22 agosto 1930. Nasce Guido Giannettini, una spia nera negli apparati atlantisti
«Con Guido Giannettini ho diviso la cella. Era una persona squisita, coltissima, sostanzialmente un nazista, aveva un culto per il nazionalsocialismo, e un'eccellente preparazione militare. Chi era veramente? Un agente segreto o un fascista? Nel senso che mi chiedevo se si sentiva più un funzionario dello Stato o un camerata. Con gli altri camerati volli capire una volta per tutte chi fosse. In cella eravamo io, Ferri, Azzi e un altro. L'abbiamo persino drogato: con una colletta comprammo tre pasticche di Lsd chiamate Pink Floyd e le abbiamo messe nel suo tè. Be', per tre giorni e tre notti se ne stette sul tavolo in mutande e ci tenne lezioni di geopolitica militare. Non ne potevamo più. L'unico momento di lucidità lo ebbe quando vide Andreotti in tv e disse che era un falso. Comunque, per toglierci il dubbio, chiedemmo consiglio a Freda. Lui ci disse di trattarlo come avremmo trattato lui stesso».
Così Maurizio Murelli in una testimonianza a Massimiliano Griner in "Anime nere" attesta il solido legame tra Freda e Giannettini. Legame confermato nel pamphlet "Una vendetta ideologica", pubblicato dopo la sentenza della Cassazione sull'ultimo processo per Piazza Fontana. Il testo polemizza con l'insolita prassi giudiziaria di dichiarare Freda colpevole della strage sebbene non processabile perché già assolto. Freda coglie però l'occasione per un'orgogliosa rivendicazione dell'attività svolta e ridotta sotto specie criminale dalla repressione dello Stato borghese. In questo contesto restituisce l'onore al malcapitato Giannettini (che già aveva tutelato dai cattivi propositi dei prigionieri 'neri') disvelandone il coraggioso impegno di controinfiltrato, un altro miliziano oltre la linea:
"Perché D'Ambrosio, virtuoso dell'ipotesi, non si pose mai l'interrogativo: non poteva essere Giannettini l'infiltrato del gruppo di sediziosi entro i servizi segreti? Bastava rovesciare gli equilibri della questione. Non i ribaldi della reazione, ma gli uomini stessi dello Stato impiegati da questi come strumenti".
La sua figura paradossale di spia che comincia la carriera da spiato era già emerso nel dibattimento di Catanzaro:
"Il 26 settembre 1961 viene disposto che sia sottoposto a vigilanza speciale [in particolare nei suoi spostamenti in tutta Italia] perché risulta in contatto con elementi dell'Oas. Misura che viene poi revocata nel tardo 1968 perché, nel frattempo, l'Oas ha cessato di esistere".
Nell'arco di questi lunghi anni Giannettini, figlio di un ufficiale di carriera (era infatti nato a Taranto dove il padre prestava servizio in Marina), si è dato molto da fare, conquistando ampi spazi di collaborazione in ambito militare. Ha scritto per le testate ufficiali di Difesa e Marina, ha collaborato con il generale Aloja nello scontro frontale con De Lorenzo, elaborando insieme a Pino Rauti il materiale di sostegno alla campagna per una svolta professionale dell'Esercito. Soprattutto, essendo uno dei massimi esperti italiani della guerra controrivoluzionaria, ha elaborato le tre dispense dottrinarie per la formazione dei quadri di Gladio-Stay behind, poi pubblicate in un unico volume, nel 1964, dall'Ufficio Guerra non ortodossa e Difesa psicologica del Sifar
A tirarlo in mezzo nell'inchiesta su Piazza Fontana era stato, nei primi mesi del 1973 Giovanni Ventura. L’editore trevigiano, nel tentativo di alleggerire la sua posizione, dopo aver rinnegato la sua amicizia con Freda, comincia a riferire ai magistrati milanesi Alessandrini e D’Ambrosio di contatti da lui avuti con ambienti dei servizi segreti. Sulle prime Ventura parla di un italiano e di un romeno con i quali scambiava informazioni. Gli stessi gli avevano offerto una sorta di copertura nel compiere attentati che servivano allo stesso Ventura per garantirsi entrature negli ambienti politici sui quali spiava.
Si scopre ben presto che mentre il romeno è una pura invenzione di Ventura, la spia italiana esiste e corrisponde al nome di Guido Giannettini, giornalista del Tempo, esperto in cose militari, informatore di scarso successo del SID, Servizio Informazioni Difesa, il servizio segreto militare italiano.
Il 15 maggio 1973, nel corso di una perquisizione nel domicilio romano di Giannettini, vengono trovati elementi che accostano lo stesso ad un deposito di armi trovato a disposizione del Ventura e a documenti che sempre Ventura conservava in una cassetta di sicurezza in una banca di Montebelluna. Il 24 maggio Ventura ammette che quei documenti, note informative, le aveva ricevute da Giannettini il quale, nel frattempo rifugiatosi all’estero con l’aiuto del SID, veniva raggiunto da un primo avviso di garanzia (all’epoca si chiamava comunicazione giudiziaria) il 31 agosto 1973. Il 9 gennaio 1974 la magistratura milanese spicca nei confronti di Giannettini un mandato di cattura con l’accusa di associazione sovversiva e per concorso negli attentati che avevano preceduto la strage di piazza Fontana.
L’attenzione dei magistrati si accentra quindi sul SID. Nel frattempo è emersa una velina – che poi, ma molto tempo dopo, si rivelerà falsa – è che nell’immediatezza dell’attentato faceva il nome, oltre che di Mario Merlino, anche di Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia nazionale. Resa nota agli stessi magistrati nella sua interezza solo il 24 ottobre 1973, questa falsa informativa attribuiva proprio a Merlino e Delle Chiaie, in combutta con il cittadino tedesco Yves Guerin-Serac e alla sua Aginter press, la paternità della strage di Milano e degli attentati a Roma. Ma il ruolo avuto dal SID non tanto nel depistaggio, quanto nella stessa preparazione dell’attentato, è destinata a rimanere misteriosa. Soprattutto dopo che il capo del SID, il gen. Vito Miceli, annuncia che sull’appartenenza al SID stesso di Giannettini è stato posto il segreto di Stato.
Ma a confermare il rapporto di collaborazione tra il servizio segreto militare e Giannettini, nella primavera del 1974 ci pensa, a sorpresa, l’allora ministro della Difesa Giulio Andreotti che in un’intervista al settimanale Il Mondo fa cadere il segreto. L’8 agosto 1974 Giannettini, latitante da quasi un anno, si presenta all’ambasciata italiana a Buenos Aires e confessa di essere stato aiutato e coperto nella sua fuga all’estero da ufficiali del SID e ne fa anche i nomi: il gen. Gianadelio Maletti, capo della sezione “D” del servizio segreto, e il cap. Antonio Labruna. Arrestato al suo rientro in Italia e ascoltato dal giudice istruttore di Milano, Giannettini è un fiume in piena: ammette di essere stato un “collaboratore” del SID; di essere politicamente collocato a destra; di essere estraneo agli attentati anche se in rapporti stretti con Freda e Ventura.
Giannettini, condannato all’ergastolo, in primo grado a Catanzaro, assieme a Freda e Ventura, sarà definitivamente assolto dalla Cassazione, sempre assieme ai due neofascisti nel 1987.
Nel corso del processo di Catanzaro si era scontrato in aula con Freda sulle ragioni della sua presenza a Padova nella riunione notturna del 18 aprile 1969, tappa decisiva della escalation che porterà a piazza Fontana.
Il tempo dimostrerà che, come per le prese di distanza di Ventura, erano solo tattiche giudiziarie e il legame tra Freda e i suoi coimputati era rimasto ben saldo sotto l'apparente ammuina delle baruffe processuali. Così come in qualche modo avevano funzionato antiche solidarietà: dopo il processo di Catanzaro trova lavoro nel ramo editoriale delle imprese di Ciarrapico. Muore a Roma a 73 anni, ormai reso cieco dal diabete
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