Giugno. Per ricordare tre ragazzi del Fuan: Manno, Di Vittorio, Alibrandi
In questi giorni particolarmente incasinati né io né Giuseppe Parente, sulle cui spalle grava la maggior parte della fatica di portare avanti questo blog, abbiamo avuto tempo e modo di onorare il ricordo di alcuni morti, Roberta Manno (morta nei primi giorni di giugno del 2016), Marco Di Vittorio (morto l'11 giugno del 2011) e Alessandro Alibrandi (di cui tutti ricordano la morte il 5 dicembre, ma è nato il 12 giugno 1960). E poiché, in tutta evidenza, hanno condiviso il pezzo più importante della loro vita, dalle parti di via Siena a Roma, ci sembra giusto ricordarli insieme. Rimandando ai testi prodotti nel corso degli anni. Cominciando da Roberta Manno.
Avevo deciso di non scrivere nulla in ricordo di Roberta Manno, uccisa pochi giorni fa da un tumore al cervello. E non certo per ottusa coerenza al progetto di dismissione avviato nei mesi scorsi ma proprio perché lei aveva sempre con fierezza rivendicato il diritto alla riservatezza, facendomene oggetto di una “rivendicazione” specifica, in occasione di un confronto ravvicinato. Ma se lei e il suo gruppo umano hanno deciso di giudicare indicibile la loro esperienza, nelle forme e nei modi che si sono consolidati per la narrazione degli anni di piombo, resta però una contraddizione, che è ben espressa da Flavia Perina e quindi mi affido al suo ricordo, espresso su facebook, per provare a restituirvi la bellezza della persona LEGGI TUTTO
A Marco Di Vittorio dedicammo invece uno speciale , costruito intorno alla sua lunga testimonianza a Nicola Rao:
E' morto a Roma Marco Di Vittorio, un quadro dei "fascisti proletari" di Prati e poi del Nar composto dai militanti del Fuan di via Siena rimasti legati al progetto comunitario di Dario Predetti. Ha combattuto a lungo e con determinazione un tumore feroce, provandole tutte, anche farmaci sperimentali dell'altro mondo. Più tardi una più completa nota biografica. Per ora solo tre righe, prese dall'ultimo libro di Rao nella "trilogia della celtica", per provare a restituire con uno squarcio di luce la sua generosa personalità: "Faccio alcune rapine, per aiutare economicamente camerati latitanti. Di tutti i soldi che mi sono passati per le mani - e sono stati tanti - non mi sono mai preso 50 lire, forse
perché venivo da una famiglia abbiente".
Per approfondire:
Quanto ad Alessandro Alibrandi, ci sembra evocativa la testimonianza di Claudia Serpieri che ci restituisce la sua dimensione umana:
“Finché ho conosciuto un ragazzo che poi è morto in uno scontro a fuoco, e ci siamo messi insieme. Per lui esisteva solo la lotta e cominciai a vedere le pistole, a giustificare anche alcune azioni. Mi accendeva l’idea di una scelta non equivoca, quest’idea di rivolta dalle radici, mi entusiasmava il cambiamento effettivo che si poteva ottenere subito con l’azione. Avevo sedici anni e finalmente avevo trovato la mia famiglia: lui e i suoi amici, la sua “banda” erano come fratelli. Con loro rischiavo la vita tutti i giorni. Il mio ragazzo, che aveva due anni più di me, tutti lo vedevano come il fascista cattivo assassino ma io penso che era una persona che non ha mai tradito nessuno, ha dato la vita per quello in cui credeva. Lui non voleva che prendessi parte attiva. Dovevo sostenere il nucleo con la partecipazione ai piani. Ero solo la confidente, dovevo “guardarli” e basta. Rapporto col mondo, niente. Abbiamo vissuto in un microcosmo. Non abbiamo mai fatto l’amore. Non mi sentivo pronta. Una volta, uno accanto all’altra, stava per succedere ma io ho detto di no e lui si è fermato. Era un timido incredibile. Finché mi ha lasciata perché ha cominciato a sentire il legame con me come un freno a ciò che voleva fare. Citò Necaev: “Il rivoluzionario deve essere solo”. E ognuno per la sua strada. Non ha avuto il coraggio di farmi combattere con lui”.
Qui la pagina di aggregazione con tutti i post (più di dieci) dedicati ad Alibrandi.
Le due foto sono state riprese dalla pagina facebook di Pino Petruccelli.
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