Ricordando Giuseppe Ciarrapico ed i suoi manifesti beffa contro Gianfranco Fini
E' morto alle 7.40 di domenica 14 aprile a Roma, nella clinica Quisisana, Giuseppe Ciarrapico: era gravemente malato da tempo. Classe 1934, dal 2008 al 2013 senatore per il Popolo della Libertà, Ciarrapico è stato imprenditore, nella sanità, nell'editoria, e presidente della As Roma tra il 1991 e il 1993. Era detto il Re delle acque minerali, in quanto proprietario delle terme di Fiuggi.
Dichiaratamente simpatizzante della destra, con la sua casa editrice Ciarrapico Editore diede vita ad una collana culturale denominata Biblioteca della cultura della destra con testi importanti tra cui l'opera omnia di Robert Brasillach, (di cui leggo e conservo una copia, dono di mio nonno materno) ed autore dei manifesti beffa nei confronti di Gianfranco Fini, come scriveva Ugo Maria Tassinari su questo blog più di 8 anni fa, in un interessante articolo che riportiamo per intero.
Alla fine era stato Storace a svelare il mistero sull'organizzatore della beffa anti-Fini, con quei manifesti che avevano tappezzato Roma nell'ottobre del 2007. Raffiguravano il leader di Alleanza nazionale che faceva il saluto romano "una garanzia ideale e politica"
. Avevano cercato i colpevoli per mari e monti, credendo che fossero gli anarco insurrezionalisti (gruppo come sempre non ben identificato ma sempre ottimo capro espiatorio). E invece era stato Giuseppe Ciarrapico, non ancora senatore Pdl. La telefonata di "rivendicazione" l'aveva fatta al leader della Destra, trasformatosi anche lui da fedelissimo di Fini in acerrimo avversario: "Hai visto cosa gli ho fatto?".
Sono passati gli anni e Ciarrapico ce l'ha ancora con il presidente della Camera, tanto da spingersi, nel recente dibattito sulla fiducia a Berlusconi, in un' infelice battuta sulla vocazione degli ebrei al tradimento nella foga della polemica contro Fini.
Sono passati gli anni e Ciarrapico ce l'ha ancora con il presidente della Camera, tanto da spingersi, nel recente dibattito sulla fiducia a Berlusconi, in un' infelice battuta sulla vocazione degli ebrei al tradimento nella foga della polemica contro Fini.
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