16 gennaio 1969: Jan Palach si immola contro gli invasori sovietici
(G.p)E' stato uno degli ultimi martiri europei, insieme alla figura dell'irlandese Bobby Sands e i suoi compagni di cella, eppure tanti, troppi giovani non sanno chi era. Era un ragazzo, di soli 20 anni, martire per la libertà del suo popolo, per liberare la sua amata Cecoslovacchia dalla tirannide del comunismo. Il suo nome era Jan Palach. Ma chi era Jan Palach? Cosa successe in quei convulsi giorni tra il 1968 e il 1969 a Praga? Ripubblichiamo l'articolo che Antonio Rapisarda, pubblicò sul Tempo, storico quotidiano romano, quattro anni fa, descrivendo l'atmosfera che si respirava, in quel periodo, a Praga, e la figura di questo coraggioso studente universitario.
La stessa operazione che ha compiuto, sempre nel gennaio 2016, Emiliano Visconti, pubblicando sul suo canale youtube, immagini di Praga, gennaio 1969, per accompagnare la canzone di Francesco Guccini, "Primavera di Praga", dedicata al sacrificio di Jan Palach
La stessa operazione che ha compiuto, sempre nel gennaio 2016, Emiliano Visconti, pubblicando sul suo canale youtube, immagini di Praga, gennaio 1969, per accompagnare la canzone di Francesco Guccini, "Primavera di Praga", dedicata al sacrificio di Jan Palach
La «torcia n.1» di piazza Venceslao si spegnerà dopo tre giorni di lucida e straziante agonia il 19 gennaio 1969. A Praga in quel giorno di quarantasette anni fa morì per le ustioni riportate a causa di un atto dimostrativo estremo - il darsi alle fiamme dopo essersi cosparso di benzina «come i buddisti nel Vietnam», contro il regime sovietico che aveva occupato l’allora Cecoslovacchia nell’agosto dell’anno precedente - lo studente universitario di Filosofia Jan Palach.
«Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione - scrisse nel suo ultimo messaggio-testamento politico, lasciato nella borsa ritrovata vicino al suo corpo - abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana».
Il fallimento della «Primavera di Praga» del 1968 - il tentativo riformista formulato dal segretario del Partito comunista Alexander Dubcek, spiaggiato assieme alla flebile speranza della possibilità di un «socialismo dal volto umano» con l’ingresso dei carri armati russi - aveva portato quindi uno strascico di sangue: se la stagione di riforme era implosa drammaticamente, non lo era il sentimento patriottico e la voglia di libertà che animava le manifestazioni anti-sovietiche in quella terra. Non si seppe mai se esisteva davvero una organizzazione votata ad immolarsi con il fuoco, ma il gesto di Jan Palach (il cui esempio fu seguito poi da giovani martiri) ottenne l’importante scopo di riaccendere i riflettori del mondo sulla situazione cecoslovacca e dei Paesi dell’Est in generale, anche se da un punto di vista politico si dovrà aspettare fino al 1990 per vedere riconosciuta l’indipendenza. Da quel momento in poi, infatti, il comunismo sovietico avrà un nemico impossibile da abbattere: l’onda emotiva e l’immaginario che quel gesto scatenò nel Paese – ai funerali del giovane Palach parteciperanno 600mila persone che sfidarono i carri armati sovietici di stanza sul confine ma pronti a ritornare in caso di nuova rivolta – e da qui nell’Europa «libera» nei giorni successivi così come negli anni a venire. Anche in Italia l’eco dei fatti di Praga giunse con forza.
Se la sinistra politica e diffusa di allora balbettò sui fatti della Cecoslovacchia invasa (come accadde precedentemente con la rivolta di Ungheria), si deve a un cantautore di estrazione libertaria come Francesco Guccini una delle canzoni - La Primavera di Praga - che portò anche a sinistra a interrogarsi sulla natura del regime sovietico. Da parte sua la gioventù di destra, invece, fece di Jan Palach subito un’icona, tanto che gli venne dedicata una canzone dal Gruppo Padovano di Protesta Nazionale, che poi divenne la Compagnia dell’Anello, dove in versi si canta tutt’ora così lo spirito di autodeterminazione represso a Praga nel ’68 come prima in Ungheria nel ‘56: «Giù le mani dal mio Paese, il mio sangue lavi le offese». Negli anni - a maggior ragione dopo la caduta del Muro di Berlino - l’elaborazione sul gesto di Jan Palach (ricordiamo che in patria il suo ricordo è stato ostracizzato fino all’ultimo, la stessa lapide scomparve più volte) ha raggiunto finalmente la dimensione degna dei grandi combattenti per la libertà dal totalitarismo.
Una delle testimonianze più significative, dalla nostre parti, fu quando nel 2009 Mario Capanna, una delle anime storiche della Contestazione in Italia, non esitò a fare a suo modo autocritica: «Noi che quarant’anni fa eravamo impegnati a Milano nel Movimento studentesco, potevamo fare di più quando, il 16 gennaio del 1969, il giovane ventenne cecoslovacco Jan Palach…» spiegò anticipando la visita di tanti ex compagni a Praga proprio per rendere omaggio al dissidente. Da destra Marcello Veneziani, a proposito del «debito di conoscenza e di verità» sul martire cecoslovacco con cui i contestatori italiani ripensarono il suo gesto, ricordava così da parte sua la differenza plastica tra il ribellismo libertario e quello patriottico: «I sessantottini incendiarono il mondo pensando a se stessi, mentre Palach incendiò se stesso pensando al mondo».
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