La strage di Bologna e i cattivi ricordi del pentito Ansaldi
"La
strage di Bologna fu una notizia devastante dentro Terza Posizione,
sotto ogni punto di vista, non solo per la repressione. E’ stato un
momento d’indagine interiore per tutti, per capire cosa era
accaduto e chi ci era vicino. Immaginavamo che la repressione sarebbe
stata a 360 gradi e avrebbe colpito in modo indiscriminato".
Sono parole di Mauro Ansaldi, ex esponente di Terza Posizione (Tp),
poi diventato collaboratore di giustizia, con cui l'Ansa ieri
presenta la sua testimonianza davanti alla Corte d’Assise di
Bologna che sta processando l’ex Nar Gilberto Cavallini per
concorso nella strage del 2 agosto 1980.
Peccato che al primo
processo Ansaldi avesse raccontato tutt'altra storia: “La
prima persona che me ne parlò fu Adinolfi nell'autunno del 1980,
quando lo stesso, dopo la strage di Bologna, diventò latitante,
entrò in contatto con noi”. In
effetti, e già l'ho raccontato sulla base della testimonianza del
leader di Tp, il primo contatto tra il gruppetto di camerati torinesi
in cui militava il giovane neofascista e Terza posizione è alla fine
di settembre. Ansaldi accompagna Adinolfi lungo il sentiero che gli
permetterà di entrare in Francia. La fuga all'estero avviene dopo il
23 settembre, il giorno in cui un blitz giudiziario con decine di
arresti ha smantellato la rete militante di Tp.
La riflessione
che si attribuisce Ansaldi è in tutta evidenza farina di un altro
sacco: quello di Fabrizio Zani, il leader del gruppo di fuoco
composto da militanti di Terza Posizione che intreccerà le sue
attività con gli ultimi fuochi dei Nar. Il fatto è notorio: anche
se firmato dal segretario di redazione di Quex (m.g.n), è suo l'editoriale
dell'ultimo numero di Quex, la rivista dei detenuti politici neri,
curata da Zani e dalla sua compagna, Jeanne Cogolli. L'articolo, citatissimo, sostiene appunto
che la strage è una provocazione contro il Movimento. Tesi un po'
megalomane, a onor del vero ma a ciascuno il suo. Ma è comprensibile
che 40 anni dopo la macchina della memoria rielabori i dati
mescolando le carte e generando così nuove narrazioni.
Così come
è a mio avviso abbastanza evidente, sulla base di elementi logici e
circostanziali che Ansaldi abbia detto ieri in aula un'altra cosa non
vera: “Ansaldi
– scrive l'Ansa - è stato inoltre interpellato più volte
sull’incontro tra l’ex Tp Giovanna Cogolli e Massimiliano
Fachini (nella foto al processo per la strage di Piazza Fontana), esponente di Ordine Nuovo, che qualche giorno prima della
strage le avrebbe detto di andarsene da Bologna perché sarebbe
successo qualcosa di grosso. Cogolli durante la sua testimonianza
della scorsa settimana ha negato l’episodio, mentre Ansaldi ha
ribadito, come risulta da verbali del passato, di aver ricevuto la
confidenza da Fachini”.
In effetti nel corso delle sue
lunghe deposizioni ai vari processi in cui hanno testimoniato,
Ansaldi e il suo “socio”, Paolo Stroppiana, riferiscono in
prevalenza quanto gli sarebbe stato confidato da Zani e Cogolli. Il nocciolo duro di quelle affabulazioni (l'essere lo
spontaneismo armato della banda Fioravanti condizionato e influenzato
da una catena di comando che parte da Paolo Signorelli e arriva a
Licio Gelli) è stato sottoposto al vaglio dei giudici proprio nel
primo processo per la strage di Bologna che ha condannato come
esecutori materiali Fioravanti e Mambro ma ha assolto la presunta
direzione strategica del terrorismo (i “vecchi” Signorelli e
Fachini) e la cupola dei servizi segreti (Gelli e il Supersismi,
condannati solo per depistaggio). E in effetti, 40 anni dopo i fatti,
possiamo affermare con ragionevole certezza, che lo spontaneismo
armato fu molte cose ma non una banda di mercenari eterodiretti. Così
come sappiamo che il progetto politico di Signorelli, le comunità
organiche, era alternativo alla lotta armata.
Ciò chiarito,
possiamo tornare alle affermazioni di Ansaldi. Un'altra cosa che
sappiamo con certezza è che Massimiliano Fachini era un maniaco
della sicurezza, della riservatezza, della compartimentazione. Suoi
sono i Fogli di Ordine con minuziose istruzioni per la gestione dei
rapporti, le tecniche di contropedinamento, la condotta negli
interrogatori. Fatichiamo quindi a capire perché Fachini avrebbe
dovuto confidare a un giovane militante di un'altra organizzazione un
simile segreto. E poi è difficile stabilire anche quando: perché il
4 settembre Fachini è arrestato nel primo blitz per la strage,
quello del 28 agosto. Ma per trovarlo le forze dell'ordine ci hanno
messo una settimana. E stentiamo a credere che a ridosso della
strage il “vecchio” leader ordinovista abbia ammesso con il
“pischello” torinese di esserne a conoscenza in anticipo, tirando
in mezzo una terza persona. Il problema è che, mentre Cogolli lo ha seccamente smentito, Fachini non può farlo. Perché è morto in un incidente stradale diciotto anni fa.
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