Curzio: con Novi fummo i primi a raccontare la terra dei fuochi. Correva l'anno 1991
Parlare al passato di Emiddio Novi, è difficile. Anzi, impossibile. Con lui, ho condiviso quasi quaranta anni della mia attività professionale. Gli devo molto, moltissimo. Con lui ho camminato ad una velocità che da solo non potevo raggiungere. E,con orgoglio, rivendico di aver fatto parte di quel ristretto manipolo di giovanissimi aspiranti cronisti chiamati i “Novi boy’s” dai colleghi anziani della stampa napoletana di quel periodo.
Ci siamo conosciuti nella primavera di trentotto anni fa. Ero “matricola” alla facoltà di Giurisprudenza. Volevo fare il corrispondente dall’area a nord di Napoli e grazie ad un amico comune ebbi un incontro con lui nella storica redazione di via Marina. Quando nel 1980, con Achille Lauro colò a picco anche il Roma, il più antico quotidiano del Mezzogiorno. Qui Emiddio aveva percorso già parte della sua brillante carriera giornalistica, restò quello che era e a differenza di altri che seppero riciclarsi, accasandosi tra i laudatores della Balena Bianca di Gava, Scotti, De Mita e Pomicino e il Pci di berlingueriana memoria, seppe attraversare il deserto con orgoglio e appartenenza alla propria storia e alle proprie idee.
Dal ‘86 al Giornale di Napoli di Orazio Mazzoni, in via delle Fiorentine a Chiaia, iniziò un’altra storia ed Emiddio Novi riprese a scrivere e raccontare come sapeva fare. Ma fu quando di quel Giornale di Napoli divenne “anima editoriale” che scrisse una delle pagine più esaltanti del giornalismo campano e italiano. Pagine che ho avuto l’onore e l’orgoglio di condividere con lui. Unitamente a tanti altri colleghi come Ugo Maria Tassinari, Gigi Casciello, Sergio Califano, Donatella Gallone, Filiberto Passananti, Giorgio Graffer, Massimo Calenda, Alfredo D’Agnese, Angelo Di Marino, Marco Lobasso, Gianfranco Lucariello, Stefano Prestisimone e Pino De Martino. E poi Bruno Guerriero e Federico Festa da Avellino. Bruno Menna e Franco Santo da Benevento. Federico Scialla, Mario Iannotta, Antonio Tagliacozzi e Geppino De Angelis da Caserta.
Via Diocleziano 102, Bagnoli. Qui nell’88 si trasferì la redazione del Giornale di Napoli, qui, con la regia di Emiddio Novi e la supervisione di Lino Jannuzzi, nacque una delle stagioni più belle del giornalismo campano dell’ultimo mezzo secolo. Ricordo che mi volle al suo fianco nelle prime inchieste giornalistiche sullo smaltimento clandestino dei rifiuti tossici; tematica che poi affrontò con rigore anche in qualità di presidente della Commissione Ambiente del Senato. Con lui abbiamo scritto, tra i primi, della Terra dei fuochi, di quell’autista diventato cieco per aver trasportato 158 bidoni pieni di sostanze altamente tossiche provenienti da una ditta di Cuneo e sotterrati a Villaricca. A voler leggere le carte delle inchieste, tutto era chiaro almeno fin dal 1991, 27 anni fa, quando la camorra inizia scientificamente a trasformare la Campania in un immensa discarica, seppellendo in ogni buco ma anche sotto le strade e nelle vasche per l'allevamento dei pesci, tonnellate di rifiuti tossici, con la complicità di imprenditori e politici, messi nei posti chiave dai clan e pagati per collaborare.
E' il 4 febbraio del 1991 e alla clinica Pineta Grande di Castelvolturno si presenta Mario Tamburrino, autista di camion. Ai medici dice di aver avuto un fortissimo abbassamento della vista dopo aver scaricato i bidoni di scorie tossiche provenienti dalla ditta 'Ecomovil' di Cuneo nella discarica di Sant'Anastasia. Dopo 20 giorni, gli investigatori scoprono però che il carico non é mai arrivato lì ma e' stato sotterrato in un campo tra Qualiano e Villaricca. Tamburrino diverrà cieco ma il suo racconto apre gli occhi agli inquirenti, che hanno la conferma di quello che la gente dice da anni: ci sono migliaia di discariche abusive di rifiuti tossici utilizzate dalla camorra almeno fin dalla meta' degli anni '80.La svolta arriva pero' nel 1993, due anni dopo, grazie ai pentiti. Tra i primi c'e' Nunzio Perrella che con le sue parole da il via alla prima indagine della procura di Napoli. Fu lui a rivelare che la discarica di Pianura era gestita dalla camorra e fu lui uno dei testimoni chiave dell'operazione Adelphi, che svelò gli intrecci tra camorra e politica. Poi arriva Carmine Schiavone, che non era un camorrista qualunque: era il cugino di Sandokan ed era quello che teneva i conti del clan dei Casalesi. Schiavone riempie decine di verbali e dalle sue parole scaturisce l'operazione 'Spartacus' che ha portato alla condanna nel 2005 di 91 persone, di cui 21 all'ergastolo, per un totale di 844 anni di reclusione.
Nei suoi verbali c'è la genesi del disastro: la camorra, dice tra l'altro, "ha riempito gli scavi realizzati per la costruzione della superstrada Nola-Villa Literno sostituendo il terriccio con tonnellate di rifiuti trasportati da tutta Italia". E le imprese che avevano ottenuto l'appalto per la realizzazione dell'opera, "oltre a subappaltare una parte dei lavori ad imprese legate al clan Schiavone, hanno pagato alla camorra tangenti pari al 3% sull'importo complessivo dell'appalto. Ma il cugino di Sandokan parlò anche delle collusioni, dei rapporti di amministratori e imprenditori locali con il clan. Parole che hanno trovato conferma nelle inchieste degli ultimi venti-trenta anni. Tutto questo trova spazio nelle pagine del Giornale di Napoli che, nel frattempo, ha trasferito la sua redazione al Centro Direzionale. Eravamo pochissimi, per di più accaldati, affamati e assetati nel deserto del Centro direzionale. Non avevamo agenzie, al più un televisore. Oggi, in emeroteca, basta guardare i titoli delle prime pagine per capire che aggressività aveva il “nostro” quotidiano che riusciva tener testa al Mattino o al Roma di Maiello e Casillo. Ma se non bastasse, ecco poche righe di un editoriale di Emiddio: «I giornalisti che lavorano qui non hanno mai fatto parte di quel ristretto mondo di privilegiati della professione, frequentatori di salotti, moderatori fin troppo ben pagati di convegni, monopolizzatori di uffici stampa. Questo giornale vuol rompere con i conformismi che intimidiscono e rendono subalterni ai potentati».
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