Strage di Bologna, Adinolfi insiste sul sabotaggio israeliano
Gabriele Adinolfi replica all'intervento di ieri di Andrea Colombo e, dopo una lunga discussione sulla mia pagina facebook, difende le sue congetture sul sabotaggio israeliano compiuto ai danni di ignari compagni che trasportavano l'esplosivo. Molti di quelli che Adinolfi indica come elementi in possesso degli inquirenti sono già stati rivoltati come pedalini ed esclusi. Valga come esempio "i gialli" di Mauro Di Vittorio, una storia che ho avuto modo di approfondire. Se l'ipotesi è che un compagno trasportasse l'esplosivo (scoppiato per sbaglio o per una trappola mortale ignota al corriere) causando la strage, questi non può essere Di Vittorio. L'autopsia attesta infatti che è morto per sfondamento della scatola cranica e il corpo presenta soltanto ustioni estese. Era quindi distante molti metri dal luogo dello scoppio. A questo punto non serve neanche sottolineare che la leggenda metropolitana del palestinese in eskimo ai primi di agosto (cioè un giaccone impermeabilizzato e imbottito) all'obitorio fa il paio con i coniugi Fioravanti (all'epoca fidanzati) travestiti da tirolesi. Quanto al "presunto diario" qui si può leggere uno stralcio pubblicato da Lotta Continua il 21 agosto 1980, cioè dopo dieci giorni dalla sua identificazione.
Martedì scorso a Bologna, in una
conferenza stampa con Fiore abbiamo annunciato l'istituzione di un
tribunale internazionale di giuristi per dimostrare che le indagini
in Italia sono state condotte male. In risposta siamo stati accusati
di imporre una pista ideologica campata in aria e di accantonare
appositamente gli elementi che non la comprovano. Ciò è infondato e
lo documento.
GLI ELEMENTI CHE ABBIAMO EVOCATO
In primo luogo la lista richiesta al
Presidente del Consiglio:
1) Documenti del 1980 nei quali il
capocentro del Sismi a Beirut, Stefano Giovannone, paventa il timore di rappresaglie in
Italia per lo sventato traffico di armi Fplp-Br che diventa un casus belli per indebolire
la leadership palestinese.
2) Il testo del provvedimento e la
ragione per cui il signor Michael Ledeen, responsabile CIA americano a cavallo tra gli anni
settanta e ottanta, fu dichiarato persona non grata in Italia nel 1984
dall'ammiraglio Martini, allora direttore del Sismi.
3) Rapporti sulla rete operativa del
servizio segreto tedesco-orientale, Stasi, in Italia e in particolare nella zona
tosco-emiliana.
4) Rapporti sull'eventuale presenza a
Bologna, il 2 agosto 1980, del dirigente storico delle Brigate Rosse Pierino Morlacchi e
della moglie, Heidi Ruth Peusch, di nazionalità tedesco-orientale.
5) Rapporti e documenti sull'attività
terroristica internazionale di Salvatore Muggioni, il
cui passaporto venne rinvenuto tra le
macerie della stazione di Bologna Centrale il 2 agosto 1980.
6) Documenti che attestano l’ipotizzato
smarrimento dei resti mortali di una ulteriore non registrata vittima.
In secondo luogo abbiamo dettagliato la
lista degli inquinamenti e degli elementi incomprensibilmente
trascurati.
A quelli testé elencati si aggiungono:
1) Gli artifizi per nascondere la
presenza in loco di Tomas Kram.
2) Gli artifizi per invalidare la
testimonianza che denuncia la presenza in loco Christa-Margot
Fröhlich.
3) I gialli attorno alla figura della
vittima Mauro Di Vittorio, a un suo presunto diario, alla fuga di due
persone dall'obitorio una volta riconosciuta la salma.
4) Le modalità della liquidazione
della presenza a Bologna del brigatista Francesco Marra, già
coinvolto nel sequestro Sossi e interrogato per la presenza del suo
compagno Lintrami in Piazza della Loggia durante la strage di
Brescia.
5) Le rivelazioni del giornalista
Gianni Cantù sul trasporto di una valigia da Bologna a Roma.
6) Le confessioni del brigatista
Buzzatti sull'incontro tra il capo BR Senzani e un dirigente dei
servizi segreti italiani – pseudonimo Santini – indicato come
contatto rivoluzionario con l'est e a perfetta conoscenza della
dinamica della strage di Bologna.
7) La perizia-Ciccozzi in cui il Sisde
espone la tesi del sacrificio a distanza dei portatori d'esplosivo.
8) Le rivelazioni del prof. Possenti,
stretto collaboratore di Aldo Moro, sull'operato in Italia della
Stasi, specificatamente nel tosco-emiliano.
9) Il memoriale Giannettini del 14
agosto 1974 sulle strutture del terrorismo.
10) La denuncia di Beppe Niccolai nei
confronti del genero del capo partigiano Boldrini, generale Angeli,
come agente doppio nella zona tosco-emiliana.
Come si vede non abbiamo omesso
assolutamente nulla. Alla pista “palestinese” che si limita al
rapporto-Giovannone, alla presenza di Kram e alla probabile presenza
della Fröhlich, ignorando però tutto il resto, noi abbiamo
semplicemente aggiunto tutti i dati che al momento risultano in
possesso degli inquirenti e agli atti.
QUELLO CHE ABBIAMO RICHIESTO
Non è la condanna di chicchessia,
posto che i veri autori della strage siano ancora vivi, ma l'avvio di
un processo storico che faccia chiarezza e spazzi via le etichette
imposte dalle leggi razziali antifasciste e dai diversi interessi di
parte.
Il materiale sarà consegnato
integramente a chi dovrà giudicare le storture giudiziarie. Che non
saremo noi.
A Bologna ho subito chiarito che
avremmo esclusivamente elencato le certezze e che, se in merito ci
fossero state domande interpretative, le nostre risposte avrebbero
dovuto intendersi come convinzioni che esulavano dalle certezze
elencate. Certezze da sottomettere ai giuristi, a differenza delle
nostre convinzioni,
BEIRUT, TEL AVIV, MOSCA, PARIGI, BERLINO?
La polemica è nata da un'intervista in
cui consideravo “impropria” l'etichetta palestinese per la strage
di Bologna. Mi si è contestata la convinzione – che, ribadisco, è
mia – di un sabotaggio del Mossad del quale i portatori d'esplosivo
sarebbero stati a loro volta vittime.
Non esistono prove di quanto
considero probabile e che, intendo chiarire, non è stato un mio
pregiudizio di partenza ma una conclusione in corso d'opera.
Di sicuro non è un'ipotesi campata in
aria. Questo non solo per la perizia-Ciccozzi ma perché le
contiguità con Br e Hva della Stasi sono documentate. Nel primo caso
è Franceschini a raccontare il contatto risalente al prima del suo
arresto; da Hypérion, sede del Superclan, non v'è dubbio che
l'operazione sia proseguita; si ritrova nella galassia armata
milanese già nel 1973-74.
Conosco bene la tecnica dell'irrisione
che serve a neutralizzare. È stata esperimentata anche per cestinare
alcune testimonianze a Bologna. Non c'è affatto da ridere.
Voglio infine che sia ben chiara una
cosa.
La mia interpretazione sui compagni
sacrificati è, in fondo, innocentista. Probabilmente è l'unica che
non li inchioda come stragisti ma come vittime a loro volta. E che
ritiene che la cortina fumogena sia stata alzata non per coprire loro
ma per impedire, tramite loro, di risalire la pista.
L'interpretazione palestinese dice
tutt'altro. Posto che sia questa la tesi vera – e io ne dubito –
ci troveremmo con dei compagni italiani e tedeschi che compiono una
strage per far liberare Saleh.
E con lui Pifano, Baumgartner e Nieri.
La bomba, in tale versione, l'avrebbe posta volutamente il compagno
Kram e forse la compagna Fröhlich. Questo, se fosse vero, si
chiamerebbe pista rossa.
Se ci fossero elementi per i quali
sostenere che dei Nar, dopo l'arresto di alcuni di loro e di un
dirigente cileno, avessero commesso una strage, diciamo insieme a dei
camerati spagnoli, dubito che si parlerebbe di pista cilena e non di
pista fascista.
Gabriele Adinolfi
Gabriele Adinolfi
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