Un mese maledetto - 5-6 dicembre 1981: Belsito uccide il maresciallo Radici
La mattina del 6 dicembre, poco dopo le 10,30, Pasquale Belsito e Ciro Lai stanno passeggiando nei giardinetti di via Marmorata, a quattro passi dal rifugio di Walter Sordi, rimasto ferito nella sparatoria al Labaro in cui ha perso la vita Alessandro Alibrandi (mentre il poliziotto Capobianco morirà due giorni dopo). I due non vogliono abbandonare l’amico ma non sanno cosa fare.
Lai non è romano, Belsito ha meno di vent’anni e non ha mai curato gli aspetti logistici. Nel momento del bisogno si è sempre arrangiato con gli amici ma nessuno è disposto ad aiutare un superlatitante ferito dalla polizia.
Ora bisogna inventarsi qualcosa di più stabile dei ragazzini che devono dare conto ai genitori per garantire una convalescenza tranquilla a Walter. Discutono animatamente, sono agitati, un po’ stralunati e una gazzella dei carabinieri che passa li scambia per una coppia tossico/pusher che litiga.
La sequenza successiva – da film poliziesco trash – spiega da sola come mai Belsito sia stata l’ultima primula nera a cadere in trappola. Il brigadiere Rapicetti resta accanto alla vettura, il maresciallo Radici si dirige verso i due che si sono seduti, dopo un segno di intesa, su due panchine.
Al gesto del sottufficiale che li invita ad avvicinarsi fanno finta di accondiscendere. Lai, più distante, si avvia verso l'auto, Belsito ripone in tasca l’oggetto che aveva in mano ed estrae un revolver con il quale esplode due colpi: il primo mentre l’uomo è chinato in avanti per controllare che i due non avessero buttato niente, il secondo da 3-4 metri. Il bersaglio è raggiunto alla base del collo e sotto l'ascella sinistra. I due scappano in direzioni diverse. Lai apre il fuoco sul brigadiere che si è messo all’inseguimento di Belsito e riesce a dileguarsi salendo su un autobus.
L'omicida punta sulle Poste dell’Ostiense, spara su un impiegato che cerca di trattenerlo e mentre attraversa via Marmorata è intercettato da una civetta dell’antiscippo. I due poliziotti in borghese, avendo notato l'inseguimento, si portano oltre l’ufficio pubblico per bloccarlo. Il “pastore” spara gli ultimi due colpi, uno colpisce al petto l'agente Colangelo che si salva solo perché il parabrezza e il portafoglio frenano l’impatto del proiettile, l’altro è raggiunto dall’arma scarica scagliata come proiettile.
Neanche una ferita al gluteo lo ferma: estrae una 9 parabellum e continua a sparare, scappa barcollando, all'altezza della caserma dei pompieri rapina una 126 ma le pallottole degli agenti bucano uno pneumatico, entra nella caserma e vi esce dalla porta carraia, si impossessa di una 127 e si dilegua. Segue una telefonata di rivendicazione dei Nar alle 12.40: «Abbiamo voluto vendicare Alessandro Alibrandi».
Belsito si fa vedere sanguinante al bar di Vigna Clara, tradizionale ritrovo della banda, chiedendo di Roberto Nistri, l’addetto all’assistenza. La ferita è curata con mezzi di fortuna: gli offre ospitalità il figlio di un sottosegretario dc, Raffaello Lombardi. “Brucia” il rifugio perché - nonostante tutte le raccomandazioni: girano in casa operai per lavori di ristrutturazione - si fa vedere trafficare con la mitraglietta. Scompare per qualche giorno poi torna all’improvviso: «Sono stato a trovare dei parenti in Calabria» spiega ai camerati esterrefatti. Gli trovano un’altra sistemazione provvisoria: la sua assoluta strafottenza per le norme di sicurezza brucia tanti punti di appoggio.
Intanto i Walter’s boys riescono a trovare una sistemazione provvisoria più sicura per il capo: con la scusa del ponte dell’Immacolata si può organizzare un weekend a Spoleto, nel casale dei nonni di Poli. Quattro giorni bastano a risolvere il problema. Un fiancheggiatore rodigino [si tratta di Roberto Frigato, ndb] procura ospitalità in Sicilia, nel giro di Heliodromos, un’organizzazione tradizionalista ben radicata sulla costa jonica. Sordi non si dimenticherà del medico che l’ha curato e del camerata che l’ha ospitato, uno sarà arrestato, l’altro riesce a scappare, ma questa è un’altra storia, ignobile.
La testimonianza di Marco Cochi
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