Minacce a Berizzi: in 13 rischiano il processo
Dopo quasi tre anni, la procura di Bergamo mette un punto fermo nell'indagine sulle minacce, anche di morte, contro l'inviato di Repubblica Paolo Berizzi. E ha notificato l'avviso di chiusura indagine a tredici soggetti accusati, appunto, di minaccia aggravata (oltre a diffamazione). Le indagini di carabinieri e polizia postale di Bergamo, coordinate dal pm Emanuele Marchisio, hanno portato a identificare in mezza Italia - dalla Lombardia al Veneto, dal Piemonte alla Toscana e fino al Lazio - i server da cui sono partite le aggressioni telematiche al giornalista, spesso da profili anonimi e quindi di non immediata identificazione.
I rapporti degli indagati con gruppi della galassia neofascista sono poi emersi già con le perquisizioni nelle abitazioni degli indagati, nel 2020. Oltre a pc, telefonini, memorie usb, le forze dell'ordine hanno sequestrato anche volantini di associazioni nazifasciste, bandiere con croci celtiche e svastiche, persino un'ascia. Documentati anche rapporti con ultrà di estrema destra delle curve e tifoserie calcistiche. Per i tredici indagati - c'è anche un insospettabile imprenditore noto negli ambienti di Inter e Milan - si avvicina così il processo: il pm chiederà per tutti la citazione diretta a giudizio.
Da anni Paolo Berizzi è oggetto di minacce e atti intimidatori per il suo lavoro d'inchiesta sul mondo dell'estremismo di destra. Sono ben sedici i procedimenti aperti in diverse procure, sempre per minacce e atti intimidatori nei suoi confronti, dal 2017 a oggi. Dopo nuove recenti minacce emerse e dopo la pubblicazione dei video di Fanpage sulla galassia nera -, in cui il nome di Berizzi viene citato da alcuni partecipanti ad una cena elettorale in modo canzonatorio e derisorio -, il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Bergamo, d'intesa con il ministero dell'Interno, ha rafforzato la scorta che da febbraio 2019 accompagna il giornalista: unico cronista europeo attualmente sotto protezione per minacce neofasciste e neonaziste.
FONTE: Repubblica.it
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