16 marzo 2003: l'omicidio di Dax, una vendetta di famiglia
Ancora, come negli anni Settanta, la morte di un compagno o di un camerata diventa l’occasione per un rito tribale in cui la vendetta è elemento fondamentale per l’elaborazione del lutto. Nei casi finora noti (a sinistra Dax e Renato, a destra il barista della provincia di Varese), più che di violenza politica organizzata è giusto parlare di un’insorgenza sociale. A Milano infatti a uccidere, la notte tra il 16 e il 17 marzo 2003, il militante dell’Officina della resistenza sociale Davide Cesare detto Dax, ventiseienne con una figlia di cinque anni, è una famiglia di fascisti: padre, Giorgio Morbi, e due figli, Federico e Mattia, quest’ultimo minorenne all’epoca dei fatti.
La loro casa è piena di chincaglieria e cimeli mussoliniani, ma all’origine della tragedia c’è il nome del rottweiller dei Morbi, Rommel. Il Ticinese è un quartiere storicamente rosso, ma da tempo si sono creati dei capisaldi neri tra le piazzette occupate dagli skin e i bar ritrovo dei camerati. Il 10 marzo Federico Morbi, artigiano del cuoio, ventinove anni, viene pestato da un gruppo di compagni – lui dirà nella denuncia – del centro sociale Conchetta. Da quel giorno gira con il coltello addosso, finché non ritiene di avere individuato i responsabili del pestaggio, davanti a un bar di via Brioschi.
Lui ammazza Dax (tredici colpi di cui sei alla schiena), il padre, dipendente aeroportuale, e il fratello gli danno man forte, accoltellando altri due compagni (uno, Sandro A., con otto colpi alla schiena). Il passaparola richiama centinaia di militanti dei centri sociali inferociti davanti all’ospedale dove viene portato Dax, con regolare seguito di scontri con la polizia; diciassette i feriti tra le forze dell’ordine, otto tra i dimostranti, che lamentano una caccia all’uomo in stile Genova-G8, anche se alcuni agenti hanno prognosi serie: una frattura alla mandibola, cinque denti persi, una lesione ai tendini del ginocchio.
Il giorno dopo, dal corteo di protesta dei «disobbedienti» romani, respinto sulla strada per il Viminale, si sgancia un nutrito pattuglione che tenta di assalire il Cutty Sark, il pub ritrovo dei militanti dell’«occupazione non conforme» di Casa Pound, e si sfoga sfasciando le vetrine del contiguo ristorante, di proprietà di un egiziano (l’Esquilino è un quartiere ad alta densità extracomunitaria). Al processo di primo grado l’assassino di Dax viene condannato a sedici anni e otto mesi, il padre a tre anni e quattro mesi per tentato omicidio, il fratello minorenne se la cava con la messa in prova per un triennio in una comunità.
La loro casa è piena di chincaglieria e cimeli mussoliniani, ma all’origine della tragedia c’è il nome del rottweiller dei Morbi, Rommel. Il Ticinese è un quartiere storicamente rosso, ma da tempo si sono creati dei capisaldi neri tra le piazzette occupate dagli skin e i bar ritrovo dei camerati. Il 10 marzo Federico Morbi, artigiano del cuoio, ventinove anni, viene pestato da un gruppo di compagni – lui dirà nella denuncia – del centro sociale Conchetta. Da quel giorno gira con il coltello addosso, finché non ritiene di avere individuato i responsabili del pestaggio, davanti a un bar di via Brioschi.
Lui ammazza Dax (tredici colpi di cui sei alla schiena), il padre, dipendente aeroportuale, e il fratello gli danno man forte, accoltellando altri due compagni (uno, Sandro A., con otto colpi alla schiena). Il passaparola richiama centinaia di militanti dei centri sociali inferociti davanti all’ospedale dove viene portato Dax, con regolare seguito di scontri con la polizia; diciassette i feriti tra le forze dell’ordine, otto tra i dimostranti, che lamentano una caccia all’uomo in stile Genova-G8, anche se alcuni agenti hanno prognosi serie: una frattura alla mandibola, cinque denti persi, una lesione ai tendini del ginocchio.
Il giorno dopo, dal corteo di protesta dei «disobbedienti» romani, respinto sulla strada per il Viminale, si sgancia un nutrito pattuglione che tenta di assalire il Cutty Sark, il pub ritrovo dei militanti dell’«occupazione non conforme» di Casa Pound, e si sfoga sfasciando le vetrine del contiguo ristorante, di proprietà di un egiziano (l’Esquilino è un quartiere ad alta densità extracomunitaria). Al processo di primo grado l’assassino di Dax viene condannato a sedici anni e otto mesi, il padre a tre anni e quattro mesi per tentato omicidio, il fratello minorenne se la cava con la messa in prova per un triennio in una comunità.
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