5 maggio 1982: la morte di Giorgio Vale. Aveva soltanto vent'anni
Il 5 maggio 1982 trova la morte Giorgio Vale, figura di spicco dei Nar. Ufficialmente suicida, ma molti sono gli argomenti per sostenere che quella mattina al Quadraro si sia consumata una piccola via Fracchia. Oggi gli dedicheremo uno speciale in tre puntate. Cominciamo con il testo che gli ho dedicato nella seconda edizione di Fascisteria, fino alla cattura di Francesca Mambro il 5 marzo 1982 e poi con le considerazioni. Seguiranno due estratti dal Piombo e la celtica. Nicola Rao ha fatto un 'eccellente ricostruzione della prima trappola mancata il 6 marzo e poi sui fatti e le narrazioni del 5 maggio 1982.
Giorgio Vale proviene come Francesca,
dall’attivismo di piazza ma senza esperienza nel Fronte: “the
drake” è uno dei tanti “pischelli” che nascono con Lotta
studentesca e crescono con Tp. Ha 18 anni e due mesi quando l’arresto
di Nistri e Dimitri lo proietta alla testa del nucleo operativo. Una
responsabilità che segnerà la sua breve vita. Morirà a 20 anni e
mezzo, molto probabilmente ammazzato dalla polizia anche se la
versione ufficiale parla di suicidio. La data è il 5.5.82: la quinta
vittima della maledizione non poteva che cadere di maggio. Mulatto,
capelli neri crespi e carnagione olivastra, Vale milita
tranquillamente nei ranghi della destra radicale degli anni Settanta.
Il vangelo di quella generazione è La
disintegrazione del sistema
di Freda. Al mito dell’Europa “vecchia
baldracca, rotta a tutti i puttaneggiamenti”
l’autore
contrappone “lo
stile sobrio e spartano dei vietcong”. Vale è più volte fermato durante volantinaggi, ronde, picchetti e
una volta è arrestato per rissa. Vice di Nistri, partecipa alla
gambizzazione di Ugolini. Quando diventa responsabile del nucleo,
incrementa il finanziamento illegale sottraendosi al controllo di
Fiore. Dopo poco più di un mese dalla “promozione” si fa
coinvolgere nell’omicidio dell’agente Arnesano. Gli cade anche la
pistola durante la fuga ma Valerio è comunque soddisfatto. Spiega un
dirigente di Tp:
A Roma già esistevano rapporti di scambio di armi e di favori tra i vari gruppi operativi. Lui curava i contatti, poi si ritrova improvvisamente privo di una figura carismatica e non ha la maturità per assumere un ruolo che non può essere ricoperto da Fiore. Sa benissimo che Robertino è uno che lo usa, non il capo in cui avere fiducia. Saltata l’intermediazione di Nistri lui realizza il rapporto strumentale con i vertici di Tp e diventa facile preda dell’accelerazione militarista di Fioravanti. Va a “fare” Arnesano per disarmarlo e si trova complice in un omicidio. È uno dei più coscienti del fatto che è entrato in una situazione che non ha liberamente determinato eppure una volta che ci sta la vive fino in fondo.
Mette
su una batteria di minorenni: Belsito, Ciavardini, Soderini. Rapinano
la collezione di armi di un amico di Elena Venditti, figlia del
cronista parlamentare di Paese
Sera,
fidanzata di Ciavardini e, prima, di Fiore. Le banche, con grande
sfrontatezza, le scelgono sotto casa: tra corso Trieste e Vigna
Clara. Partecipa all’assalto al Giulio Cesare, un liceo dove è
conosciutissimo. Gli è affidato l’impatto sull’agente isolato
nel cortile mentre Valerio e Francesca si occupano dei due uomini a
bordo dell’auto civetta. Apre subito il fuoco sull’agente
Giuseppe Manfreda che si è accorto dell’agguato e così salta il
“processo” programmato con il disarmo della pattuglia: una
leggenda urbana vuole che la vittima di Vale simpatizzasse per Tp e
che pur avendolo riconosciuto si sia rifiutato di farne il nome.
Scappa con Ciavardini, ferito da un colpo di rimbalzo. Cadono dalla
vespa e si allontanano sequestrando un taxi. Riprendono le rapine, si
accentua il distacco da Tp. Nei convulsi giorni che seguono la strage
di Bologna si consuma la separazione definitiva. La rapina
all’armeria Fabbrini, nell’agosto 1980, subito dopo la strage di
Bologna, è l’occasione per la definitiva fusione tra la banda
Fioravanti e i “pischelli” di Tp. Il rapporto di Vale con il
movimento resta ambiguo: fa sapere che Valerio vuole ammazzare
Mangiameli, partecipa al delitto ma vi è trascinato per i capelli.
Intanto le sue capacità operative si affinano. Quando a Dario
Mariani, un altro capozona passato in clandestinità, scippano un
borsello con diciassette milioni, i due eseguono in tre giorni due
rapine per riparare il danno. Il 13 novembre incappa con Cristiano in
un controllo dei carabinieri ed è lui a guidare il disarmo: fa
infilare al brigadiere la testa nel cofano posteriore con un pretesto
e poi gli salta alla gola puntandogli la pistola alla testa. Per
avvalorare l’ipotesi di una strage organizzata dai ragazzini è
coinvolto nel depistaggio del Sismi: sarebbe stato lui, secondo la
soffiata dell’ufficiale del servizio segreto militare Giuseppe
Belmonte, ad acquistare i biglietti per i terroristi stranieri che
trasportano armi ed esplosivo sul treno Taranto-Bologna. Mentre gli
“spioni” tramano ai suoi danni, la principale preoccupazione di
Vale è di punire i traditori. Si procura i verbali delle confessioni
di Perucci, “capocuib” del quartiere Trieste e li discute con
Belsito. I due sono molto legati: due soldati disciplinati, di poche
parole, con una forte attitudine all’azione. Belsito le conclusioni
di quella lettura le trae in proprio: va da solo ad ammazzare il
“traditore” e scappa all’estero.
Vale
resta in prima linea. Assiste dall’altro lato dell’argine alla
sparatoria di Padova in cui resta ferito Valerio ma si sgancia senza
rendersi conto della situazione. Torna a Roma con Francesca e Gigi e
con loro vivacchia di rapine fino al rimpatrio di Alibrandi, che
rilancia l’iniziativa guerrigliera. È
Vale a uccidere De Luca, sorpreso in casa sotto la doccia. Pur
essendo un fanatico di armi e un ottimo tiratore (“È
incredibile Giorgio”,
commenterà
con Sordi Belsito, “legge
solo di armi, non l’ho mai visto con un bel libro politico in mano,
chessò,
di Hitler”)
non
ha un ruolo da protagonista negli attentati. Negli omicidi (Pizzari,
Straullu) svolge compiti di staffetta e di autista, per restare al
fianco di Francesca. Nelle rapine, dove è maggiore il rischio di
conflitti a fuoco, assicura la copertura, un incarico che richiede
freddezza ed esperienza. Così partecipa alla rapina miliardaria al
gioielliere Salvatore Marletta, che rappresenta la fusione tra i Nar
e la banda di Nistri.
Agli
inizi di novembre i giornali danno grande risalto alla mancata
cattura della Mambro e di Vale. La notte del 6 i due se la sarebbero
cavata ancora una volta, dopo un conflitto a fuoco tra la Pontina e
la Laurentina. I poliziotti la raccontano così: una civetta della
Digos incrocia alle 4 un’auto sospetta, rubata il giorno prima al
Policlinico. Le tre persone a bordo si accorgono di essere seguite e
aprono il fuoco. Gli agenti rispondono con una raffica di mitra che
buca due ruote. Dei venti proiettili che attraversano l’abitacolo,
fortunosamente solo uno colpisce alla spalla Vale, che è al fianco
del conducente. I tre ripiegano nella boscaglia, aprendosi la strada
sparando e lasciano nell’auto una macchia di sangue. A togliere i
dubbi, tre giorni dopo, un volantino: la sparatoria di Mostacciano è
una trappola, per far uscire allo scoperto parenti e amici di Vale e
dare qualche traccia per la sua cattura. È il secondo anello di una
lunga catena di lavori sporchi confezionati ai suoi danni. Il
pomeriggio del 4 marzo
1982,
secondo un rapporto dei carabinieri che pedinano alcuni
avanguardisti, Vale lo avrebbe trascorso nei locali della società di
Palladino, uomo di Delle Chiaie, l’Odal I. Tilgher smentirà
sdegnosamente (“Vale,
come si accerterà, era in quel momento a centinaia di chilometri di
distanza”). Lascia perplessi un particolare: l’estensore del rapporto sostiene
di aver riconosciuto Vale dalla foto pubblicata dopo la sparatoria di
piazza Irnerio del 5 marzo. È possibile che un sottufficiale che
indaga sulla strage di Bologna non avesse mai visto l’immagine di
un noto latitante ritenuto protagonista dell’operazione “terrore
sui
treni” (il depistaggio delle indagini sulla bomba alla stazione)?
Proprio il 5, durante il conflitto a fuoco all’esterno della banca,
Vale sorprende alle spalle l’agente che spara sui rapinatori: lo
colpisce e consente al commando di sganciarsi. Si allontana a piedi,
spara una mitragliata su due poliziotti che lo scambiano per un
collega (succederà ancora il mese dopo: una vecchina vedendolo con
il mitra in mano a pochi passi da una banca lo avverte che è in
corso una rapina, lui la rassicura: aspetta i colleghi per
bloccarli…), si appropria di un’auto abbandonata da un conducente
terrorizzato, poi a una pompa di benzina si fa dare le chiavi di una
Alfa Romeo spacciandosi ancora per poliziotto. Quando più tardi il
medico lo avverte che solo un intervento chirurgico può salvare
Francesca, non ha dubbi e organizza il trasporto in ospedale. Resta
fino all’ultimo di guardia per impedirne l’esecuzione sommaria. (...)
Forti
dubbi su quello che è successo quella mattina a via Decio Mure li
esprime il giornalista inglese Philip Willan, che da vent’anni
lavora in Italia: “L’operazione
‘terrore
sui treni’
fu seguita da un epilogo sinistro che vide ancora una volta
l’eliminazione di testimoni scomodi”.
Anche
il free lance investigativo inglese sottolinea il nesso tra
depistaggi, voci sull’arresto a marzo e guanto di paraffina
negativo e ne trae le conclusioni:
Un eventuale arresto di Vale avrebbe certamente costituito un problema per il Sismi, dal momento che il terrorista avrebbe potuto facilmente smontare la versione dei servizi segreti sulla valigia e quindi sull’attentato di Bologna.
Non
si spiega altrimenti l’accanimento contro un buon gregario.
Per
l’ex-Nar
Tomaselli,
Vale è una persona in gamba, abbastanza decisa, un buon quadro militare non altrettanto sul piano politico. Avvertiva l’esigenza di essere comandato, è un fatto naturale. Se uno incontra qualcuno a cui riconosce l’autorità finisce con l’aggregarsi. Cosi c’erano ragazzi che avevano in lui il punto di riferimento. Sulla sua morte possono essere scattate due logiche, o quella del “questi ci hanno ammazzati, rispondiamo colpo su colpo” oppure quella di esasperare i superstiti per beccarli più facilmente. Sapevano che Vale non era un “pischello”. Non ha mai pensato di sentirsi un capo, era uno discreto, di poche parole, non voleva atteggiarsi a quel che non era, non amava mettersi in mostra, era un po’ prigioniero di se stesso. Il suo carattere è così, si rende conto delle cose in cui si trova invischiato ma non ha la forza per tirarsene fuori. È il caso di Arnesano ma anche di Mangiameli. Ha lo scrupolo morale di farlo avvertire che Valerio lo cerca per farlo fuori e poi non solo lo va a prelevare sapendo che vogliono ammazzarlo ma non rifiuta la pistola per dare il colpo di grazia.
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