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Fioravanti a Bologna: Francesca Mambro, una donna coraggiosa, ma non ha ucciso nessuno

Come si dichiara per la banda armata in merito al 2 agosto? "Innocente, non l'ho fatto, ma mi hanno condannato". Comincia così la testimonianza di Valerio Fioravanti, l'ex capo dei Nar, davanti alla Corte d'Assise presieduta dal giudice Michele Leoni che sta processando Gilberto Cavallini per concorso nella strage. Voce bassa, atteggiamento tranquillo, Fioravanti ha cominciato la sua testimonianza rispondendo a tutte le domande del pm Antonello Gustapane. Tra i primi argomenti Francesca Mambro, la sua compagna, condannata assieme a lui per la strage di Bologna. "Francesca ha otto ergastoli - ha detto Fioravanti - ma non vi siete mai accorti dalle sentenze che non ha mai sparato. Eppure si è sempre assunta le sue responsabilità. Lei è stata un capo dei Nar, una donna coraggiosa al contrario di molti altri che si definiscono capi, ma che poi hanno sempre negato di aver commesso omicidi".
Buona parte dell'udienza è stata dedicata a un excursus storico con abbondanti domande di presidente della Corte e pm per ricostruire l'ideologia dei Nar e i rapporti conflittuali con la "vecchia generazione".
“Ci chiamavano spontaneisti intendendo che eravamo un’accozzaglia di anarcoidi senza un progetto”. Così Fioravanti spiega come nasce la “linea politica dei Nar” che non avevano “un progetto a media-lunga scadenza. Non volevamo prendere il potere e non volevamo nemmeno piegarci davanti al capo del fascismo di allora, Stefano Delle Chiaie”. Gli stessi dubbi il capo dei Nar li esprime anche sull’ordinovista Massimiliano Fachini, che i Nar avrebbero voluto uccidere (Gilberto Cavallini ci provò, ma rinunciò pensando alla famiglia della vittima) e sull'ideologo Paolo Signorelli.
“Per noi - spiega l'ex capo dei Nar - la regola era che se uno aveva più di vent’anni e non era mai stato arrestato, c’era qualcosa di strano”. Alcuni dei “camerati” più attempati li aveva conosciuti in carcere, ma avevano fatto poca galera e questo era un evidente indizio di legami con le forze dell’ordine o, peggio, con i servizi segreti. Rapporti che ovviamente sono stati attribuiti anche a lui: lo stesso fratello Cristiano giunge ad accusarlo per il delitto Mattarella, altri gli attribuiscono il ruolo di "killer della P2". Valerio Fioravanti però nega qualsiasi contatto con apparati di intelligence ed estende la stessa “purezza” al fratello Cristiano, a Francesca Mambro e ad Alessandro Alibrandi.
Di Cavallini, però, non può dire lo stesso, come già aveva affermato Mambro. Di qualche anno più grande, l’attuale imputato, a cui Valerio Fioravanti era legato ai tempi della clandestinità e della lotta armata, si dimostrò in seguito troppo vicino a figure chiave della vecchia eversione nera come Carlo Digilio, l’armiere di Ordine Nuovo conosciuto anche con il soprannome di Zio Otto.
Con il "tradimento dei vecchi capi" Valerio Fioravanti giustifica l'impegno per l'evasione di Pierluigi Concutelli e i rapporti politici con Mario Tuti, punto di riferimento ideologico per gli spontaneisti armati:  “Non li conoscevamo - ha detto Fioravanti, - e disconoscevamo la loro pratica politica, ma erano degli ‘sventurati’, meritevoli di aiuto perché avevano agito su ordine di qualcuno che poi li aveva abbandonati”.

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