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Torna in cella Fabiola Moretti, l'ex pentita della Magliana



Fabiola Moretti, ex donna del boss della banda della Magliana Danilo Abbruciati e amica di Renatino De Pedis è stata arrestata ieri alle porte di Roma, in via Laurentina. La donna, 64 anni, era in macchina col genero e aveva 105 grammi di cocaina nascosti nel reggiseno. A bordo della macchina, c'erano un bilancino di precisione e di 650 euro, ritenuti proventi di attività illecita. Il compagno della figlia, un 27enne con precedenti, è stato invece denunciato a piede libero poiché è stato trovato in possesso di alcune dosi di hashish. Il ragazzo è lo stesso che la ex "Primula Rossa" della banda della Magliana aveva tentato di uccidere a dicembre del 2015, durante una spedizione punitiva a Pomezia. La Moretti aveva pugnalato quattro volte il ragazzo della figlia, al petto, all'addome e alla gamba sinistra. In quell'occasione venne arrestata in concorso con il figlio per tentato omicidio evasione dai domiciliari. Processata per direttissima, ha richiesto i termini a difesa. Il giudice le ha concesso i domiciliari con il braccialetto elettronico.


Fin qui la notizia su repubblica.it. Manca del tutto un particolare: l'essere stata la Moretti una pentita di spicco, grande accusatrice di Claudio Vitalone per l'omicidio Pecorelli e poi della banda della Magliana per il sequestro di Emanuela Orlandi. Pentita esclusa dal programma di protezione per la sua pervicace tendenza a praticare il crimine. All'epoca, primi anni 90, era legata sentimentalmente ad Antonio Mancini, l'Accattone di "Romanzo criminale" (lei invece ispira più alla larga il personaggio di Donatella, che nella serie tv fa anche il killer mentre lei si "limitava" a fare, al meglio, la responsabile di una filiera di spaccio), un altro leader della Banda e amico di Renatino de Pedis che sul "pentimento" ha tenuto duro.  Proprio la Moretti, all’epoca del delitto Pecorelli compagna di Abbruciati e spacciatrice di eroina, offrie un ritratto ammirato di Massimo Carminati. A lei, di famiglia proletaria, il neofascista che si era voluto fare bandito non piaceva:

Lo sentivo diverso da noi. Noi commettevamo certe azioni perché avevamo bisogno di vivere, e non conoscevamo altro modo che quello per vivere. Massimo Carminati e i fascisti come lui commettevano le stesse azioni per gusto, per fanatismo ideologico, e ne ricavavano anche soldi, ma il movente primo era l’ideologia. Per questo non mi piaceva, e lo dissi a brutto muso a Danilo, il quale invece la pensava diversamente, mi diceva che Massimo era un bravo ragazzo, lo stimava moltissimo (…) Massimo era un tipo taciturno, serio, educato rispetto alla media delle persone che frequentavamo (…) Era stato coinvolto in un conflitto a fuoco, diceva sempre che dopo quell’episodio in cui sarebbe potuto morire, ogni giorno in più di vita era tanto di guadagnato, mostrando così una sorta di disinteresse per la morte.
Su una circostanza la Moretti è imprecisa: alla frontiera con la Svizzera non ci fu conflitto a fuoco, ma i poliziotti – che, informati da Cristiano Fioravanti, aspettavano Cavallini – spararono a freddo, senza dare l’alt e furono sottoposti a procedimento giudiziario (senza conseguenze). Quella ferita alla testa gli farà attribuire dalla stampa il soprannome di “Cecato”, circostanza sdegnosamente negata dal bandito.

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