5 febbraio 1981, Padova, ferito e catturato Valerio Fioravanti
Ai primi di febbraio la banda
Fioravanti-Cavallini ha in programma un’altra maxirapina in una gioielleria
veneta. Quando però vanno a ritirare l’arsenale predisposto per il colpo c’è la
bella sorpresa che l’amico di “Gigi” a cui è stato affidato il carico
pericoloso è andato in paura, perché la moglie, trovata con una pistola, è
stata arrestata a Treviso. E così lui ha “parcheggiato” la mercanzia sul fondo
del Lungargine Scaricatoio, in una zona abitualmente frequentata dai tossici.
Ai cinque della banda (i due fratelli, la Mambro ormai inseparabile, Giorgio
Vale e Cavallini) per le operazioni di recupero si accompagnano il basista
locale, Fiorenzo Trincanato, che farà carriera nella “mala del Brenta” e
Gabriele De Francisci. Il vecchio amico del “Fungo” è di passaggio: è appena
arrivato da Beirut e vuole convincere Francesca e Valerio a mollare tutto e a
riparare anche loro in Libano. “Gigi”, un fissato dell’etica della
responsabilità, si vuole assumere l’errore del suo manutengolo e si offre
volontario per l’immersione. I fratelli lo stoppano: non è colpa sua, e poi
loro sono più giovani ed esperti. Quante volte d’estate si sono divertiti a
Ponza nella pesca di rottami bellici e di esplosivo da riciclare.
Intorno alle 22, Cristiano e Trincanato
si gettano in acqua per il recupero. Valerio e Francesca restano di copertura,
mentre Giorgio e Gigi pattugliano la zona in auto. Quando arriva una gazzella
dei carabinieri, Cristiano è bloccato dall’appuntato Condotto mentre il
malavitoso si allontana, Valerio sopraggiunge e spara all’autista, Luigi
Maronese, che stava comunicando via radio con la centrale, quattro colpi alle
spalle e intima al capo pattuglia di liberare il fratello e arrendersi. Si
trova però a sua volta sotto tiro, scarica le due pistole ed è ferito alle
gambe dall’appuntato. Francesca assiste paralizzata dalla paura: non riesce a
sparare anche se Valerio le urla di farlo. Lui grida che è pronto ad arrendersi
ma arriva Cristiano che si è liberato, recupera l’arma del carabiniere ucciso e
ammazza Codotto, raggiunto da otto proiettili, l’ultimo con la sua stessa
pistola. Fuggono con una Golf, abbandonando le armi recuperate dal fondo del
canale: due bombe a mano, tre pistole, un mitra, caricatori e centinaia di
proiettili. Gli altri, richiamati dalla furiosa sparatoria – i due Fioravanti
sparano 25 colpi, il carabiniere 13 – quando vedono l’auto ripartire si
allontanano tranquilli.
Valerio
rischia di morire dissanguato e Cristiano vuole scappare a tutti i costi. Francesca
si impunta ma non può fare niente. Solo all’ultimo momento abbandona il covo al
quale le forze dell’ordine stanno per arrivare guidati dalle copiose tracce di
sangue: comunque chiama un’ambulanza e gli salverà la vita.
Dopo l’arresto di Valerio io ho tentato di tutto
per portarlo via, sono rimasta sola, sono rimasta sola davvero. È stato un
momento difficilissimo perché Valerio era la persona più sensibile del gruppo
quindi anche l’unico con cui poter fare certi discorsi che con gli altri non
era neppure il caso di fare.
Nel corso della notte incontrano per
caso Trincanato che li appoggia da un amico poi si incontrano la mattina dopo
con Giorgio e Gigi e rientrano insieme a Roma. Bastano pochi giorni di indagini
per smantellare l'intera rete d'appoggio, costituita da un intreccio di
militanti e di malandrini.
Tra questi spicca l’ex consigliere comunale missino di Rovigo, Franco Giomo,
già coinvolto nelle indagini per la rapina dei giubbotti antiproiettili alla
Cab di Roma. Tra le prime ammissioni – Valerio avrà sempre un atteggiamento
spregiudicato con i giudici – infila anche qualche bugia: tra queste l’accusa a
Stefano Soderini (che è in Svizzera con Belsito) di essere stato presente sul
lungargine. I giudici patavini saranno comprensivi. Per loro
gli anni dal 1977 al 1980 segnano un crescendo di
violenza … Fioravanti e gli altri sono il frutto di questo clima di violenza e
non può essere addossa a loro per intero la colpa delle scelte sbagliate
compiute spinti dall’odio di classe seminato a piene mani e alla violenza che
rendeva facile vivere con le rapine ma anche facile morire.
Ma lo stesso Fioravanti rifiuterà con
dignità facili giustificazioni e si limiterà a contestualizzare il suo
personale passaggio alle armi:
Io, quando l’ho fatta, avevo 17-18 anni, sentivo
delle forti pressioni emotive su di me, vedevo degli amici in ospedale,
qualcuno l’ho accompagnato al cimitero, e queste erano le cose che influivano
su di me. Non credo che abbia molto senso parlare di liceità, a questo punto.
Si moriva per molto poco, si moriva per il tipo di giornale che uno aveva in
tasca, per il tipo di vestito che uno portava; insomma le morti a cui ho
assistito erano particolarmente sciocche e forse per questo nasceva in noi il
rancore. Ho sempre considerato ipocrita difendersi dicendo: “Ho cominciato
perché ho visto degli altri che stavano male”. Ma da un punto di vista
strettamente autobiografico, posso dire: i primi colpi di pistola sono stati
quelli sparati contro di me. Io, poi, ho deciso di restituirli… c’era una
guerra e ci siamo entrati dentro consapevolmente.
FONTE: Ugo Maria Tassinari, Guerrieri
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