Edgardo Bonazzi, da sicario di provincia a grande accusatore sulle stragi
Edgardo Bonazzi ha vissuto molte vite. La prima, da attivista e sqaudrista missino, finisce il 25 agosto 1972, quando, in un agguato ferisce a morte, con una coltellata al cuore, Mariano Lupo, giovane operaio militante di Lotta continua. In appello la condanna piuttosto mite (11 anni per omicidio preterintenzionale) è portata a 15 anni. Il giovane neofascista parmense li sconta quasi tutti: è infatti scarcerato nel 1986 ma resta in contatto con Mario Tuti. Gli è stato compagno di cella, ha collaborato con lui alla rivista dei detenuti "spontaneisti", Quex.
La libertà dura poco: un anno. Ritorna in cella nell'ottobre 1987 con il fratello. Li "intercettano" seguendo le tracce dei due fratelli di Maroccu, un ergastolano sardo che ha partecipato alla sommossa di Porto Azzurro, a fine agosto. Li accusano anche di una rapina, che sarebbe servita a finanziare l'iniziativa. L'inchiesta coinvolge anche neofascisti milanesi: Andrea Calvi, già arrestato per il favoreggiamento di Gilberto Cavallini, e Paola Frassinetti, allora dirigente del Fronte della gioventù, oggi parlamentare di Fratelli d'Italia. Saranno entrambi prosciolti da ogni addebito.
Dopo il secondo arresto Bonazzi rompe con l'ambiente e "cambia vita". Il cono d'ombra in cui si ripara non lo sottrae alle "sconseguenze" della sua condotta criminale. Ce ne informa la Repubblica, il 13 febbraio 1994:
Edgardo Bonazzi, 44 anni, neofascista attivo negli anni ' 70, già condannato a 15 anni di carcere per l' uccisione nel ' 72 del militante di Lotta Continua Mariano Lupo, è stato arrestato a Parma per detenzione e spaccio di stupefacenti. Bonazzi è tornato in carcere come uno dei capi di un' organizzazione (sei le persone arrestate) che secondo la squadra mobile ha spacciato, negli ultimi mesi a Parma, cinque chilogrammi di eroina pura. La squadra mobile ha sequestrato 20 milioni di lire e 900 grammi di eroinaStavolta Bonazzi, che ha retto bene il carcere duro degli anni di piombo, ci mette poco a pentirsi. Il 15 marzo 1994 è gia davanti al gip milanese Guido Salvini che ha aperta un'istruttoria sulla strage di piazza Fontana con il vecchio rito:
Io sono stato detenuto dall’ agosto 1972 sino al 1986 in quanto responsabile con altri militanti del Msi di Parma della morte dell’ operaio di Lotta Continua Lupo Mario, episodio che si inquadra negli scontri fra giovani di opposte tendenze che caratterizzavano quel periodo. Io ero un militante del Msi e come tale non sono mai stato coinvolto in episodi eversivi, ma in seguito, durante la mia lunga detenzione, ho vissuto in carcere con molti esponenti di destra via via arrestati nel corso delle varie indagini e con molti di essi ho avuto rapporti di buona amicizia e confidenza. Personalmente non ho mai condiviso la strategia delle stragi ne’ collusioni fra elementi di destra ed elementi degli apparati dello stato perche’ ho sempre avuto del fascismo l’ idea del movimento popolare che doveva radicarsi fra la gente per cambiare le cose. Ho partecipato, a partire dal 1978, all’ esperienza della rivista “Quex”, convincendo alcuni responsabili di tale rivista a consentire la partecipazione di Izzo Angelo, persona che ritenevo potesse essere recuperata nonostante il crimine da lui commesso e a cui del resto ero legato da profonda amicizia. Alla luce di questa premessa mi sento in grado di rispondere alle domande che concernono taluni aspetti degli episodi di strage che si riferiscono in sostanza a notizie che io ho appreso durante la mia detenzione.
Arrestato e condannato ad una lunga pena detentiva, egli, fino alla metà degli anni ‘80, ha condiviso la carcerazione con soggetti dello spessore di FREDA, CONCUTELLI, AZZI e GIANNETTINI in vari carceri speciali, apprendendo da essi, in quanto considerato un camerata affidabile, una notevole mole di notizie su tutti i fatti di strage e di eversione.A partire dal 1994, Edgardo BONAZZI, prima con una serie di colloqui investigativi con personale del R.O.S. Carabinieri e poi, in sede di formale testimonianza dinanzi a questo Ufficio e ad altre Autorità Giudiziarie, ha deciso con sempre maggiore determinazione di rivelare quanto a sua conoscenza sulla base di una profonda revisione critica dell’esperienza politica del mondo dell’estrema destra. Egli ha infatti più volte sottolineato che il vincolo della "fedeltà" fra camerati non può e non deve essere mantenuto ogniqualvolta le notizie apprese riguardino responsabilità personali o di gruppo su fatti di strage, episodi come tali estranei a qualsiasi forma di antagonismo politico anche deciso e caratterizzati, come lo stesso BONAZZI aveva avuto modo di rendersi conto in carcere, da complicità del mondo della destra con apparati istituzionali che erano in grado di manipolarne ed utilizzarne i militanti.
- il rifiuto di Concutelli di avvalorare l'alibi di Freda sui 50 timer accettando di farsi identificare come il "capitano algerino" a cui Freda li avrebbe consegnati;
- a prendere il taxi di Rolandi era stato un neofascista sosia di Valpreda per impistare le indagini sugli anarchici;
- Giancarlo Rognoni aveva assicurato l'appoggio logistico agli esecutori veneti.
«Con Fumagalli e poi per un periodo anche con Bonazzi».
— Lei ha mai saputo direttamente dal signor Bonazzi che uno dei possibili autori materiali della strage di Piazza Fontana fosse il signor Delfo Zorzi? Bonazzi le ha mai detto qualcosa del genere?
«Addirittura un nome come Zorzi io ritengo di averlo appreso quando sono stato interrogato sei o sette anni fa dal procuratore, la dottoressa Pradella».
— Ha mai sentito una conversazione nella quale Nico Azzi confidasse del coinvolgimento diretto del dottor Delfo Zorzi o del signor Rognoni nella strage di Piazza Fontana?
«Assolutamente non l'ho mai sentito. Aggiungo anche che in quel momento tra me e Edgardo Bonazzi c'era una notevole comunità d'intenti, di visioni, quindi è impensabile che Bonazzi in quel momento potesse aver saputo e non ne parlasse con me. Anche dicendo magari: "mi hanno detto questo e non ci credo". Oppure: "mi hanno detto questo, come lo valutiamo? che credibilità può avere?" ».
— Lei ha collaborato con la rivista Quex?
«Sì».
— Senta, le ultime due domande. Ci riferivamo al periodo di detenzione presso il carcere di Nuoro. Confidenze, informazioni, relativamente al coinvolgimento del dottor Delfo Zorzi, le ha mai sapute in assoluto?
«Le ripeto che Delfo Zorzi è un nome che ho sentito sicuramente per la prima volta quando sono stato interrogato. Non escludo che magari possa averlo visto in qualche articolo di giornale se ne aveva già parlato ma è un nome che a me non diceva niente. la prima volta che ho fatto un po' mente locale su questi nomi è quando è stata riaperta di nuovo l'inchiesta. Siccome lei sta parlando di Quex, su Quex a seguito dell'attentato alla stazione di Bologna nell'agosto del 1980 pubblicammo un articolo, non mi ricordo se a firma mia e di Bonazzi o solo di Bonazzi, in cui si analizzava proprio la questione delle stragi e si diceva che nulla ci risultava. Tra l'altro all'epoca Quex era ancora una rivista che quando parlava male di qualcuno, questo poi subiva grosse conseguenze. Quindi era una rivista nella quale noi eravamo impegnati, nella quale sapevamo quello a cui andavamo incontro. Non ci saremmo permessi di dire una cosa per un'altra».
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