La sindrome Meloni e i Fratelli d'Italia da psicanalizzare
(G.p) In merito al dibattito suscitato dalla nostra inchiesta sull'opa democristiana su fratelli d'Italia riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo di Franco da Avellino, nostro attento lettore del blog, storico milantante della destra irpina, nel Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale prima, in Alleanza Nazionale poi, in Fratelli d'Italia in ultimo.
Il risveglio sovranista di Giorgia Meloni ad Atreju andrebbe
analizzato. Forse psicoanalizzato. O meglio, se non fosse talmente palese che
il ricorso al più imprudente degli equilibrismi sia finalizzato al
raggiungimento di una briciola elettorale oltre lo sbarramento, sarebbe
veramente il caso di disporre una lunga seduta di analisi di gruppo dove far
accomodare pezzi significativi della classe dirigente di Fdi.
Intendiamoci, dentro Fratelli d'Italia pur esistono e
sussistono realtà militanti pregevoli, anche a loro modo coerenti, finanche
lodevoli per dedizione e purezza. Esiste un mondo giovanile, persistono
comunità storiche, resistono anche alcune personalità di antica militanza. Il
punto, ovviamente, non riguarda loro, bensì il crogiuolo di amici e parenti
della Meloni che costituisce il Gotha decidente di Fratelli d'Italia.
Come tutte le indagini psichiatriche, occorrerebbe partire
da lontano, cominciare dall'inizio, altrimenti non si riesce a capire la
schizofrenia di chi, lo stesso giorno in cui lancia un appello ai
populisti-sovranisti per la costituzione di una nuova Destra euroscettica,
riesce contemporaneamente a presentare Fitto come il nuovo ingresso, il più
bello della campagna acquisti. Fitto, eh.
Ebbene, in sintesi, le cose stanno così: alla sua genesi
Fratelli d'Italia già consumò la sua prima crisi psicotica, è cioè lo
sdoppiamento bipolare di personalità. Ad una base che aveva aderito nel
convincimento di fare un Partito di Destra, magari e finalmente di una Destra
autentica, schietta, popolare e popolana, si contrapponeva la aspirazione del
vertice di creare un “CentroDestra Nazionale”, un PDL ripulito dai troppi
scandali, una forza moderata, responsabile, dal vago sapore british
liberalconservatore, appena appena mitigato dall’accento di borgata della
Meloni. Del resto anche An, spesso, era così, con una base che non ha quasi mai
digerito la collocazione “antifascista” di un vertice desideroso di
accreditarsi nella buona società.
E così, ai suoi albori, i capoccia di Fdi ricorrevano un
"modello Oscar Giannino", liberale in economia, assertore di uno
Stato leggero e minimale, ordinariamente europeista, mentre sul territorio, un
po' a fatica, si rimettevano insieme i fili di un mondo fatto di sezioni,
vecchi manifesti di Azione Giovani, ricordi emozionanti di cortei e,
naturalmente, di aspirazioni voluttuose di tornare camerati, dopo la parentesi
del PdL, ma anche pari aspirazioni di essere eletti da qualche parte, dopo le
epurazioni degli ex An nello stesso PdL. Legittimo, per carità.
La doccia freddina dell'1,9% alle politiche 2013, però,
convinse da subito i gabbiani che occorresse inglobare mondi più attrezzati dal
punto di vista elettorale. Il 3,67% dell'anno successivo, alle europee, fu
infatti frutto di questo immane sforzo: la Meloni aprì la porta di casa a
molti, ai quali comunque non concesse mai di accomodarsi nel salotto buono. La
“cupola” doveva comunque essere sotto controllo, affidata alla gerarchia
consolidata di Colle Oppio più qualche sporadico Ras locale.
Entrò Alemanno insieme ai suoi, consapevoli di godere di un
claudicante diritto di cittadinanza, nonostante il tributo elettorale fatto di
sangue e sudore (e voti!) tanto alle europee 2014 quanto alle regionali 2015.
Fu una presenza vista con preoccupazione e sospetto, ma la strategia era
oggettivamente quella di servirsi di ogni struttura e di ogni radicamento che
si fosse avvicinato. Legittimo, per carità. Sui territori, infatti, spesso il
Partito fu concesso ai primi arrivati, talvolta di Destra, talvolta invece no.
Con Alemanno tutto cominciò con una Assemblea della Fondazione An di fine 2013
per concedere il simbolo del “disciolto partito” alla Meloni, e tutto finì,
nella Assemblea della Fondazione An di ottobre 2015, con la sconfitta di misura
della “mozione dei quarantenni” e la definitiva espulsione del suo gruppo. Ma
su questo ci torneremo più avanti. Intanto c'era un altro problema: l'ingresso
in Fdi del mondo militante di Prima l'Italia ha spostato il Partito su
posizioni euroscettiche; prima di Alemanno il “centrodestra nazionale” che
avevano in mente non avrebbe mai preso queste posizioni. Basti pensare che
ancora oggi la Meloni invochi e sbandieri il "pareggio di bilancio",
per evincere senza ombra di dubbio che della vicenda della sovranità
euroscettica non abbia capito granché. Un altro spunto per la psicoanalisi.
Una presenza così problematica, si diceva, doveva essere
controbilanciata. E dentro Fdi trovarono sempre più asilo espressioni politiche
tutt'altro che di tradizione di Destra. Serviva controbilanciare in termini di
dirigenza, in termini di ruoli istituzionali ed in termini elettorali. Nel
convincimento autoindotto, altra questione degna di approfondimento
psicoanalitico, di avere sempre e comunque il polso di un Partito destinato a
crescere, il "cerchietto magico" attorno alla Meloni si prodigò di
far entrare espressioni con passati diversi, se non contrastanti, con la
tradizione missina e di An, qualche volta pizzicando delusi dal PDL, altre
volte esercitando suggestione per eletti in altre fila che avessero smarrito la
strada di casa, altre volte ancora reclutando figure in cerca di riabilitazione
e riciclo. Legittimo, per carità.
In Campania, regione simbolo, i due esempi più significativi
furono i consiglieri regionali Luciano Passariello di Napoli e Alberigo Gambino
di Salerno. Campioni di preferenze, questo sì, ma di sicuro afferenti a mondi
diversi, o anche troppo diversi, rispetto a quello che Fdi sarebbe dovuto
essere e non è stato, né probabilmente sarà. A Caserta fece una certa
sensazione l'ingresso della deputata Giovanna Petrenga, non certo famosa per le
sue doti di eloquenza, ma meno ancora riconducibile alla militanza nella
Destra. Anche a Benevento, dopo un continuo "vai-e-vieni" di Pasquale
Viespoli e l'allontanamento di Luca Ricciardi (che oggi invece felicemente
guida la Lega nel Sannio) il Partito della Meloni non ha voluto, in verità,
rappresentare l'anima tradizionale della Destra, fino ad esprimere un gruppo
dirigente che, incapace di fare una lista al Consiglio Comunale, decise ugualmente
di sostenere Clemente Mastella. Mastella, eh. Per finire, un altro capolavoro
fu Avellino: gli irpini si sono dovuti sorbire (e subire) una sequela di
riciclati lontani anni luce dal mondo storico della Destra: prima l'ex
riformatore azzurro Orazio Sorece alla guida del Partito, poi Massimiliano
Carullo (il sindaco pro-immigrati di Mercogliano) capolista alla Camera e per
finire Costantino Preziosi, ex demitiano, candidato sindaco fuori dal
CentroDestra.
I risultati elettorali di queste strategie sono stati
disastrosi: ad ogni elezione amministrativa il Partito ha ottenuto risultati
affannosi; a Napoli, dopo la pessima performance delle comunali, FDI non ha
eletto nessun parlamentare, e lo stesso Marcello Taglialatela ha abbandonato i
"Fratelli". Se a Salerno, dopo pari figuraccia alle amministrative
del capoluogo, si è riconfermato alla Camera Edmondo Cirielli, riuscendo per il
rotto della cuffia a portare in Senato anche Antonio Iannone (ma in entrambi
i casi l'elezione è avvenuta con uno squilibrio di rappresentanza territoriale
degli eletti, dovuta a una legge elettorale, il rosatellum, scritta veramente
coi piedi), Fratelli d'Italia in Campania si è lasciata facilmente superare
dalla Lega al suo esordio nel SUD, sia in Campania 1 che, ancor di più, in
Campania 2, come anche al Senato della Repubblica.
Complessivamente, a livello nazionale, le elezioni politiche
del 2018 hanno offerto poco più del 4% a Fratelli d'Italia, ma i più recenti
sondaggi evidenziano che il Partito della Meloni stia retrocedendo. Ormai tutto
lo spazio politico della Destra è occupato, con successo, da Matteo Salvini e
sembra che, per Fdi, si riproponga la ghigliottina dello sbarramento alle
prossime elezioni europee. Ecco quindi il colpo di genio frutto di un complesso
di inferiorità, anche esso da affidare alle cure di un buon analista: convinti
che ormai si sia ridotto a lumicino lo spazio di agibilità politica e
consapevoli di una inadeguatezza congenita, cronica e degenerativa a
rappresentare una Destra nazionale, sociale, popolare, identitaria ed
euroscettica che pur in questi anni, se solo ci avessero provato, avrebbe
potuto trovare consenso e partecipazione, i meloniani si sono lanciati nella
difficile e contradditoria opera di equilibrismo che dicevo all'inizio: mentre lanciavano
l'appello per un nuovo soggetto populista e sovranista insieme a Bannon, i
patriottici fratellini ufficializzavano l'ingresso di Raffaele Fitto, che non
più tardi di un anno fa votava a favore del CETA al Parlamento Europeo e alle
politiche di marzo era uno dei promotori della quarta gamba scudocrociata. Più
sovranista di così...
Ma interessanti sono le parole della Meloni, che oggi vuole
fare un movimento sovranista (che, a proposito, c'è già ed è quello di Gianni
Alemanno). Sono praticamente gli stessi auspici e le stesse prospettive
tracciate nella mozione dei quarantenni nel 2015: rifondare un Partito
inclusivo, che abbia a cuore l'interesse nazionale oggi messo sotto attacco
dalla eurocrazia anti-italiana, assunta la necessità storica di superare le
divisioni e le diatribe che hanno caratterizzato il mondo della Destra per
offrire al panorama politico il tema cruciale della sovranità. Solo che,
all'epoca, la Lega non era ancora così travolgente e, sempre all'epoca,
ipotizzando l'intervento della Fondazione An, si sarebbe potuto disporre
(leggi: la Meloni avrebbe potuto disporre) di interessanti e significative
risorse. Una intuizione disattesa per non condividere il giocattolino, ma che
avrebbe cambiato completamente lo scenario, adesso maliziosamente rispolverata
forse fuori tempo massimo.
Fare gli auguri a Giorgia Meloni è doveroso, che finalmente
questo ritrovato spirito sovranista sia foriero di una nuova e più matura
scelta politica, finalmente libera da determinate paccottiglie risorgimentali
utilizzate come perimetrale residuato ideologico dentro il quale ficcare un
pensiero debole liberaloide in economia, appena appena bilanciato da qualche
demagogia sui poveri, sui giovani e sui piccoli imprenditori e talune sortite
sui nomadi che “devono nomadare” o sull'utilizzo eccessivo di photoshop sui
manifesti.
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