8.10.82 Walter Sordi guida i carabinieri a caccia di fuggitivi
Un documentario di cinque puntate trasmesso un anno fa da Sky "Roma di piombo, diario di una lotta", ricostruisce l’attività di contrasto condotta dal giugno 1978 fino al 1989 da parte della Sezione speciale dei carabinieri della Capitale contro la colonna romana delle Brigate rosse.
Il documentario (ideato da Paolo Colangeli, scritto da Michele Cassiani con Egilde Verì e regia di Francesco Di Giorgio), è tratto dal libro “Il lungo assedio” (Melampo editore), scritto dall’ex colonnello dei carabinieri Domenico Di Petrillo per ricostruire con interviste e immagini d’epoca come il Nucleo speciale, istituito dopo il sequestro Moro su indicazione del Generale Dalla Chiesa, riuscì ad arrestare la gran parte dei brigatisti romani tra il 1980 e il 1989. Ma la sezione aveva anche un nucleo di destra che valorizza la cattura di Walter Sordi, reclutandolo come un vero e proprio "scout" sulle piste dei latitanti. La ricostruzione che il colonnello offre del blitz alla stazione Termini l'8 ottobre 1982 smentisce la "leggenda nera" di Paolo Stroppiana, il pentito nero poi condannato per omicidio sessuale, catturato e reinfiltrato ma al tempo stesso conferma quella del "guerriero senza sonno" che "si fa" carabiniere e dorme in caserma
L’8 ottobre 1982 un commando armato compì una rapina all’agenzia 22 del Banco di Santo Spirito di via dell’Accademia degli Agiati a Roma. Nella circostanza uno dei rapinatori lanciò una bomba a mano Srcm a scopo intimidatorio per favorire il loro allontanamento dal luogo. L’azione venne rivendicata dai Nar con una telefonata all’agenzia giornalistica Ansa.
Quel giorno Walter Sordi si trovava negli uffici della Sezione per ragioni investigative e, messo a parte delle modalità con cui era stata effettuata la rapina, ipotizzò che i Nar ne fossero responsabili. Le sue argomentazioni furono talmente convincenti che seguimmo il suo suggerimento di mettere sotto controllo la stazione Termini: era infatti molto probabile, ci disse, che i rapinatori si sarebbero allontanati dalla Capitale in treno. Tutto il nucleo di destra, capeggiato da Nicola Cardoni, con il supporto di operativi da altri nuclei, incluso me, raggiunse immediatamente la stazione ferroviaria disponendosi lungo tutta la fascia che precede i binari. Un servizio che avremmo ripetuto nei giorni seguenti in caso di mancato rintraccio.
Non conoscendo i volti dei ricercati, portammo con noi Walter Sordi opportunamente camuffato.
Quella sera stessa, tuttavia, sorprendemmo Carlo De Cillia, Franco Casellato, Mauro Ansaldi e Paolo Stroppiana mentre aspettavano sulla banchina l’arrivo di un treno diretto a Torino. Ciascuno portava una borsa con sé. Decidemmo di intervenire immediatamente: la cattura avvenne con rapidità, grazie alle collaudate modalità di blocco fisico che non consentirono loro di reagire.
Recuperammo una parte del bottino della rapina e armi, munizioni, targhe false e documenti ideologici.
Un ulteriore – e inatteso – sviluppo della cattura fu che sia Stroppiana che Ansaldi decisero di collaborare, fornendo informazioni preziose per allargare l’indagine sul territorio nazionale. Stroppiana riferì, tra l’altro, dell’esistenza di un appartamento a Torino, in via Monte Asolone 63 (nella foto), preso in affitto con documenti falsi da Fabrizio Zani e dalla sua compagna Giovanna Cogolli.
Un’abitazione frequentata saltuariamente dallo stesso Stroppiana e da altri membri dei Nar e di Terza Posizione (Pasquale Belsito, Stefano Soderini, Gabriele Adinolfi e altri “camerati”). Di ciò venne informata la Sezione di Torino che pose sotto osservazione la casa per molti giorni, senza che si presentasse nessuno. Finché si decise, di concerto con la Procura, di entrare nell’appartamento e perquisirlo.
Vi erano armi, munizioni, bombe a mano, vari documenti di identità falsificati, compresi tesserini delle forze di polizia, materiali per la contraffazione. Dopo aver sequestrato il materiale, si decise di continuare l’osservazione dall’esterno con l’impiego di “furgoni civetta”.
Dopo qualche giorno, una sera, gli uomini del servizio di osservazione notarono che le luci dell’appartamento erano state accese e decisero di farvi irruzione. Non trovandovi nessuno, si accertò che gli occupanti erano riusciti a sfuggire da un cortile interno utilizzando una porticina al piano terra.
Un fatto spiacevole, poiché speravamo di catturare Fabrizio Zani, il quale rappresentava un elemento importante dell’area eversiva di destra e, in caso di cattura, il suo pentimento sarebbe stato determinante sia per l’azione di contrasto che per spiegare molti episodi delittuosi non ancora chiariti.
Zani crebbe politicamente a Milano frequentando il famoso gruppo di piazza San Babila, un ambiente intriso di una concezione eroica ed esaltata dell’individuo. “Guerrieri aristocratici” che consideravano il resto della società come un’accozzaglia di gentucola inconsistente e da governare.
Questa sua formazione lo portò a essere un teorizzatore dell’anarchismo di destra in una logica del superuomo. Dopo una prima esperienza carceraria tentò, senza successo, di creare un sistema di solidarietà organizzata tra i detenuti politici e anche con l’esterno mediante attività di propaganda armata.
Non riuscì nei suoi progetti ma si pose in evidenza, tanto da divenire amico di Mario Tuti, fondatore del Fronte nazionale rivoluzionario, organizzazione eversiva di stampo fascista-repubblichino. Durante la detenzione conobbe e diventò amico di Roberto Nistri, che lo introdusse nell’ambiente romano. Si avvicinò a Terza Posizione e riparò all’estero con altri quando questa venne perseguita. Quindi si impegnò a fondo per recuperare l’esperienza dei Nar, specie a seguito dello sbandamento causato dai numerosi arresti.
Giovanna Cogolli, sua compagna, era una militante di destra molto nota, vicina all’ambiente ordinovista toscano, nel quale diventò molto amica dello stesso Tuti. Svolse un ruolo fondamentale sia come stimolo per Zani sia grazie alla sua figura di militante politica stimata e preparata.
FONTE: Domenico Di Petrillo, Il lungo assedio
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