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29 giugno 1969: il ritorno di Almirante al vertice del Msi tra stop and go

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Il 15 giugno 1969 muore, dopo una lunga malattia, Arturo Michelini. Ha guidato il Msi per quindici anni. I suoi funerali saranno forse l’ultima adunata fascista, nel senso tradizionale e mussoliniano della parola. Il giornalista e storico Gianni Scipione Rossi scrive:
Le esequie, celebrate il giorno seguente nella chiesa di San Roberto Bellarmino di piazza Ungheria, nel quartiere Parioli, sono, con le decine di migliaia di persone che vi partecipano, dando vita anche a scene di sincera disperazione, l’ultima grande manifestazione del Msi come il segretario scomparso l’aveva ‘costruito’, forse suo malgrado: un’associazione di nostalgici in funzione meramente anticomunista, in gran parte estranei all’Italia quale si era venuta formando nel lungo dopoguerra; una forza da utilizzare sul piano parlamentare, ma senza obiettivi più ambiziosi del mantenimento di se stessa. La selva dei labari e delle braccia alzate nel saluto romano in risposta al tradizionale appello del defunto celebrano sì la morte del ‘capo’, ma inconsapevolmente segnano anche l’archiviazione di un modo di far politica. Il Msi entra così in una fase nuova e certo più vitale della propria storia.
 Ma torniamo alle caratteristiche politiche della segreteria Michelini. Ecco l’opinione di Teodoro Buontempo:
Io all’epoca ero un oppositore di Michelini, ma, rileggendola a posteriori, ho rivalutato di molto la sua figura. Lui si trovava tutti i giorni a fare i conti con la stessa sopravvivenza del partito. Per non parlare della questione economica: oggi lo Stato assicura il sostentamento dei partiti con il finanziamento pubblico, sovvenzionandone i giornali, le iniziative eccetera. Allora non c’era niente di tutto questo e bisognava arrangiarsi alla meglio. È comprensibile, quindi, che magari Michelini sia stato costretto a scendere a compromessi per garantire la sopravvivenza del partito, ma senza mai varcare le «colonne d’ercole» del ripudio del fascismo. Occorre poi aggiungere che il Msi è nato come una testimonianza storica, per dare continuità all’esistenza dei vinti. Era anzi il partito dei vinti. Il grande merito di Michelini è stato quello di aver canalizzato per le vie democratiche e istituzionali un potenziale umano pronto a qualunque evenienza per affermare le proprie idee. È chiaro che, per cercare di mantenere in equilibrio tutte queste esigenze contrapposte, spesso finiva per offuscare la natura sociale del partito, privilegiandone l’aspetto più platealmente anticomunista. 
Domenico Mennitti è sostanzialmente d’accordo con Buontempo:
Michelini non era certo un uomo di lotta, né di isolamento. Era un pragmatico, non aveva cioè forti radici di carattere culturale o ideologico. Diciamo che gestiva la situazione come se fosse più un segretario amministrativo del partito che non un segretario politico. In ogni caso il suo progetto del fronte articolato anticomunista era senza dubbio un’intuizione giusta. Così come è da apprezzare storicamente il suo impegno a inserire progressivamente il Msi nelle istituzioni democratiche. Perché non possiamo fingere di non sapere che, se ciò non fosse successo, un certo numero di italiani, non avendo la possibilità di fare politica in maniera democratica, avrebbe certamente abbracciato comportamenti eversivi.
Il 29 giugno si riunisce il Comitato Centrale del partito che nomina la nuova direzione, basata su un principio unitario, rappresentata cioè da esponenti di tutte le correnti. La direzione elegge Giorgio Almirante segretario del Msi. L’accordo sul nome del leader della sinistra è stato raggiunto nei giorni precedenti. Ernesto De Marzio, vicesegretario del Msi nella gestione Michelini, prende il posto di Almirante come presidente dei deputati. Questo il suo ricordo:
Dopo la morte di Michelini i candidati alla sua successione erano due: Roberti, micheliniano, e Almirante, leader della sinistra. Io ero in una posizione imbarazzante: amico intimo di Roberti, ma legato politicamente, per via di alcuni accordi tra correnti, ad Almirante. Anche gli esponenti del mio gruppo erano divisi. Un giorno dissi a Roberti: guarda che se diventi segretario, questo la politica non te la fa fare. Farà come ha sempre fatto con Michelini, meglio lasciare che lo faccia lui il segretario... E poi Almirante, in cambio del nostro appoggio, si impegnò a trasformare in senso moderno e democratico il partito. Così finimmo tutti per far convergere i voti su di lui.

 Nella direzione del 10 luglio Almirante fa approvare subito due delibere: l’archiviazione dei provvedimenti disciplinari in corso e un appello ai «fratelli separati», a cominciare dai militanti di Ordine Nuovo. Contemporaneamente lancia lo slogan della «alternativa al sistema» e quello della «grande destra». Il tentativo del nuovo segretario, insomma, è quello di fare del Msi il partitoguida di una grande alleanza che comprenda tutte le anime del composito universo di destra, dai monarchici fino ai rautiani, per tentare di togliere voti alla Dc e condizionarla il più possibile. Naturalmente, per realizzare questa operazione, Almirante deve lasciare cadere molte delle sue iniziali istanze sociali in cambio dell’appoggio del correntone nazional-conservatore del partito. In compenso ottiene carta bianca sull’operazione «grande destra».

FONTE:  Nicola Rao, La fiamma e la celtica

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