Header Ads


20 giugno 1978: Macchi arrestato per una bomba alla Sip. Trent'anni dopo racconta la vera storia del Mrp


A metà giugno 1978 riprende la campagna di attentati dinamitardi contro i simboli del potere avviata da un gruppo di fuoco di Costruiamo l'azione dopo il sequestro Moro. Attentati che non sono rivendicati. Così li ricostruisce Nicola rao in "Il piombo e la celtica"

Nella notte tra il 21 e il 22 maggio 1978 una bomba esplode davanti all’ingresso del ministero di Grazia e giustizia. L’onda d’urto fa volare di diversi metri i due carabinieri di guardia e una donna che passava in quel momento. I leader operativi dell’ambiente che gravita intorno a Cla sono Emanuele Macchi di Cellere (Lele, per amici e camerati) e Marcello Iannilli. È proprio Iannilli a piazzare la bomba sul davanzale di una finestra seminterrata del ministero. Poi accende la miccia, della durata di soli due minuti. Tanto che fa appena in tempo a voltare l’angolo prima che la bomba esploda. L’attentato non viene rivendicato.
Passano tre settimane e il 15 giugno deflagra un’altra bomba. Stavolta davanti all’ingresso dell’autoparco dei vigili urbani, in via di San Teodoro.
Cinque giorni dopo, altro attentato. L’obiettivo è la direzione regionale della Sip, l’azienda telefonica di Stato, in via Usodimare. Ma stavolta qualcosa va storto. I due attentatori scappano in moto, ma vengono inseguiti per un tratto da un passante, anche lui motorizzato. L’uomo riferisce alla polizia che la moto dei fuggitivi era una Kawasaki 500 ed è riuscito anche a prendere alcuni numeri della targa. Tre giorni più tardi la Digos arresta una persona, accusandola di essere il proprietario della moto: si tratta proprio di Lele Macchi, che in quel periodo è già considerato uno dei più prestigiosi, carismatici e apprezzati militanti di destra di tutta Roma. Il fatto è che Macchi è effettivamente il proprietario della Kawasaki usata per l’attentato, ma quella sera alla guida non c’era lui. Anche perché non avrebbe potuto condurla, dal momento che risentiva ancora dei postumi di un brutto incidente avvenuto nell’ottobre precedente. Sarà lo stesso Iannilli a confermare la circostanza, spiegando di aver chiesto in prestito la moto a Macchi, senza dirgli però dell’attentato. E di averlo commesso con un’altra persona.

Trent'anni dopo Lele Macchi non avrà difficoltà ad assumersi le sue responsabilità. Dopo la pubblicazione di un documento politico-esistenziale come appendice del mio volume "Naufraghi, il leader del Mrp accetta anche il confronto con Nicola Rao per chiarire e inquadrare dal punto vista politico-esistenziale la vera storia degli attentati del biennio 1978-79 che, pur senza entrare nello specifico, rivendica senza infingimenti. 

Innanzi tutto Macchi nega che il suo gruppo possa aver scritto rivendicazioni in cui si parla di «fascismo dello Stato» o comunque con un lessico antifascista, confermando quindi l’ipotesi che, accanto a una prima rivendicazione degli attentati – quella stringata – firmata dai loro reali autori, in un paio di occasioni si sia sovrapposta una seconda rivendicazione più lunga e forzata, scritta da Calore, che ha cercato così di mettere il cappello a queste azioni.
Ma sentiamo Macchi:
Intanto una premessa d’obbligo. Non entrerò in alcun contraddittorio specifico con risultanze penali o dichiarazioni di collaboratori, perché non è nel mio stile. Ritengo solo di fare alcune puntualizzazioni di verità, che sono doverose. È la mia parola e basterà sicuramente per chi la saprà apprezzare.
Allora comincerò col dire che le rivendicazioni degli attentati le ho scritte sempre io, anche quando non sono stato fisicamente presente a quelle azioni. Erano rivendicazioni di poche parole e molto concettuali. Al contrario, ne sono state accreditate alle cronache alcune con testi mai esistiti, a paternità di un pentito apparso postumo... È falso. Questo «collaboratore» era un codardo, un delatore, un provocatore senza capacità. E non certo della nostra cultura, per poterci stare vicino.
Ma lo stesso Calore ha parlato in diverse occasioni di una fornitura di bombe da parte di Fachini e persino di uno stock di timer provenienti da quello acquistato da Freda nel 1969 e utilizzato per gli attentati del 12 dicembre. Macchi chiarisce:
Cercare collusioni con figure equivoche è sempre stata arte dei governanti di quei tempi. Sarebbe divertente raccontarle come ci appro-priammo di tutto l’esplosivo di cui facemmo uso. Ma non glielo faccio questo regalo. Posso però affermare che non abbiamo mai avuto bisogno di alcuno che ci appoggiasse. E che non ci fidavamo di nessuno che non fosse della nostra generazione. Noi eravamo «noi» e non ci si avvicinava nessuno, perché eravamo anche pericolosi...

Per approfondire

Il documento di Lele Macchi pubblicato in tre post di Fascinazione:
http://fascinazione.blogspot.com/2011/04/emanuele-macchi-ecco-le-ragioni-della.html
http://fascinazione.blogspot.com/2011/04/emanuele-macchi-racconta-noi-in-armi.html
http://www.fascinazione.info/2011/04/emanuele-macchi-noi-interdetti-vita-3.html

Nessun commento:

Powered by Blogger.