21 dicembre 1969: nasce il Movimento Politico Ordine Nuovo
(umt) Nel dicembre 1969, alla vigilia della strage di piazza Fontana, la maggioranza dei dirigenti di Ordine Nuovo rientra nel Msi, accettando l’invito di Almirante, rieletto segretario a giugno, alla morte di Michelini. La scelta è motivata con esigenze difensive che impongono
una
revisione globale della sua posizione nel quadro delle contingenze
globali che indicano, senza alcun dubbio, una possibilità di rottura
degli equilibri, di estrema pericolosità [...] Ne consegue che è
necessità vitale per la vita futura (prossimo futuro) di Ordine
Nuovo inserirsi dalla finestra nel sistema dal quale eravamo usciti
dalla porta, per poter usufruire delle difese che il sistema offre
attraverso il parlamento, con tutte le possibili voci
propagandistiche che ne derivano [...] Necessità contingente dunque,
assoluta e drammatica.
Per
Rauti,
che matura bruscamente la decisione, condizionato dalla
radicalizzazione dello scontro sociale per le lotte operaie dell'autunno caldo e dalla consapevolezza del ruolo
giocato da molti suoi militanti
una
vera avanguardia rivoluzionaria non può stare a guardare, arroccata
sulle sue posizioni…La dispersione delle forze sarebbe un lusso
letale…E quale poteva essere lo strumento di quest’ inserimento
se non il Msi?
Un pezzo importante della base rifiuta il ripiegamento proposto e si
coagula intorno al carisma di uno dei capi dei Far, "Lello" Graziani che insieme ai dirigenti veronesi
Elio Massagrande e Roberto Besutti e al toscano Leone Mazzeo, indica
in una “lettera aperta ai
militanti” una “strategia globale nazional-rivoluzionaria”, per dare
vita a un
movimento
rivoluzionario al di fuori degli schemi triti e vincolanti dei
partiti, una formazione agile, adeguata alle esigenze della
situazione politica attuale e strutturata secondo criteri propri
delle minoranze rivoluzionarie.
I
“continuisti” rivelano la natura mistificatoria del disegno di
Rauti:
Camerati,
ora che l’operazione del rientro di alcuni dirigenti nazionali e
provinciali di Ordine Nuovo nel Msi è un fatto compiuto, noi che
abbiamo avversato questa iniziativa sentiamo la necessità e il
dovere di fare conoscere a tutti la nostra posizione e il nostro
programma di azione futura [...].
Passiamo all’esame della crisi che inopinatamente e improvvisamente
ha colpito i quadri dirigenti di Ordine Nuovo. [...] [Quelli
che sono rientrati vedono]
come ultima possibilità di azione e di salvezza la necessità di
porre Ordine Nuovo sotto l’ombrello protettivo del Msi [che]
garantirebbe una copertura efficace a tutta la nostra azione,
evitandoci di essere investiti per primi dalla “terapia”
preventiva già annunziata dal Ministero degli Interni [...]. Ci
siamo sentiti rispondere da Rauti [...] che non è affatto vero che
Ordine Nuovo verrebbe sciolto entrando nel Movimento sociale;
l’organizzazione manterrebbe la sua compattezza e la sua libertà
d’azione anche all’interno del partito, mentre all'esterno
rimarrebbero comunque aperti dei circoli di Ordine Nuovo per dare
ospitalità a chi non intenderebbe rientrare nel Msi [...]. La
proposta di Rauti era questa: formare immediatamente un esecutivo di
Ordine Nuovo composto, praticamente, da dirigenti che rientravano nel
Msi e da dirigenti che, invece, continuavano l’azione all’esterno.
Tutta la linea di Ordine Nuovo nel suo complesso – cioè sia quella
riguardante l’attività nel MSI, sia quella al di fuori del partito
– sarebbe stata programmata di comune accordo dai componenti del
nuovo esecutivo [...]. Questa proposta nella riunione del 21 novembre
scorso, presenti i dirigenti di Roma, Messina, Catanzaro, Mantova e
Bergamo era stata accettata e doveva essere comunicata a tutti i
responsabili dei centri di Ordine Nuovo in modo chiaro, anche se
ovviamente riservato.
Le
successive inchieste giudiziarie confermeranno che gli ordinovisti
rientrati manterranno una propria rete militante, un autonomo
circuito di solidarietà per i camerati in difficoltà mentre alcuni
quadri saranno protagonisti di alcuni dei più clamorosi episodi
della strategia della tensione (come la strage di Peteano). Graziani,
a differenza di Rauti, non coltiva illusioni sulle potenzialità
rivoluzionarie del Msi:
non
ha per fine politico l’ abbattimento del sistema, ma piuttosto il
suo mantenimento e rafforzamento attraverso il correttivo dello Stato
forte e autoritario; non è pertanto un movimento rivoluzionario, e
non può pretendere di inglobare On, l’unico movimento politico
fautore di strategia globale nazional-rivoluzionaria, strategia
espressa in un organico lavoro di rielaborazione delle idee e della
dottrina e della scelta dei mezzi di lotta indicati nelle tecniche
della guerra rivoluzionaria.
Il
Movimento politico Ordine Nuovo sceglie come data di
fondazione il 21 dicembre, solstizio di inverno, per riaffermare la propria
intransigente ispirazione evoliana e si dà una più complessa
organizzazione, in occasione del primo congresso nazionale, tenuto a
Lucca nell’ottobre 1970. Il rapporto di polizia che dà il via
all’inchiesta giudiziaria per “ricostituzione del partito
fascista” attribuisce una quarantina di episodi di violenza, una
cifra irrisoria per quegli anni feroci, ma enfatizza le potenzialità
eversive del movimento:
Ordine
Nuovo risultava già caratterizzato come un movimento
semiclandestino, fortemente gerarchizzato, con una direzione politica
centralizzata, orientato a muoversi in gruppi di pochissime persone
che dovevano essere in grado di volta in volta di mobilitare un’area
di simpatizzanti, ispirato a una concezione elitaria e mitica dello
Stato, antidemocratica e antiborghese, in assoluta contrapposizione
con la democrazia parlamentare e l’organizzazione del consenso
attraverso i partiti, ma almeno in parte non antistituzionale. Il
movimento è infatti caratterizzato da una “concezione
antidemocratica, antisocialista, aristocratica ed eroica della vita”.
Il presidente della II Commissione Moro, Pellegrino evidenzia la forzatura compiuta:
Gli
elementi che col tempo sono emersi consentono oggi di dire che già
all’epoca erano stati consumati fatti delittuosi di maggiore
gravità e relativi a ipotesi associative di diverso rilievo, che
solo molto tempo dopo sarebbe stato possibile ricondurre nell’ambito
dell'organizzazione.
Come
infatti ha raccontato Taviani la sua determinazione a
sciogliere il Mpon con
un decreto, subito dopo la condanna del tribunale, è rafforzata dal
convincimento che la strage di piazza Fontana era opera di
ordinovisti collegati agli apparati di sicurezza. Ma ancor’oggi
questa ipotesi ha avuto riscontro giudiziario soltanto per la strage di Brescia: solo recentemente, infatti, sono stati condannati definitivamente all'ergastolo il leader veneto degli ordinovisti rientrati nel Msi, Carlo M. Maggi, e un infiltrato dei servizi segreti, Maurizio Tramonte. Del resto proprio gli
apparati del Viminale giocavano un ruolo centrale nella costruzione
delle strutture miste civili-militari.
Il
6 giugno 1973 inizia a Roma il processo. Tra i 42 imputati alla
sbarra alcuni non hanno mai aderito al Movimento
politico, altri sono
rientrati nel Msi, i “puteolani” sono stati protagonisti di una
grottesca scissione, altri, infine, hanno abiurato. I militanti del
Mpon, invece, confermeranno la loro adesione con un gesto simbolico
forte, che anticipa, senza l’esasperata ritualità violenta, la
successiva tattica delle Brigate
rosse, il processo
guerriglia. Non si difenderanno in un “processo alle idee”.
Graziani, nell'autodifesa collettiva, si rivolge con orgoglio ai giudici:
il
sistema vi chiede di soffocare delle idee con l’ uso delle manette,
ma Voi ben sapete che le idee non si distruggono con la persecuzione.
L’unico
abilitato a parlare è il capo. Nell’ultimo discorso pubblico come
leader del Mpon, Graziani enfatizza la discontinuità con il fascismo. La sua successiva
elaborazione, che si svilupperà intorno all’idea del “partito
aristocratico” e alle intuizioni jungheriane, confermerà che non
si trattava solo di una esigenza difensiva:
Alcuni
dei valori espressi dal fascismo […
] si dissolsero come nebbia al
sole, una volta sottoposti ad una critica che faceva propri i
principi di una visione del mondo aristocratico e tradizionale. Così
il nazionalismo, il culto naturalistico della patria risultarono dei
non valori: la nostra patria è là dove si combatte per l’ Idea!
Al concetto di Stato totalitario fu sovrapposto il concetto di Stato
Organico; all’ esigenza del capo […
] fu contrapposta l’
esigenza dell’ élite Rivoluzionaria.
Il
processo si conclude con 30 condanne a pene variabili da 5 anni e 3
mesi a 6 mesi di reclusione. Il gruppo è sciolto per decreto (si saprà 25 anni dopo per decisione di Taviani e con il parere contrario di Aldo Moro) e i
tentativi di ridare vita a un’aggregazione rigorosamente
tradizionalista saranno repressi sistematicamente, con due successivi
maxiprocessi, il primo con 119 imputati per la sola ricostruzione del
partito fascista, il secondo con circa 150, tra cui numerosi accusati
di crimini “comuni”, variamente e vagamente connessi con le
attività dei militanti impegnati nella rifondazione ordinovista.
Eppure nonostante la breve vita e l’esito drammatico (Graziani e
altri leader, ricercati per attività terroristiche da cui saranno
prosciolti molti anni dopo, non rimetteranno più piede in Italia e
morranno in esilio) il Mpon resterà nell’immaginario collettivo
delle successive generazioni della destra radicale come riferimento
mitologico.
FONTE: Ugo Maria Tassinari, Naufraghi, Immaginapoli, 2007. Testo aggiornato in base ai successivi esiti processuali
FONTE: Ugo Maria Tassinari, Naufraghi, Immaginapoli, 2007. Testo aggiornato in base ai successivi esiti processuali
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