28 maggio 1980: i Nar uccidono "Serpico" nel cortile del Giulio Cesare
Negli ultimi giorni di maggio 1980 è rientrata a Roma la banda Fioravanti, per realizzare l’attacco che segna lo strappo con Terza posizione. L’azione progettata - disarmare gli agenti di servizio al "Giulio Cesare" e sottoporli a un processo popolare nel cortile del liceo cantato da Venditti - punta a ridicolizzare la militarizzazione del territorio. In realtà il bersaglio politico è proprio Tp. Agendo nel quartiere Trieste, territorio controllato dal gruppo, e davanti alla scuola che ne è il santuario attivistico, Valerio lancia rozzamente due segnali precisi: da un lato afferma clamorosamente il suo primato accattivandosi le simpatie della base, dall’altro vuole costringere a una scelta lacerante Fiore e Adinolfi, tenuti all’oscuro dell’agguato: o avallare l’attacco, clandestinizzando Tp, o sconfessare i "pischelli" e aprire la strada alla scissione dei “combattenti”.
Valerio opera con il consueto cinismo, portando due ragazzini (Vale ha coinvolto Ciavardini) a fare un conflitto a fuoco nel liceo dove decine di volte hanno picchettato e distribuito volantini e usando come base la casa della zia del capozona, Dario Mariani. Ma i leader di Tp lo spiazzano scegliendo una terza posizione. Non prendono le distanze, anzi talvolta strizzano l’occhio tentando di mettere il cappello sull’attentato, quando vogliono accreditarsi un’immagine “guerrigliera”. Questa ambiguità la pagheranno cara. I fatti sconfessano le intenzioni dichiarate: subito dopo l’impatto Francesca e Valerio da una parte, Vale dall’altra cominciano a sparare. Il primo ad aprire il fuoco è quest’ultimo a cui è toccato il disarmo dell’agente isolato nel cortile: Giorgio è nervoso, tira fuori l’arma troppo presto e suscita la reazione della vittima, il brigadiere Franco Evangelista, noto come "Serpico", una presenza costante nella scuola, così Valerio e Francesca sono costretti a sparare sui due poliziotti a bordo della “civetta”. Il “processo popolare” si trasforma così in un’esecuzione sommaria con un morto e tre feriti, perché Ciavardini è colpito di rimbalzo quando si piega nell’auto per recuperare le armi. A curare la copertura è Cavallini, al primo agguato: un fallimento personale. Per un equivoco col gruppo di fuoco - nel cortile non c’è la “volante” prevista - pensa a un rinvio ma il commando entra lo stesso in azione. Parcheggia l’auto, munita di sirena, al primo angolo della traversa che dà sulla piazza della scuola e si avvia a piedi per vedere perché i quattro non arrivano. Sente gli spari e vede Vale e Ciavardini sanguinante venirgli incontro: i due gli fanno cenno di non avere bisogno di aiuto, anche se a lui toccherebbe garantire la ritirata del gruppo di fuoco. Ciavardini spiegherà poi che non ha chiesto soccorso perchè gli hanno insegnato a non dare fastidio ai “grandi”. Sulla via di fuga i due cadono dal vespone e si allontanano rapinando un taxi. Nei giorni seguenti il "pischello" mostra in giro le ferite come medaglie conquistate sul campo. Valerio si trova a disposizione un altro disperato costretto alla clandestinità.
Valerio opera con il consueto cinismo, portando due ragazzini (Vale ha coinvolto Ciavardini) a fare un conflitto a fuoco nel liceo dove decine di volte hanno picchettato e distribuito volantini e usando come base la casa della zia del capozona, Dario Mariani. Ma i leader di Tp lo spiazzano scegliendo una terza posizione. Non prendono le distanze, anzi talvolta strizzano l’occhio tentando di mettere il cappello sull’attentato, quando vogliono accreditarsi un’immagine “guerrigliera”. Questa ambiguità la pagheranno cara. I fatti sconfessano le intenzioni dichiarate: subito dopo l’impatto Francesca e Valerio da una parte, Vale dall’altra cominciano a sparare. Il primo ad aprire il fuoco è quest’ultimo a cui è toccato il disarmo dell’agente isolato nel cortile: Giorgio è nervoso, tira fuori l’arma troppo presto e suscita la reazione della vittima, il brigadiere Franco Evangelista, noto come "Serpico", una presenza costante nella scuola, così Valerio e Francesca sono costretti a sparare sui due poliziotti a bordo della “civetta”. Il “processo popolare” si trasforma così in un’esecuzione sommaria con un morto e tre feriti, perché Ciavardini è colpito di rimbalzo quando si piega nell’auto per recuperare le armi. A curare la copertura è Cavallini, al primo agguato: un fallimento personale. Per un equivoco col gruppo di fuoco - nel cortile non c’è la “volante” prevista - pensa a un rinvio ma il commando entra lo stesso in azione. Parcheggia l’auto, munita di sirena, al primo angolo della traversa che dà sulla piazza della scuola e si avvia a piedi per vedere perché i quattro non arrivano. Sente gli spari e vede Vale e Ciavardini sanguinante venirgli incontro: i due gli fanno cenno di non avere bisogno di aiuto, anche se a lui toccherebbe garantire la ritirata del gruppo di fuoco. Ciavardini spiegherà poi che non ha chiesto soccorso perchè gli hanno insegnato a non dare fastidio ai “grandi”. Sulla via di fuga i due cadono dal vespone e si allontanano rapinando un taxi. Nei giorni seguenti il "pischello" mostra in giro le ferite come medaglie conquistate sul campo. Valerio si trova a disposizione un altro disperato costretto alla clandestinità.
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