21 dicembre 1990: Freda fonda il Fronte Nazionale
Il dovere di noi Europei, discendenti dalle genti arie d’occidente, è quello di destare le nostre coscienze, attraverso una sorta di ‘educazione militare dell’anima’: ricordare quella grandezza e divinità che costituisce il retaggio dei nostri avi indoeuropei – e che verrebbe annientata nella convivenza con una massa mondiale magmatica. Ricordare e insorgere. Lottare – senza tumulti, né violenze da noi provocati, ma senza transigere col dovere di contrastare la prepotenza degli allogeni – per la salvaguardia delle nostre comunità nazionali e razziali in Europa. Ricordare. Evocare e richiamare alla vita l’antenato ario che è in noi. (...) Difendere con generosità di cuore e perseveranza di opere quella terra e quel sangue che incarnano e manifestano, nell’ordine fisico e biologico, quelle potenze naturanti, metafisiche e metabiologiche, che sono gli dei del Sangue e della Terra.
Dopo 13 anni di detenzione Franco “Giorgio” Freda risponde a questa chiamata tornando sulla scena politica. Il leader più radicale del tradizionalismo rivoluzionario, negli anni tumultuosi dell’insorgenza proletaria e giovanile, aveva individuato nel «vietcong, soldato politico povero ma potente» l’emblema dei popoli in lotta contro il dominio dei due Imperi. Ora l’allarme per l’“invasione allogena”– che sale dalle viscere del Paese profondo ed erutta nelle prime insorgenze leghiste – lo dissuade dalla sua vocazione di “allevatore di anime”.
Per anni si era affannato a spiegare (memore dell’esito disastroso del tentativo di “cavalcare la tigre” per “disintegrare il sistema”) che non intendeva più fare politica, anzi (esagerando) aveva ripetutamente negato di averla mai fatta. «Il mio– si era schermito – è solo allevamento pollitico».
Per anni si era affannato a spiegare (memore dell’esito disastroso del tentativo di “cavalcare la tigre” per “disintegrare il sistema”) che non intendeva più fare politica, anzi (esagerando) aveva ripetutamente negato di averla mai fatta. «Il mio– si era schermito – è solo allevamento pollitico».
Una lenta pedagogia rivoluzionaria per formare una generazione di “uomini differenziati” destinati a portare il testimone oltre il crepuscolo del Kali-yuga. La capacità di anticipazione è potente: con la caduta del muro di Berlino, infatti, l’asse del conflitto internazionale ruota di 180°. Alla coppia bipolare Est-Ovest subentrerà lo scontro frontale tra Nord e Sud. Le orde albanesi che assaltano le coste pugliesi sono l’avanguardia di un immane esercito. L’opportunità che Freda pensa di cogliere per un rilancio ri-ordinato del movimento è la conquista della segreteria del MSI da parte di Pino Rauti mentre si consuma l’eutanasia del sistema sovietico: vent’anni dopo la drammatica scissione ordinovista è possibile ricomporre l’unità dell’area nazional-rivoluzionaria.
La sede dell’incontro di decine di quadri convocati per definire le modalità del rientro (quarantatré, racconteranno poi i bene informati, mentre molti altri, non invitati ma interessati a partecipare, stazionano fuori dal portone) ha un alto valore simbolico: la casa ai Parioli di chi aveva deciso di non consegnare alle bacheche missine la bandiera rossonera con l’ascia bipenne, Clemente Graziani.
Un’ospitalità offerta dal figlio Rainaldo, nonostante l’imbarazzo di qualche esclusione ingenerosa. È scelto anche l’omaggio per il vecchio leader evoliano: un’urna funebre etrusca, simbolo della tradizione italica. Il tentativo fallisce per la difficoltà di stabilire un canale di comunicazione con Rauti. Ragioni tutto sommato banali, spiegherà l’invitato Maurizio Murelli, che però non aveva partecipato, sentendosi impegnato in diverso progetto politico. E così alla fine, Freda decide di riprendere a giocare in proprio. Solo dopo la liquidazione giudiziaria della nuova esperienza organizzativa si deciderà a rendere noto l’esperimento fallito, scrivendone in Appendice della quarta edizione della "Disintegrazione del sistema".
Un’ospitalità offerta dal figlio Rainaldo, nonostante l’imbarazzo di qualche esclusione ingenerosa. È scelto anche l’omaggio per il vecchio leader evoliano: un’urna funebre etrusca, simbolo della tradizione italica. Il tentativo fallisce per la difficoltà di stabilire un canale di comunicazione con Rauti. Ragioni tutto sommato banali, spiegherà l’invitato Maurizio Murelli, che però non aveva partecipato, sentendosi impegnato in diverso progetto politico. E così alla fine, Freda decide di riprendere a giocare in proprio. Solo dopo la liquidazione giudiziaria della nuova esperienza organizzativa si deciderà a rendere noto l’esperimento fallito, scrivendone in Appendice della quarta edizione della "Disintegrazione del sistema".
Il FRONTE NAZIONALE, «sodalizio politico che intende custodire i lineamenti essenziali che formano lo Stato nazione», è fondato nel Solstizio d’inverno del 1990, con sedi a Milano e Verona e presenze a Torino, Varese, Brescia, Ferrara e Battipaglia. Le funzioni di «rappresentanza, guida e coordinamento» sono affidate a Freda per tre anni, con la carica di “reggente”.
Il programma è chiarissimo: la lotta senza tregua all’immigrazione extraeuropea, la bonifica e il risanamento della vita nazionale dai vari agenti di disfacimento, la segregazione progressiva dei veicoli di infezione sociale, la difesa inattenuata del lavoro e dell’occupazione, la restituzione ai membri della comunità nazionale di spazi di vita sociale.
Il programma è chiarissimo: la lotta senza tregua all’immigrazione extraeuropea, la bonifica e il risanamento della vita nazionale dai vari agenti di disfacimento, la segregazione progressiva dei veicoli di infezione sociale, la difesa inattenuata del lavoro e dell’occupazione, la restituzione ai membri della comunità nazionale di spazi di vita sociale.
Il blitz giudiziario scatta a Verona, appena due mesi dopo la retata contro i naziskin, verso i quali il “reggente”non ha mancato di manifestare la sua inattenuata severità. L’8 luglio 1993 il GIP ordina la custodia cautelare per i dirigenti nazionali Freda, Cesare Ferri, Aldo Gaiba – coordinatori per il Nordovest e il Nordest – e per i quadri veronesi Maurizio Trotti, Stefano Stupilli, Michele Wallner. Le indagini, condotte dal PM Guido Papalia, avevano preso l’avvio dalla celebrazione del Solstizio di inverno del 1992 a Bardolino, sul lago di Garda, conclusa con il rogo di una pira e il canto dei Carmina burana.
Alla cerimonia, più sacrale che politica, presieduta da Freda, Ferri e Trotti, avevano partecipato 50 militanti. In vista dei rischi rappresentati dalla legge Mancino, Freda aveva deciso di rifondare il FRONTE, sulla base di una rigorosa selezione «delle persone più convinte, determinate e motivate». Il reclutamento, già selettivo, prevedeva il filtro del responsabile di zona e il controllo per un anno del candidato. Nell’appartamento di Trotti è sequestrato l’organigramma: quattro coordinatori di zona, al gradino inferiore i responsabili locali (Trotti a Verona), un addetto amministrativo a Milano. La competenza territoriale è inutilmente contestata dai difensori. Il fatto che i militanti fossero solo 70, nonostante la felice intuizione sul potenziale di massa della xenofobia, dimostra tanto che Freda con la politica “non ci azzecca”, quanto l’aleatorietà del rapporto tra esercizio della giurisdizione e realtà.
Quando i 49 imputati arrivano alla sbarra, nell’autunno 1995, la ricetta apertamente razzista ha raccolto ampi consensi ed è parte significativa del programma della LEGA NORD: chiusura effettiva delle frontiere all’immigrazione extraeuropea, espulsione immediata degli stranieri clandestini, cancellazione graduale sino all’abrogazione totale della “legge Martelli” e il rimpatrio di tutti gli stranieri extraeuropei. Freda, come suo stile, si difende attaccando:
Quando i 49 imputati arrivano alla sbarra, nell’autunno 1995, la ricetta apertamente razzista ha raccolto ampi consensi ed è parte significativa del programma della LEGA NORD: chiusura effettiva delle frontiere all’immigrazione extraeuropea, espulsione immediata degli stranieri clandestini, cancellazione graduale sino all’abrogazione totale della “legge Martelli” e il rimpatrio di tutti gli stranieri extraeuropei. Freda, come suo stile, si difende attaccando:
Cinque anni fa facemmo un’azione di preveggenza sulla questione dell’immigrazione rispetto a proposte che oggi vengono fatte da molte forze politiche democratiche (…).Non sono intollerante, sono intransigente per quello che riguarda il destino delle future generazioni. Abbiamo il dovere di difendere le origini e l’essenza del nostro popolo italiano, di razza bianca e di cultura europea.
Al termine dell’iter processuale, nel maggio 1999, la Cassazione condanna 41 imputati per violazione della legge Mancino. Pene ridotte dal patteggiamento: 3 anni a Freda, 20 mesi a Ferri (è la prima volta dopo le assoluzioni in serie per ORDINE NERO, il MAR, l’omicidio di Ermanno Buzzi e la strage di Brescia), 16 mesi per Gaiba. E Freda ha dovuto scontare altri 7 mesi di carcere senza vedersi riconoscere i benefici generalmente concessi per i brevi residui di pena anche a pedofili e rapinatori di vecchiette.
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