Una palazzina, un bar, due morti: una coincidenza incredibile
Il post che segue, pubblicato l'anno scorso, sottolineava la significativa coincidenza che il 30 marzo è il giorno in cui, a due anni di distanza, si consumano due episodi della faida di quartiere che metterà capo, nell'inverno 1980 all'omicidio di Valerio Verbano e, di lì a poco, di Angelo Mancia:
- Nel 1977 la morte di infarto di Bruno Giudici spaventato dall'aggressione subita dal figlio Bruno, attivista giovanile missino, davanti al bar Urbano di Largo Rovani
- Nel 1979 la gambizzazione nella sua abitazione di un militante dell'estrema sinistra, Roberto Ugolini.
Ma c'è una coincidenza ben più impressionante: il bar di Talenti è l'unico luogo, nella storia della violenza politica e del terrorismo italiano, in cui ci sono due morti in distinti episodi. Entrambi "sbagliati", per altro: Bruno Giudici e Stefano Cecchetti, uno studente che si era seduto ai tavolini del locale pubblico con amici "fascisti". Ebbene, le famiglie Cecchetti e Giudici erano dirimpettaie, in una palazzina di via Davanzati, a 150 metri da Largo Rovani ...
30 marzo 1979: la gambizzazione di Ugolini
somiglia per il Pm all'uccisione di Verbano
Ci siamo recentemente occupati delle conclusioni delle indagini per l'omicidio Verbano. Una lunga inchiesta senza esito. Nella ricostruzione storica dei Ros, che ipotizzano una concatenazione di violenze incrociate tra rossi e neri di quel quadrante di Roma nordest, ci son ben due episodi che si consumano il 30 marzo. Nel 1977, muore d'infarto Bruno Giudici: lui è un cassiere di banca ma suo figlio, Enzo, iscritto al Msi Montesacro, era stato aggredito al bar Urbano, ritrovo dei giovani neofascisti di Talenti (e infatti là colpirà il commando che uccide lo studente Stefano Cecchetti, il 10 gennaio 1979). Nel 1979, un "Commando lotta e vittoria" gambizza nella sua abitazione di Montesacro il compagno Roberto Ugolini.
All'inizio delle nuove indagini, nel 2011, il "Messaggero" ricostruisce con dovizia di particolari la tragedia della famiglia Giudici, sottolineando la curiosa coincidenza che i Giudici e i Cecchetti fossero vicini di porta,
L'episodio Ugolini ha un rilievo centrale nell'inchiesta Verbano bis tant'è che il Pm, nella sua richiesta di archiviazione, dedica un intero paragrafo alle "analogie tra l'omicidio di Valerio Verbano e il ferimento di Roberto Ugolini". Questa è la ricostruzione dei fatti:
"il 30 marzo 1979, alle ore 9.20 in Roma, via Valpolicella n.12, int.15 (distante 2,5 Km dall'abitazione di Valerio Verbano), tre ragazzi bussavano alla porta dell'abitazione di Ugolini Ugo, e dopo che questa veniva aperta dalla signora Gucci Elena, madre di Ugolini Roberto, le chiedevano di "Roberto". La madre di Ugolini Roberto li faceva entrare e contestualmente il figlio, che in quel frangente si trovava in cucina per "scaldarsi il latte", si affacciava alla porta della stanza per vedere di chi si trattasse. Notava i tre giovani, intuiva che c'era qualcosa di "anormale" e tentava di rifugiarsi in cucina. Uno dei tre giovani estraeva una pistola dalla tasca dell'impermeabile e gli esplodeva contro alcuni colpi che lo attingevano agli arti inferiori. Subito dopo gli attentatori si davano alla fuga.
Dopo aver riportato la testimonianza della madre della vittima il Pm prosegue così:
Dalle indagini si accertava che contro Ugolini Roberto venivano esplosi cinque colpi di pistola calibro 7,65. Nell'immediatezza del fatto, alle ore 10,15 all'interno del policlinico Umberto I, Ugolini Roberto rilasciava informazioni utili alle indagini:
Verso le ore 9,15, mentre ero nella mia abitazione, ed esattamente in cucina, sentivo suonare alla porta d'ingresso e mia madre andava ad aprire. Mia madre credendo che fossero amici miei li faceva accomodare. Nell'udire ciò, dalla cucina mi portavo nel corridoio, ove, vedevo che uno dei tre sconosciuti alla mia vista estraeva una pistola, esplodendomi contro tre colpi, colpendomi ad entrambe le gambe.
Il padre di Ugolini, Ugo all'epoca era redattore capo del quotidiano Paese sera. Il Messaggero il giorno dopo pubblica il testo della telefonata di rivendicazione arrivata in serata in redazione:
Stamane alle ore 9,30 è stato punito Roberto Ugolini. Commando Lotta e Vittoria. A garanzia della rivendicazione l'anonimo ha aggiunto che, al momento dell'attentato, Roberto indossava un maglione nero a collo alto e la madre una vestaglia a fiori (...) si è propensi a ritenere che si tratti di estremisti di destra che avrebbero colpito un avversario politico, senza però alcun riferimento alla professione del padre e alla sua appartenenza ad un giornale di sinistra. Si sarebbe trattato di una vendetta tra giovani di opposte tendenze.
(...) Per tale fatto venivano incriminati Gabriele Adinolfi, Roberto Fiore, Marcello De Angelis, Giancarlo Laganà, Fabrizio Mottironi e Vincenzo Piso, sulla base di un rapporto Digos dell'8 settembre 1980 e di dichiarazioni accusatorie di Valerio Fioravanti. In seguito l'imputazione era estesa a Roberto Nistri e Claudio Lombardi sulla base delle dichiarazioni rese nell'ottobre 1982 da Walter Sordi:
a sparare contro l'Ugolini erano stati lo stesso Vale e Nistri mentre Lombardi si era fermato sul pianerottolo e Nanni De Angelis era rimasto in attesa con funzione di copertura.
Vista la ritrattazione delle accuse da parte di Fioravanti la corte condannava il solo Roberto Nistri per detenzione e porto in luogo pubblico di pistola mentre assolveva Claudio Lombardi per insufficienza di prove.
Dopo aver analizzato nel dettaglio, avvalorandone la veridicità, la ricostruzione di Sordi e Soderini, il Pm sottolineava:
L'eccezionale analogia della modalità dell'aggressione a Roberto Ugolini, i cui autori non miravano certo al solo ferimento e dell'omicidio di Valerio Verbano, in un contesto cronologico, politico e territoriale ben determinato, lascia oggettivamente ritenere che i due episodi possano essere collegati tra loro, tenendo conto che Valerio Verbano, che poteva già essere stato individuato quale obiettivo da colpire nel breve termine, il 20 aprile 1979, come verrà più avanti dettagliatamente indicato, veniva tratto in arresto e rimaneva detenuto fino al novembre 1979.
In realtà gli ulteriori elementi investigativi raccolti dai Carabinieri attribuiscono la responsabilità dell'omicidio Verbano a un diverso ambiente, di giovani missini di quartiere. E del resto, è appena il caso di sottolineare, che non c'è nessuna evidenza di un'intenzione omicida nel commando che gambizza Ugolini. Del resto la figura di Valerio Verbano acquista tutt'altro rilievo con l'arresto. Diventa allora un bersaglio non per la partecipazione all'accoltellamento di Nanni De Angelis ma per il suo ruolo nella controinformazione romana, con il sequestro di un nutrito dossier contenente robuste schede sui militanti neofascisti della Capitale
Dalle indagini si accertava che contro Ugolini Roberto venivano esplosi cinque colpi di pistola calibro 7,65. Nell'immediatezza del fatto, alle ore 10,15 all'interno del policlinico Umberto I, Ugolini Roberto rilasciava informazioni utili alle indagini:
Verso le ore 9,15, mentre ero nella mia abitazione, ed esattamente in cucina, sentivo suonare alla porta d'ingresso e mia madre andava ad aprire. Mia madre credendo che fossero amici miei li faceva accomodare. Nell'udire ciò, dalla cucina mi portavo nel corridoio, ove, vedevo che uno dei tre sconosciuti alla mia vista estraeva una pistola, esplodendomi contro tre colpi, colpendomi ad entrambe le gambe.
Il padre di Ugolini, Ugo all'epoca era redattore capo del quotidiano Paese sera. Il Messaggero il giorno dopo pubblica il testo della telefonata di rivendicazione arrivata in serata in redazione:
Stamane alle ore 9,30 è stato punito Roberto Ugolini. Commando Lotta e Vittoria. A garanzia della rivendicazione l'anonimo ha aggiunto che, al momento dell'attentato, Roberto indossava un maglione nero a collo alto e la madre una vestaglia a fiori (...) si è propensi a ritenere che si tratti di estremisti di destra che avrebbero colpito un avversario politico, senza però alcun riferimento alla professione del padre e alla sua appartenenza ad un giornale di sinistra. Si sarebbe trattato di una vendetta tra giovani di opposte tendenze.
(...) Per tale fatto venivano incriminati Gabriele Adinolfi, Roberto Fiore, Marcello De Angelis, Giancarlo Laganà, Fabrizio Mottironi e Vincenzo Piso, sulla base di un rapporto Digos dell'8 settembre 1980 e di dichiarazioni accusatorie di Valerio Fioravanti. In seguito l'imputazione era estesa a Roberto Nistri e Claudio Lombardi sulla base delle dichiarazioni rese nell'ottobre 1982 da Walter Sordi:
a sparare contro l'Ugolini erano stati lo stesso Vale e Nistri mentre Lombardi si era fermato sul pianerottolo e Nanni De Angelis era rimasto in attesa con funzione di copertura.
Vista la ritrattazione delle accuse da parte di Fioravanti la corte condannava il solo Roberto Nistri per detenzione e porto in luogo pubblico di pistola mentre assolveva Claudio Lombardi per insufficienza di prove.
Dopo aver analizzato nel dettaglio, avvalorandone la veridicità, la ricostruzione di Sordi e Soderini, il Pm sottolineava:
L'eccezionale analogia della modalità dell'aggressione a Roberto Ugolini, i cui autori non miravano certo al solo ferimento e dell'omicidio di Valerio Verbano, in un contesto cronologico, politico e territoriale ben determinato, lascia oggettivamente ritenere che i due episodi possano essere collegati tra loro, tenendo conto che Valerio Verbano, che poteva già essere stato individuato quale obiettivo da colpire nel breve termine, il 20 aprile 1979, come verrà più avanti dettagliatamente indicato, veniva tratto in arresto e rimaneva detenuto fino al novembre 1979.
In realtà gli ulteriori elementi investigativi raccolti dai Carabinieri attribuiscono la responsabilità dell'omicidio Verbano a un diverso ambiente, di giovani missini di quartiere. E del resto, è appena il caso di sottolineare, che non c'è nessuna evidenza di un'intenzione omicida nel commando che gambizza Ugolini. Del resto la figura di Valerio Verbano acquista tutt'altro rilievo con l'arresto. Diventa allora un bersaglio non per la partecipazione all'accoltellamento di Nanni De Angelis ma per il suo ruolo nella controinformazione romana, con il sequestro di un nutrito dossier contenente robuste schede sui militanti neofascisti della Capitale
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