7 marzo 1956. Alfa Giubelli, la vendicatrice
E' nota la storia di Carlotta Corday, la ventiquattrenne francese che il 13 luglio 1793, penetrata nell'abitazione di Marat, immerso nella tinozza per curare una dermatosi infiammatoria che l'assillava, gl'infila l'intero pugnale sotto la clavicola per vendicare le persecuzioni giacobine che l'"amico del popolo", un fallito al quale la rivoluzione ed il terrore avevano fornito un buon mestiere, aveva reclamato ed ottenuto contro il partito girondino cui la giovane normanna apparteneva.
Non so dire se la storia si ripeta o no ma talune circostanze, indubbiamente, trovano assonanze spesso prodigiose.
La macelleria giacobina del 1793 - che la mala fede di certi storici chiama pudicamente "eccessi rivoluzionari" - e quella partigiana del 1944/1945 - che la vulgata antifascista riduce a semplici "casi isolati" - s'assomigliarono assai e rivaleggiarono quanto a raffinatezze d'esecuzione; gli annegamenti collettivi nella Loira dei Vandeani e gli infoibamenti titini degli Istriani ubbidivano alle stesse esigenze di sterminio etnico e di sadico compiacimento dei boia.
La giovane età della francese, amante della "liberté" ma girondina perseguitata dal furore sanguinario dei montagnardi l'avvicina in qualche modo alla nostra Alfa Giubelli, ventiduenne nel 1956.
Aveva solo dieci anni quando, nel 1944, arrivò l'ordine del partigiano Aurelio Bussi (nome d'arte "Palmo") di prelevare la madre dalla sua abitazione di Crevacuore, nel biellese, "perché fosse interrogata".
Margherita Ricciotti era moglie di un soldato partito per la guerra e la sua famiglia era sempre stata di sentimenti fascisti.
"Tutti i Ricciotti sono spie - aveva sentenziato "Palmo" - e le spie fasciste vanno eliminate". L'ordine era arrivato dall'alto, da "Gemisto" (alias Francesco Moranino, deputato comunista del dopoguerra la cui grazia da parte del presidente della repubblica Saragat, nel 1965, era stata barattata dal Pci in cambio dei voti per la sua elezione).
La donna, che nulla sospettava e pensava di sbrigare la faccenda in poco tempo, s'era portata con sé la figlia ma invece d'essere accompagnata al comando fu portata al cimitero.
Una raffica di mitra sparata da "Palmo", alla presenza della bambina impietrita dal terrore, chiuse rapidamente la pratica.
Altrettanto rapidamente fu archiviata la pratica giudiziaria, quando nel 1953 il pubblico ministero chiese ed ottenne dal giudice istruttore di Vercelli l'archiviazione del caso poiché il fatto andava qualificato come "azione di guerra" e dunque non era punibile.
Tre anni dopo Alfa, sposatasi giovanissima con un ex marò della Decima Mas, il mattino del 7 marzo, prende dal cassetto la pistola del marito e sale sulla corriera per Crevacuore dove il Bussi, naturalmente insignito di medaglia d'oro per gli atti di valore compiuti nel corso della Resistenza, era nel frattempo divenuto sindaco, eletto nelle file del Pci.
Rintracciato l'eroe partigiano a casa della sua convivente , dopo aver pronunciato le parole "sono Alfa Giubelli, la figlia di Margherita Ricciotti", lo fa secco a pistolettate e si costituisce immediatamente alla caserma dei carabinieri.
Al processo Alfa é condannata a cinque anni e tre mesi di reclusione, pena mite che le viene inflitta col riconoscimento del vizio parziale di mente.
C'era un giudice quel giorno.
Gianni Corregiari
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