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7 gennaio 1978/8 Acca Larentia: ricordiamo la strage con Maurizio Lupini

Ieri si moriva di politica, oggi si rischia di morire di non politica. A 40 anni dalla strage di Acca Larentia, il ricordo fa ancora notizia. 
Il reportage fotografico di sabato 7 gennaio 2017 (clicca qui).

Ad un giorno dal quarantennale dei tragici fatti di Acca Larentia, ricordiamo quanto accaduto riproponendo l'intervista fatta lo scorso anno a Maurizio Lupini, il militante del Fronte della Gioventù scampato miracolosamente all'agguato che costò la vita ad altri tre ragazzi, anch'essi giovani militanti missini: Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, e Stefano Recchioni.

di Antonio Cacace.
ROMA 07.01.2017 – Vi raccontiamo questa storia perché fa parte di uno spaccato importante del nostro Paese. Il periodo è quello degli anni di piombo, quindi anni 70 e inizio anni 80, dove l’estremizzazione della dialettica politica si trasformò in alcuni casi in violenze di piazza, lotta armata e anche in atti di terrorismo. Un’epoca fatta di scarse luci e tante ombre, talmente oscure e impenetrabili che sono riuscite a nascondere fino al oggi misteri e verità inconfessate.
La nostra storia, tragica storia, si consuma a Roma, nel quartiere Tuscolano, ben 39 anni fa. Erano le 18.20 di sabato 7 gennaio del 1978 quando cinque ragazzi, appena usciti dalla sede del Movimento Sociale Italiano di via Acca Larentia, furono investiti da una raffica di colpi sparati da un commando di estrema sinistra composto da cinque o sei persone. Uno di loro, Franco Bigonzetti, ventenne iscritto al primo anno di Medicina e chirurgia, rimase ucciso sul colpo. Vincenzo Segneri, seppur ferito ad un braccio, riuscì a rientrare all’interno della sede del partito dotata di porta blindata assieme agli altri due militanti: Maurizio Lupini – responsabile dei comitati di quartiere – e lo studente Giuseppe D’Audino, rimasti illesi e sfuggiti all’agguato di stampo terroristico.

L’ultimo del gruppo, Francesco Ciavatta liceale diciottenne, pur essendo ferito tentò di fuggire attraversando la scalinata situata a lato dell’ingresso della sezione, inseguito dagli aggressori fu colpito nuovamente alla schiena e morì in ambulanza durante il trasporto in ospedale.
Nelle ore successive, col diffondersi della notizia dell’agguato, si raduna una folla (perlopiù militanti missini) sul luogo della tragedia. Ad accorrere anche Gianfranco Fini, allora segretario nazionale del Fronte della Gioventù, il movimento giovanile del Movimento Sociale Italiano.
Ma non finisce qui. Poco più tardi un giornalista, forse distrattamente, gettò un mozzicone di sigaretta nel sangue rappreso sul terreno di una delle vittime della sparatoria, nacquero degli scontri che provocarono l’intervento delle forze dell’ordine con cariche e lancio di lacrimogeni. Nel corso di una successiva sparatoria un proiettile ad altezza uomo centrò in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni, militante della sezione di Colle Oppio, che morì due giorni dopo. Pochi mesi più tardi il padre di Ciavatta si suicidò per la disperazione bevendo una bottiglia di acido muriatico.
La “strage di Acca Larentia” segna un punto di non ritorno nella storia della destra radicale, la decisione del Msi di non ingaggiare una battaglia politica e giudiziaria con l’Arma considerata responsabile di quest’ultima morte, spingerà, secondo la testimonianza di Francesca Mambro, la pasionaria dei Nar, diversi giovani a impugnare le armi non solo per difendersi dalla guerriglia rossa ma anche per attaccare apparati dello Stato.
A 39 anni di distanza da quel maledetto giorno, dove – teniamo a ricordarlo – ancora oggi nessun colpevole ha pagato alcun conto con la giustizia, abbiamo il piacere di intervistare in esclusiva Maurizio Lupini, uno dei tre ragazzi che riuscì all’epoca a scampare miracolosamente alla strage. Quello che emerge dalle parole di Maurizio è l’amarezza nel vedere una vasta comunità devastata da 1000 divisioni e contrapposizioni, incapace di unirsi anche nel nome della più grande tragedia vissuta. Non tutto però sembra ancora perduto perchè, come vedrete, finchè c’è vita c’è speranza…
L’INTERVISTA.
D – Maurizio è passata una vita da quel giorno, quasi quarant’anni, come vivi oggi questa ricorrenza?
R – E’ vero, guardando il calendario ci si rende conto che è passata una vita intera da allora. Il ricordo di me a 19 anni, della mia incoscienza di allora sono sempre vividi… Quel drammatico episodio ha segnato tutta la mia vita, certe immagini ogni 7 di gennaio riemergono dai meandri dei ricordi dolorosi facendo sanguinare il cuore come allora…. Impossibile non ricordare ed emozionarsi.
D – Erano anni molto difficili per chi decideva di militare a destra della barricata, soprattutto a Roma. L’odio era palpabile e la caccia al fascista era al quanto ‘di moda’, come vi sentivate ad essere le prede da cacciare?
R – Erano anni difficili allora, eravamo degli ingenui sognatori, volevamo cambiare il mondo per far emergere una società più giusta. Avevamo superato il problema della contrapposizione ideologica, volevamo confrontarci con tutti, ma una regia occulta impedì che ciò avvenisse. Chi ha vissuto un ideale come me continua ad essere un sognatore ed un idealista e gli idealisti, si sà, non sono destinati a far carriera politica ma rappresentano persone pronte a rappresentare il nuovo. Forse posso asserire, senza peccare di poca umiltà, che tra noi ribelli c’è l’uomo nuovo.
D – Hai perso amici fraterni quel giorno in un modo traumatico che sicuramente lascia il segno, ragazzi con i quali condividevi ideali, militanza, passioni, com’è stato il dopo? Puoi spiegarci cose è successo e come hai vissuto nei giorni, nei mesi e negli anni successivi. E se possibile, ci si riprende da un’esperienza così forte?
R – Vedi caro Antonio, essere ancora sulla breccia dopo un’esperienza del genere non è da tutti. Ho perso fratelli in quel drammatico 7 gennaio 1978, uno in particolare, Francesco Ciavatta. Eppure non ho avuto mai istinti di vendetta, ho vissuto sempre con una pace interiore ma non per questo mi rassegnerò mai nel conoscere la verità. Proseguo nella mia vita con lo spirito da idealista e sognatore, penso di poter dare un contributo.
D – Dunque dopo quell’episodio non hai mai provato odio, avuto voglia di vendetta?
R – Come tra le righe ti dicevo non ho un istinto di vendetta, ma ho voglia assoluta di conoscere la verità, in un senso di giustizia per coloro che sono caduti.
D – Pensi che si arriverà mai alla verità su questa strage? Quindi la riapertura del processo con dei nomi e dei cognomi sul banco degli imputati?
R – Alla verità siamo vicini, sapere comunque che io e i miei compagni di ‘sventura’ siamo stati vittime di oscuri disegni di potere mi fa rabbia. Ho sempre sostenuto la tesi che l’obiettivo da colpire non eravamo noi, eravamo semplicemente il presupposto da usare come diversivo militare per preparare il sequestro Moro. Scoprire chi furono i mandanti e gli esecutori mi farebbe provare disprezzo e pietà allo stesso tempo, perchè anche loro sono state vittime della circostanza.
D – Cosa si prova sapendo che la mano armata di allora contro di te ed i tuoi amici oggi vive una vita tranquilla, al di sopra di ogni sospetto e magari ha fatto anche carriera?
R – A distanza di 39 anni ho vivissimo il ricordo di quel momento, non ti nascondo la forte emozione che provo ogni volta al pensiero di quel tragico evento che mi provoca dolore e, senza vergognarmi, lacrime. Un episodio che mi ha gettato d’improvviso nella freddezza del mondo senza darmi la possibilità di vivere la mia spensierata gioventù.
D – Questa ricorrenza, così sentita per coloro che l’hanno vissuta e per chi “crede”, si celebra da ben trentanove anni: qual è l’insegnamento da trarre? Maurizio Lupini personalmente che messaggio si sente di dare ai giovani che oggi scelgono l’impegno politico e la militanza attiva?
R – Oggi, nel terzo millennio, superate le barriere dell’ideologismo, penso di rileggere la recente storia raccontando nel bene e nel male alle nuove generazioni che il mondo si può cambiare, magari anche confrontandosi duramente. Bisogna sempre credere nei valori veri, che non sono certo rappresentati dal consumismo e dal capitalismo, ma quelli che ci vengono trasmessi dai nostri predecessori, i quali ci consegnano una eredità importante costituita dalle nostre radici, quelle radici profonde che non gelano mai e che devono essere tramandate per non farci dimenticare chi siamo e da dove veniamo. Solo coltivando e tramandando questa importante eredità possiamo cambiare le cose e renderle migliori.
D – Andrai alla commemorazione di Acca Larentia?
R – Come per lo scorso anno non andrò davanti a quella sede, non riesco a sopportare il fatto che una comunità ricordi in modo dissacratorio quei momenti. Mi arrogo il diritto di farlo in futuro con la voglia di riunire quella comunità tristemente divisa. Per il 40° anniversario vorrei promuovere una grande manifestazione in ricordo di questo tragico evento, mi metto a disposizione fin da subito.
D – Come sarà questo tuo 7 gennaio?
R – Anche quest’anno, come lo scorso, la comunità di allora ha deciso di fare una messa in ricordo dell’eccidio presso la Chiesa dei 7 Martiri Fondatori a Piazza Salerno alle ore 18. Con molta probabilità sarò là.
D – Grazie Maurizio, è stato un piacere.
R – Di nulla Antonio, il piacere è reciproco.

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