a fianco del sottufficiale, veniva ferito gravemente. Il Tuti, precipitandosi per le scale, incontrava sulla porta esterna dello stabile l’appuntato Ceravolo, intento al trasporto delle armi sequestrate, e faceva fuoco anche contro di lui, uccidendolo all’istante [...] Nel frattempo, il Tuti era riuscito a dileguarsi sull’automobile di proprietà della moglie, ritrovata poi il giorno successivo in una strada periferica di Lucca. Nell’abitazione di Tuti venivano trovate ventuno armi tra fucili e pistole, quattro canne da fucile, due bombe a mano attive [quelle che Tuti nega di aver tenuto in casa, N.d.A.] e numerose munizioni.

La fulminea e violenta reazione di Tuti allarma investigatori e inquirenti. Cos’aveva da nascondere per reagire così violentemente? Ma lui su questo punto è sempre stato categorico:

Non avevo niente da nascondere e nessuno scheletro nell’armadio. Volevo evitare di essere arrestato e, ripeto, quando vidi che mi puntarono contro la pistola reagii così.

Il vicebrigadiere Falco aveva una figlia, Anna, che il giorno della morte del padre aveva 15 anni. Qualche anno fa Anna Falco ha deciso di creare un sito internet per ricordare la memoria del padre e di Ceravolo (www.falco-eceravolo.it). Nel sito si alternano momenti privati e tenerissimi ad altri di denuncia civile e sociale, ma si ricostruisce anche il giorno della sparatoria e si lanciano accuse pesantissime contro Tuti, e non solo.

Tra l’altro Anna Falco rivela che il padre andò addirittura disarmato a casa di Tuti:

La sua pistola quel giorno era su un armadio, ricordo lucidamente quando alcuni agenti vennero a prelevarla dopo la sua morte, consiglian-doci di tacere, quasi che accompagnare disarmato due colleghi (quella sera era fuori servizio, subito dopo erano tutti e tre attesi a una cena) per quello che sembrava un semplice controllo amministrativo a un professionista con la passione delle armi fosse una colpa che ne avrebbe infangato la memoria. Capii solo molto tempo dopo che ciò serviva molto semplicemente a coprire le responsabilità di chi non li aveva informati correttamente, forse per incapacità, o, più semplicemente, come suggerisce lo storico Giorgio Bocca, per le ampie coperture di cui godevano certi ambienti della destra eversiva in quel periodo.

La figlia di Falco, che ribadisce la tesi secondo cui nessun agente puntò la pistola contro Tuti, poi si chiede: «Perché Tuti, allora stimato e incensurato professionista, uccide due agenti di polizia se non fosse stato già coinvolto in reati gravi quali le stragi?»

Segue una serie di riferimenti giudiziari che portano tutti, secondo Anna Falco, alla colpevolezza di Tuti in alcune stragi, a cominciare da quella deltreno Italicus, per il quale il killer nero verrà effettivamente processato, ma alla fine assolto con sentenza definitiva.

FONTE: Nicola Rao, La Trilogia della Celtica

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