Cinque anni fa andava oltre Giampiero Rubei, un gigante dell'organizzazione culturale
Cinque anni fa andava oltre Giampiero Rubei. Lo ricordiamo con il commiato dolente di Paola Frassinetti
Mai come in questo caso vale il detto: “certe persone pensi non debbano morire mai “. Per me, per noi, Giampiero Rubei non poteva morire. Era indistruttibile. Immortale. Come una colonna dorica. Come una bella canzone. Come le Idee vere.
Giampiero uomo dinamico, inventore di esperimenti d’avanguardia nel campo della musica jazz, ma soprattutto protagonista di quel mitico mondo della destra romana, che per noi più “piccoli ” era via degli Scipioni. Il centro studi. La “libreria”. Il quartier generale dei “rautiani”.
Lì molti di noi lo hanno visto e conosciuto la prima volta; la sede delle Edizioni Europa incuteva sempre un po’ di timore e l’atmosfera che lì aleggiava era spesso austera: tanti libri, tanta intelligenza, tanta profondità. Un altro mondo, radicalmente distante dalle atmosfere retrò del partito ufficiale, quel partito che ci affliggeva con gli opuscoli di Armando Plebe e altre scemenze. E in quell’ambiente, tra uno scaffale di libri ed un manifesto di Evola, si incontrava Giampiero, con il suo stile raffinato e ricercato, il suo vocione e la sua inimitabile ironia.
Giampiero sapeva sdrammatizzare e in quegli anni terribili era una dote molto rara. Unica.
Giampiero era un punto di riferimento. Per tutti. Lo fu a Campo Hobbit 3 gestendo situazioni di tensione che, se fossero esplose, avrebbero devastato l’esperienza più significativa della destra del dopoguerra.
Lo ricordo intento a ricostruire il borgo medioevale di Castelcamponeschi che ha fatto da sfondo ai tre giorni di quello straordinario laboratorio. Era ovunque a riparare tubi, a organizzare eventi sempre con allegria e passione.
Lì molti di noi lo hanno visto e conosciuto la prima volta; la sede delle Edizioni Europa incuteva sempre un po’ di timore e l’atmosfera che lì aleggiava era spesso austera: tanti libri, tanta intelligenza, tanta profondità. Un altro mondo, radicalmente distante dalle atmosfere retrò del partito ufficiale, quel partito che ci affliggeva con gli opuscoli di Armando Plebe e altre scemenze. E in quell’ambiente, tra uno scaffale di libri ed un manifesto di Evola, si incontrava Giampiero, con il suo stile raffinato e ricercato, il suo vocione e la sua inimitabile ironia.
Giampiero sapeva sdrammatizzare e in quegli anni terribili era una dote molto rara. Unica.
Giampiero era un punto di riferimento. Per tutti. Lo fu a Campo Hobbit 3 gestendo situazioni di tensione che, se fossero esplose, avrebbero devastato l’esperienza più significativa della destra del dopoguerra.
Lo ricordo intento a ricostruire il borgo medioevale di Castelcamponeschi che ha fatto da sfondo ai tre giorni di quello straordinario laboratorio. Era ovunque a riparare tubi, a organizzare eventi sempre con allegria e passione.
Qualche anno fa ricordando insieme quelle esperienze lontane, sorridendo ribadì che per lui il più bello dei nostri appuntamenti era stato il quarto Campo Hobbit, quello forse meno famoso ma sicuramente più significativo. Il campo del terremoto dell’Irpinia. Centinaia di volontari (i ragazzi del FdG) nel cuore del disastro, per aiutare a ricostruire, questa volta per davvero, le case della povera gente. Degli ultimi.
Giampiero voglio ricordarlo così, fotografato nella prima pagina di Linea, nel 1982, al Campo del terremoto con i gambali affondati nel fango ad aiutare altri italiani meno fortunati.
Ecco la straordinarietà di Rubei. Dirigere negli anni di piombo la sezione missina di di Monteverde, stare con i militanti in mezzo al fango e, allo stesso tempo, animare l’Alexanderplaz, creando spettacoli di musica jazz. Incontri, musica, arte. Passione. Bellezza.
Non si fa fatica a parlare di Giampiero. Si fa fatica ad arrendersi all’idea di non vederlo più, anche se potrei giurarci che sarà già insieme a Pino, Paolo, Carlo, Egidio, Generoso e tanti altri amici ad ideare “la città di Dioce che ha terrazze color delle stelle”.
Non si fa fatica a parlare di Giampiero. Si fa fatica ad arrendersi all’idea di non vederlo più, anche se potrei giurarci che sarà già insieme a Pino, Paolo, Carlo, Egidio, Generoso e tanti altri amici ad ideare “la città di Dioce che ha terrazze color delle stelle”.
Cinque anni fa andava oltre Giampiero Rubei, un gigante dell'organizzazione culturale
Reviewed by Ugo Maria Tassinari
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giovedì, aprile 02, 2020
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Memento
Salutandovi romanamente vi ringrazio delle bellissime parole su mio padre.
RispondiEliminaPaolo Rubei
Ho conosciuto il suo lato meno bello molti anni fa, magari era quello dispensato ai non VIP non lo so. In ogni modo spero che possa riposare in pace e che Dio possa fare sempre sollievo alla sua famiglia.
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