80 anni fa l'Italia entra in guerra
Sono le sei del pomeriggio: la folla sventola tricolori e grida un ritmato “duce-duce-duce”. La piazza lo vuole, lo chiama, in un crescendo festante. Quando si affaccia, le urla di visibilio travolgono il balcone di piazza Venezia di una gioia incontenibile. Si sa già quel che dirà, le voci circolano e molti, tra la folla, sono stati istruiti a guidare i cori di consenso. I cartelli agitati riportano “Malta”, “Corsica”, “Tunisi”, le conquiste sognate con la nuova guerra, dimostrando che la messinscena è stata preparata nei minimi particolari. Anni di “adunate oceaniche” hanno creato un meccanismo collaudato.
Quello di Mussolini, come spesso gli accade, non è un vero e proprio discorso: è più un dialogo a due, tra il dittatore che dall’alto chiama a sé la nazione e la folla assiepata sotto, vociante rappresentazione di tutto il popolo, il suo popolo. Gli “italiani nuovi”, che per anni a scuola, nelle piazze, sui libri, alla radio e al cinema sono stati preparati al “cimento della battaglia”, si trovano ora accalcati sotto lo sguardo dei gerarchi, uniti nel pretendere quel che è stato loro promesso: la guerra. Mussolini ha scelto il teatro di piazza per la dichiarazione di guerra appena consegnata. Altri prima di lui hanno scelto la radio, come in Gran Bretagna, o le assemblee rappresentative, come in Francia. Hitler con la Polonia addirittura ha “fatto senza dire”, applicando meccanicamente, ineluttabilmente, i termini dell’ultimatum dato a Varsavia.
Benito Mussolini, da attore consumato, ha invece bisogno di un pubblico, possibilmente acclamante. Per questo l’organizzazione del partito raduna una folla ai suoi piedi; e non una folla passiva; il duce ha bisogno di un coprotagonista che occupi la scena con lui. La massa non si limita ad ascoltare ma interviene, sprona, reclama. Nel servizio registrato e diffuso dai cinegiornale e dalla radio per dire a tutta Italia della guerra imminente l’urlo della piazza, la voce del popolo, occupa quasi lo stesso spazio di quella del duce. Un dialogo, appunto, in cui gli italiani lì rappresentati sono chiamati a certificare una decisione. Ogni pausa melodrammatica, ogni parola evocativa mandano letteralmente in estasi la massa indistinta del popolo, che sottolinea il suo esserci ed essere d’accordo. La fatidica frase “la dichiarazione di guerra è stata consegnata agli ambasciatori…” è travolta dal boato che il sapiente montaggio Luce riesce a sottolineare pur tagliando un pezzo dell’interminabile ovazione. La voce del popolo sommerge quella del dittatore in un urlo liberatorio che sa di “finalmente!”. A ben vedere non è il duce che trascina l’Italia in guerra, da quel balcone il 10 giugno del 1940; è l’Italia tutta, il popolo nuovo, che finalmente riesce a convincere il paterno Mussolini a entrare in guerra. Quantomeno è questo che il regime si e ci racconta.
Il discorso prosegue: dopo le bordate di “buuu” a Gran Bretagna e Francia che lo interrompono – il popolo già odia, pare, il nemico che gli è stato indicato –, il duce specifica immediatamente come egli abbia fatto tutto quanto in suo potere per evitare l’inevitabile. Ma subito passa a enumerare i motivi per cui l’impero italiano è obbligato a buttarsi nella mischia: le iniquità delle potenze straniere; la necessità di riadeguare i trattati che soffocano il paese; il bisogno di fare spazio a un popolo di 45 milioni di anime che non sarà realmente libero se non avrà accesso all’oceano. La volontà di combattere “la lotta dei popoli fecondi e forti contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto”. Slancio vitale, rottura degli schemi, espansione guideranno la guerra fascista con connotati chiaramente razziali. Il tutto viene accolto dall’assordante, per orecchi e coscienze, boato di approvazione di quella folla chiamata a rappresentare una nazione intera.
Il 10 giugno del 1940 la messinscena propagandistica fa sì che sia un simulacro di Italia compresso davanti a palazzo Venezia a dichiarare guerra: nei cinegiornali passati alla storia le immagini nitide di quei volti sorridenti che gioiscono dello scontro vorrebbero testimoniare la volontà ferrea del popolo intero, a cui opporsi non potrebbe neppure il duce, se mai lo volesse.
Nel paginone dedicato all'80esimo anniversario dell'entrata in guerra dell'Italia, la Repubblica sottolinea il ruolo da protagonista del popolo nel rituale celebrato da Mussolini. Questo comunque il suo discorso: sopra il documentario dell'Istituto Luce, sotto il testo:
"Combattenti di terra, di mare e dell'aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d'Italia, dell'Impero e del regno d'Albania! Ascoltate!
L'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia.
Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano.
Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste parole: frasi, promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell'edificio, l'ignobile assedio societario di cinquantadue stati. La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. Con voi il mondo intero è testimone che l'Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l'Europa; ma tutto fu vano.
Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l'eternità; bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie, che si è palesata soprattutto micidiale per coloro che le hanno accettate; bastava non respingere la proposta che il Führer fece il 6 ottobre dell'anno scorso, dopo finita la campagna di Polonia. Oramai tutto ciò appartiene al passato. Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una guerra, gli è che l'onore, gli interessi, l'avvenire ferreamente lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia.
Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime; noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l'accesso all'Oceano. Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione; è la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l'oro della terra; è la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto, è la lotta tra due secoli e due idee. Ora che i dadi sono gettati e la nostra volontà ha bruciato alle nostre spalle i vascelli, io dichiaro solennemente che l'Italia non intende trascinare altri popoli nel conflitto con essa confinanti per mare o per terra. Svizzera, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di queste mie parole e dipende da loro, soltanto da loro, se esse saranno o no rigorosamente confermate.
Italiani!
In una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi che, secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui sino in fondo. Questo abbiamo fatto e faremo con la Germania, col suo popolo, con le sue meravigliose Forze armate. In questa vigilia di un evento di una portata secolare, rivolgiamo il nostro pensiero alla maestà del re imperatore, che, come sempre, ha interpretato l'anima della patria. E salutiamo alla voce il Führer, il capo della grande Germania alleata.
L'Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere! E vinceremo!, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all'Italia, all'Europa, al mondo.
Popolo italiano, corri alle armi! e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!"
FONTE: il portale dell'ANPI
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