Gianni Alemanno racconta Paolo Di Nella: un militante duro e puro
Leggo, leggo... leggo tante narrazioni su Paolo in questo 37esimo anniversario della sua morte. Leggo che era un “invisibile” precursore del superamento delle barriere ideologiche, un antesignano dell’ambientalismo di destra, un “giovane italiano”. Tante narrazioni che hanno poco a che fare con Paolo e che, più o meno inconsciamente, servono a raccontare punti di vista personali sulla storia della comunità militante giovanile romana nel passaggio dagli anni ‘70 agli anni ‘80.
Ma io credo che Paolo debba essere ricordato per quello che era realmente. Paolo Di Nella era un militante anni ‘70 duro e puro, che non aveva nessuna voglia di aprirsi al di là degli schieramenti e che voleva presidiare il suo territorio fino all’ultimo.
Quando uscimmo da Rebibbia nel 1982, io Segretario romano del Fronte della Gioventù e lui militante di base che non voleva fare carriera, nonostante il nostro legame di sangue e di lotta, lui non volle impegnarsi - come me e come la nuova classe dirigente giovanile - nella ricostruzione di un movimento giovanile romano. Lui preferì rimanere nel suo quartiere, il Trieste Salario, continuando l’antica battaglia del presidio territoriale con manifesti e lotte simboliche. Per questo, sotto suo impulso, inventammo la battaglia (non ecologista ma territoriale) dell’esproprio di Villa Chigi per trasformarla in un centro culturale di quartiere. Per questo in quella notte maledetta del 2 febbraio andò ad attaccare manifesti accompagnato solo da una ragazza, perché non voleva aspettare che gli altri militanti del Fronte - tra i mille impegni di un’organizzazione giovanile che stava rinascendo tra molti personalismi e resistenze - trovassero il tempo di accompagnarlo. Perché Lui era un militante della Tradizione, che faceva della lotta politica una “guerra santa” per testimoniare e vivere valori spirituali e guerrieri, senza curarsi dei risultati concreti della sua lotta, della vittoria come della sconfitta. Può piacere o meno, ma questo era...
La svolta storica che costruimmo dopo la sua morte, evitando di ricadere ancora nella logica delle faide e degli opposti estremismi, doveva fare i conti con questa sua purezza e questa sua intransigenza. Ed è per questo che il suo sacrificio non ha mai smesso di renderci inquieti, in tutti questi anni. Perché, se il superamento è necessario per servire il nostro Popolo e la nostra Comunità nazionale, è ancora più necessario non tradire i valori più profondi della Tradizione e dell’Identità e chi rimane ancorato a questi valori.
È una tensione continua e spesso lacerante tra queste radici profonde che non possono essere tradite e le prospettive politiche che, di volta in volta, ci vengono davanti. Esempi come quello di Paolo sono necessari - se li raccontiamo per quello che sono veramente e non per quello che ci piace pensare - per ricordarci cosa è la purezza della Lotta “sul campo dell’Onore”.
Questo è il simbolo di quella Croce celtica che Paolo Di Nella ha portato al collo con onore fino alla morte. Questo è il segno di quel giglio bianco che mani misteriose poggiarono sul suo sudario di martire. Questo, con tutti i miei errori che sto pagando molto oltre misura, è quello che mi porto nel cuore e che mi dà la forza di rialzarmi dopo ogni caduta.
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?»
Gianni Alemanno/Facebook
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