La campagna elettorale è partita: sovranisti e populisti contro l'elite
Ecco perché Salvini e Di Maio (anche) nell'approccio dello scontro con Bruxelles sono due entità distinte e separate. Una divaricazione che stana l'isolamento dei 5 Stelle fuori dai confini e, dall'altra parte, la grande occasione della Lega di qualificarsi come vera forza riformista, "dal basso", come ci racconta il collega Antonio Rapisarda in un interessante articolo pubblicato su Il Tempo, storico quotidiano romano.
Articolo che riportiamo per intero.
La manovra “della discordia” con la Commissione Ue non è nient’altro che una delle portate principali con cui, con percorsi diversi, Matteo Salvini e Luigi Di Maio intendono apparecchiare le rispettive campagne elettorali in vista delle Europee di maggio. Nel vocabolario dei populisti giallo-verdi, infatti, se c’è un elemento sensibile e scatenante, dove la frattura popolo vs élite si rende plastica oltre l’immaginario, è la morsa con cui la Troika è pronta a bloccare in partenza il “governo del cambiamento”.
Questo, almeno, è lo spauracchio che Salvini ha esorcizzato a caldo da Bucarest, pochi minuti dopo la prevista bocciatura formale dei commissari e con il differenziale con i Bund tedeschi schizzato sopra quota 300: se in passato lo spread ha già determinato la caduta di un esecutivo in Italia «questa volta non accadrà, perché questo governo non arretra». Nessun passo indietro, dunque, in ragione di una novità rivendicata: «E poi questa volta c’è dietro di noi un Paese – ha assicurato il ministro dell’Interno -. Non stanno attaccando solo noi, ma un popolo». È questa la cifra con cui Salvini intende procedere nella sfida dichiarata all’impianto dirigista con il quale la Commissione guidata da Barroso prima e poi da Juncker ha governato l’ultimo decennio: «I popoli vengono prima delle istituzioni».
Per rovesciare questa piramide, a differenza del vicepremier grillino che fatica a trovare un idem sentire continentale parallelo a ciò che ha portato il MoVimento al governo in Italia, il leghista ha già pronta una road map precisa e uno schema di alleanze. Il primo passo, sul quale Lega e 5 Stelle sono comunque d’accordo, è superare il meccanismo del Fiscal compact: quell’accordo intergovernativo - non un Trattato, quindi, del quale è inferiore dal punto di vista gerarchico – introdotto dal governo Monti con cui sostanzialmente l’Italia si è impegnata ad arrivare al pareggio di bilancio. Una misura «anti-crescita», secondo i giallo-verdi, che rivendicano come orizzonte minimo il ritorno almeno ai parametri di Maastrischt, ossia la possibilità di spendere in deficit al 3% per finanziare politiche espansive.
A maggior ragione, dunque, sul 2,4% fissato dalla manovra per i due vicepremier non si fanno passi indietro. Ma se per Di Maio & co l’eventuale esplosione dello scontro, con tanto di “commissariamento” dell’Italia, è visto come una formidabile quanto spericolata arma per recuperare terreno al Carroccio in vista delle elezioni di maggio, in casa Lega superare in navigazione le colonne d’Ercole della prima manovra – scommettendo sull’exploit elettorale del “Fronte della libertà” e degli interlocutori privilegiati nel Ppe – significa la possibilità di potersi presentare come «i veri salvatori dell’Europa», come ha ribadito Salvini qualche settimana fa nella sede dell’Ugl con accanto Marine Le Pen.
Dimostrare la potabilità del “modello italiano” (ossia un’esperienza di governo con un sovranista tra i vertici della terza economia dell’Ue) nelle intenzioni di via Bellerio può rappresentare un richiamo importante per quella «parte migliore del Partito popolare», così la chiama il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana, che spinge per un’alleanza a destra in vista della prossima Commissione. Il motivo è chiaro: sui dossier immigrazione e sicurezza, ma anche su quello della difesa del sistema sociale europeo dal dumping, nell’opinione degli elettorati europei la domanda di protezione è altissima. Per questa ragione la stessa suggestione di Salvini come spitzenkandidat dei sovranisti alla presidenza della Commissione – in vista di un accordo post-elettorale con il centrodestra europeo - acquisisce ancora più forza nell’eventualità di una Lega primo partito di un governo che giunge coi suoi piedi all’appuntamento di maggio.
Se in chiave europea la divaricazione fra riformatori, i sovranisti, e conservatori, i sostenitori dell’attuale status quo, è netta (con tanto di emblematico scontro fra i due idealtipi, Salvini ed Emmanuel Macron), anche nel dibattito interno gli schieramenti sono già formati. Lega, M5s e Fratelli d’Italia, da una parte, si candidano a ridare all’istituzione europea un modello “sostenibile” e un legame diretto con i popoli, dall’altra invece il partito del “Forza Spread” accomuna Pd, +Europa e – con una nota polemica di Giovanni Toti, da ieri ancora più eretico dentro il suo partito – anche quella Forza Italia che, con il suo leader, paradossalmente è proprio quella che denunciava di aver subito, nel 2011, da Bruxelles il medesimo trattamento che oggi sembra invocare per i giallo-verdi.
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