12 aprile 1973: il giovedì nero del Msi milanese
Sono giorni
particolarmente frenetici, questi dell’aprile del ’73. Il Msi
milanese, dopo un anno di silenzio, cerca di uscire dall’angolo. Le
adesioni giovanili del ’70 e del ’71 sono lontani ricordi. La
concorrenza di San Babila e di Avanguardia Nazionale si fa sentire. E
la mancanza di iniziative e di parole d’ordine allontanano sempre
di più i giovani militanti dalla sede giovanile di via Burlamacchi e
dalla federazione di via Mancini. Così il federale Servello, insieme
ai dirigenti giovanili Cerullo e La Russa, pensa a una grande
manifestazione da tenere in città. La data prevista è il 12 aprile.
Ufficialmente si tratta di una manifestazione «contro la violenza
rossa». Sullo stesso tema il Msi ha già sfilato il 9 marzo a Reggio
Calabria e forti di questo precedente i missini milanesi pensano di
coinvolgere Ciccio Franco, il simbolo delle «radiose» giornate di
Reggio del 1970. La star del neofascismo barricadero di quegli anni.
(…) Questo il clima nel Msi e a San Babila. Ma qualche giorno prima
è avvenuto un episodio che avrà ripercussioni decisive sul giovedì
nero. Prima di partecipare all’operazione «bombe sui treni», Azzi
ha lasciato al giovane «Cucciolo» Petrini uno stock di bombe a mano
da esercitazione Srcm, rubate in un deposito militare. Cucciolo ha un
braccio ingessato, ma non vuole rinunciare al corteo con Ciccio
Franco. Siamo a due giorni dal 12 aprile.
Da la “Fiamma e la celtica” estrapoliamo la lunga testimonianza di Maurizio Murelli:
Da la “Fiamma e la celtica” estrapoliamo la lunga testimonianza di Maurizio Murelli:
APPUNTAMENTO IN PIAZZA - Quel pomeriggio a San
Babila vedo che Nando Caggiano e Ferdinando Alberti parlottano
insieme a Cucciolo; mi avvicino e si interrompono. Fanno i
misteriosi. Poi mi chiedono: sai dov’è via Salvanesco? Certo,
rispondo, è vicino casa mia. Mi chiedono di portarceli con la mia
macchina, gli dico: ok. Durante il tragitto mi spiegano che stiamo
andando in un posto dove Cucciolo ha nascosto delle cose. Arrivati in
via Salvanesco, Cucciolo si avvicina a un traliccio, insieme ad
Alberti e Caggiano. Io resto in macchina. Lo vedo scavare e tirare
fuori delle buste con tre Srcm. Le mostra a Caggiano che, l’ho
saputo dopo, cerca bombe per fare un’azione che non ha niente a che
fare con la politica, e Nando sbotta: «Non sono queste quelle che mi
servono; sono da esercitazione, ho bisogno di quelle più potenti...»
Allora Cucciolo viene da me e dice: «Io ho anche il braccio
ingessato, non ci posso fare molto, ti possono servire?» Io le
prendo e le nascondo sotto il sedile dell’auto. E restano lì...
I giovani del Fronte
devono stare in piazza Tricolore, noi di San Babila, quelli della
Fenice e quelli di Avanguardia ai bastioni. Questa è la parola
d’ordine. Così prendo la macchina e arrivo nei pressi di porta
Venezia. Dico a quelli che stanno con me: lasciamo le pistole in
macchina e poi scendiamo. Non abbiamo, cioè, nessuna intenzione di
andare armati al corteo. Mentre sistemo la pistola sotto il sedile,
sento che c’è qualcosa. E allora ricordo il sacchetto di Srcm
poggiato lì nei giorni precedenti. Non avevo fatto il militare. Non
le conoscevo. Ma altri raccontavano che erano poco più di petardi e
che addirittura ci giocavano a bocce durante la leva. Del resto
contengono appena 40 grammi di tritolo. Mi dicevano che facevano solo
un gran botto e che servivano ad assordare l’avversario. Per me
sono solo dei grandi petardi. Quindi lasciamo le armi in macchina,
prendo il sacchetto ed esco. Mi apposto dietro un cespuglio per
vedere come sono fatte e come funzionano. In quel momento passa Loi e
mi dice: «Cazzo, hai delle Srcm... Io ho fatto il militare, le
conosco, dammene una». Rispondo: «Non sono mie, sono di Cucciolo
che non può usarle perché ha il braccio ingessato». Ma Cucciolo,
che è lì con me, dice: «Ma sì, dagliene una». Gliela consegno e
Loi scompare. Lo rivedrò solo dopo gli arresti. Gli scontri
cominciano quando la Celere arriva di corsa, accennando a una carica,
e il corteo si disperde. Confluiamo in piazza Tricolore. Lì veniamo
a sapere che la manifestazione è stata proibita. Un commissario con
il megafono grida: «Vi intimo di sciogliervi». Ricordo la tromba
della carica della polizia. Il loro assalto. Prendo la prima bomba e
gliela lancio contro. Colpisce un’edicola e fa un botto enorme. Non
me lo aspettavo un boato così forte... La polizia si ferma,
impaurita. Il reparto che abbiamo di fronte viene fatto ripiegare e
sostituito con un altro. Gli scontri degenerano. È guerriglia
urbana...
GLI ASSALTI - Tentiamo un assalto alla
Statale, assaltiamo la Casa dello Studente. E lì vedo comparire di
nuovo le pistole... Ma anche in questo caso i nostri non tirano ad
ammazzare... [La prima linea dei manifestanti è composta da
sanbabilini e avanguardisti. Una cinquantina in tutto].
Sbuchiamo in via Bellotti, vedo che da una parte ci sono dei
manifestanti che corrono e stanno andando in bocca alla Celere che li
aspetta all’angolo della strada. Allora prendo la seconda bomba e
la lancio. Ma i poliziotti sono troppo lontani. Così cade a una
trentina di metri da loro e gli arriva tra le gambe, rotolando, e
nemmeno esplode. Ci allontaniamo. Dopo meno di dieci minuti sento un
nuovo botto proveniente sempre da via Bellotti. Capisco che Loi ha
lanciato la terza bomba, quella che uccide l’agente Marino.
Lanciamo veramente di tutto contro la Celere. Loro hanno le mani
alzate con gli scudi a proteggerli. Evidentemente la bomba è
arrivata a parabola proprio sul petto del povero agente Marino che
forse per una reazione istintiva l’ha stretta a sé, e
probabilmente ha fatto contatto con le munizioni che aveva nel
tascapane. Ripeto: non erano bombe che dovevano uccidere. Non
dovevano uccidere... Al momento non avevamo capito che c’era
scappato il morto. L’ho saputo un’ora dopo a San Babila. Mi
dicono: è morto un agente in piazza Tricolore. Cazzo, penso, l’ho
ucciso con la prima bomba... Dopo dieci minuti arriva uno, che per
vantarsi dice ai presenti: «Avete sentito che botto eh? Avete visto
che bomba che ho lanciato eh?» Ovviamente non c’entrava niente...
Radice assiste al lancio della bomba di Loi. Invece io vengo visto da
un altro militante del Fronte, Sergio Frittoli, che probabilmente lo
spiffera ai suoi capi, a cominciare da Radice...
Mi prendono e mi portano
in questura, sono convinto di aver ucciso io l’agente. Mi
interrogano, mi trovo in uno stato di incoscienza e leggerezza
pazzesche. A un certo punto parlano del morto di via Bellotti, allora
capisco che non sono stato io, ma Loi. Nego tutto... [Ma nel
frattempo ha intuito che a venderlo è stato il camerata Radice]
Proprio quel Radice al quale portavo i soldi a Como quando era
latitante perché era ricercato per le bombe delle Sam...
LA FUGA - Dopo avermi interrogato
la sera del 12, mi rilasciano. Non hanno nessun elemento contro di
me, a parte la soffiata di Radice. Ma capisco che è meglio cambiare
aria. Il giorno dopo lascio Milano e raggiungo Firenze. Leggo i
giornali e scopro che sono ricercato per strage, anche se la bomba
l’ha tirata Loi... Girovago alla stazione, poi vedo movimenti
strani. Ho saputo dopo che avevano intercettato il telefono di quello
che mi aveva portato a Firenze e avevano saputo che stavo qui e che
dovevo incontrare una persona nei pressi della stazione. Vedo agenti
in borghese e in divisa che circondano la stazione. Mi cercano, ma
ancora non hanno capito bene dove sono. Temo che vogliano uccidermi
per vendicarsi, del resto la tensione è altissima, e Marino è il
primo poliziotto ucciso in scontri politici dopo Annarumma... Intanto
fuori della stazione c’è una manifestazione di compagni con la mia
gigantografia... Capisco che ormai non ho scampo. Allora vado verso i
treni. Loro hanno le foto dei miei documenti, che sono di qualche
anno prima. Ora ho i capelli più lunghi, indosso un giubbotto di
jeans. Insomma, cerco di mimetizzarmi. Ma li sento sempre più
vicini. Così decido di giocare d’anticipo ed evitare che qualcuno
di loro mi possa giustiziare. Vedo due agenti della Polfer, estraggo
la pistola, la prendo per la canna e grido: «Sono Maurizio Murelli,
sono ricercato per i fatti di Milano, sono disarmato». Mi prendono e
mi portano a Milano, dove in carcere i secondini tentano di pestarmi,
mentre devo dire che la polizia si comporta correttamente. Mi
interroga il giudice Viola, il famoso giudice con la pistola. È la
mattina del 17 aprile...
Viola entra nella stanza,
mi sbatte sul tavolo il giornale con la notizia del rogo di
Primavalle e mi urla: «Questa è colpa sua!» A significare che è
una specie di vendetta o reazione alla morte dell’agente Marino...
L'OBIETTIVO E' IL MSI -Con quella morte i
fascisti, da amici delle forze dell’ordine, diventano nemici quanto
e più dei compagni. Per il Msi fu davvero un colpo terribile perché
temette di perdere l’ultimo ambiente di riferimento che gli era
rimasto, quello delle forze di polizia, e i suoi militanti e
dirigenti ebbero davvero paura di essere messi fuori legge. Ma per
dimostrare quanto sia stata non voluta da parte nostra quella morte e
quanto sia stata casuale, posso dire questo: dopo i funerali
dell’agente Annarumma il Msi si schierò in difesa della polizia e
degli agenti. Ci fu il famoso tentativo di pestaggio di Capanna da
parte di giovani di destra, che per vendicare l’agente ucciso
attaccarono diverse sedi di sinistra. Ebbene il settimanale Il
Borghese qualche giorno dopo pubblicò due foto contrapposte. In una
si vedevano i compagni che sfasciavano tutto, nell’altra un giovane
dalla faccia pulita, fermato dopo aver sfilato in difesa dell’agente
ucciso. Quel giovane era mio fratello...
Gli interrogatori dei
magistrati sono surreali. Perché il loro obiettivo è quello di
incastrare il Msi. Sono convinti che dietro di noi ci siano dei
burattinai o dei mandanti politici. Io non accuso nessuno, dico che
sugli incidenti, sulle Srcm, sulle armi il Msi non c’entra niente,
perché effettivamente è così. Invece Loi, che il partito
inizialmente cerca di proteggere perché è il figlio del pugile,
lancia accuse molto pesanti contro i vertici missini, prendendosela
con La Russa, Servello eccetera. Probabilmente pensa che,
coinvolgendo il maggior numero di persone, magari a livelli alti, la
sua posizione si alleggerisca...
LO SCONTRO CON LOI - Dopo il nostro arresto,
io e Loi trascorremmo un lunghissimo periodo di isolamento nelle
celle di San Vittore. Più o meno quaranta giorni. Poi io fui
trasferito al carcere di Vigevano, dove rimasi a lungo, mentre Loi fu
portato in una sezione dove c’erano altri detenuti di destra:
Manfredi, Petrini, Mammarosa, Ferorelli e anche Franco Freda,
detenuto per piazza Fontana. Loi disse in giro che io avevo parlato,
che ero stato io a fare i nomi e a tirarlo in ballo. Io non c’ero e
non potevo difendermi. Così, quando successivamente fui riportato a
San Vittore, mi misero in isolamento perché i detenuti di destra non
mi volevano con loro. Poi credo che Cesare Ferri, nel frattempo
arrestato a sua volta, andò dal direttore del carcere sollevandolo
dal dubbio, probabilmente inculcatogli da Loi, che mi potesse
capitare qualcosa perché infame. Così salii al braccio. Una delle
prime persone che incrociai fu Freda, che dava del lei a tutti e che,
pensando che fossi un delatore, mi affrontò così: «Lei nel mio
Stato sarebbe stato fucilato...» L’aria era pesante, ma poi si
allentò perché io non attaccai Loi e lui, sentendosi a sua volta
rassicurato, non attaccò me. Lasciai che tutti pensassero ciò che
volevano fino a quando furono depositati gli atti giudiziari. Allora
mi feci portare le fotocopie di tutti i verbali e andai nella cella
di Freda, con il quale nel frattempo avevo cominciato a stabilire un
buon rapporto e dal quale mi stavo facendo «erudire». Senza dire
una parola gli lasciai le copie dei verbali degli interrogatori sul
tavolino. Alla fine si scusò con me, aggiungendo che scusarsi per
lui era veramente una cosa molto rara...
mio padre all'epoca era a Roma ma benché si ricordi perfettamente del Rogo di Primavalle (16-4-1973) nulla rammenta del Giovedì Nero di Milano e solo anni dopo grazie alle mie sollecitazioni ha ricordato che a Roma ne lesse dai giornali
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