Il professor Elso Serpentini racconta la storia della resistenza teramana
(G.p)Il professor Elso Simone Serpentini pubblicherà tra il Novembre e il Dicembre 2017 con Artemia Nova Editrice, una ricca descrizione degli avvenimenti bellici o legati alla cosiddetta ‘resistenza’ che dal 1943 fino al dopoguerra, hanno riguardato la zona settentrionale dell’Abruzzo. Un’opera, questa di “Teramo e il teramano negli anni della guerra civile” che appena annunciata, ha già destato diffuse curiosità non solo in ambito locale.
In esclusiva per i lettori di fascinazione l'avvocato Pietro Ferrari, autore di Fascismi, analisi, storie e visioni, intervista il professore Serpentini
1) Lei ha avuto un passato da dirigente del MSI e da professore di storia. Come ha vissuto il suo ruolo di militante nella sua città e il suo dovere di formazione verso i liceali, nell’epoca del pensiero unico e di libri di testo scolastici pieni di omissioni, negazionismi di Stato come quello sulla tragedia delle foibe e caricature di ciò che avvenne in quegli anni?
Da dirigente del MSI ho vissuto l’esperienza comune a quanti hanno militato in un partito considerato al di fuori dell’arco costituzionale e, pur sedendo sui banchi del consiglio comunale, ero considerato politicamente poco meno che un reietto. Ho preso parte ad infuocate campagne elettorali, sono stato più volte candidato a vari livelli, ho fatto centinaia di comizi e alla fine son dovuto uscire dal partito per divergenze profonde con la dirigenza regionale e facendo in tempo ad abbandonare quell’area politica prima del tradimento di Fiuggi e delle vergogne seguite dopo. Da professore di storia di liceo ho, ovviamente, risentito dell’ambivalenza del ruolo, dovendo oscillare tra quello dell’educatore e quello del comunicatore di regime, cioè obbligato per legge a trasmettere la vulgata storica autoreferenziale e autotrionfante, contravvenendo alla quale sarei stato passibile di esemplari provvedimenti legislativi ed amministrativi. Ho risolto il problema con un atto di disobbedienza civile che però era perfettamente in linea con il principio della libertà d’insegnamento. Nel mio programma di storia non ho mai incluso né la seconda guerra mondiale né la guerra civile.
2) In ogni conflitto bellico spesso si realizza il brocardo in cauda venenum per cui, quando ormai gli esiti sono certi, i protagonisti sono spinti a singolari efferatezze e insorgono dinamiche in cui farabutti ed eroi si confondono. Nell’area geografica che lei ha ben scrutato nel suo libro di imminente uscita, ossìa la provincia di Teramo, possiamo rilevare una storia simile a quella di tante altre provincie italiane o vi fu anche qualcosa di peculiare?
Teramo e il teramano hanno visto il verificarsi delle stesse vicende che si sono avute nelle altre regioni e una certa differenziazione tra le diverse aree geografiche della penisola si può fare in base alla geolocalizzazione, sud, centro, nord, e ai tempi nei quali si registrava l’avanzata degli anglo-americani e la ritirata delle truppe germaniche. E’ indubbio che nel nord si registrarono episodi di particolare crudezza, anche a causa di una estrema politicizzazione delle popolazioni, ma anche perché la tragedia della guerra civile stava giungendo al culmine. Sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo gli episodi di particolare drammaticità che si verificarono nel teramano rientrato in quella che, purtroppo, deve essere considerata “la norma”. Così come credo rientrino nella norma i tentativi, assai numerosi, alcuni riusciti altri no, di accreditarsi meriti partigiani da parte di autentici criminali e delinquenti comuni, a scusante o esimente dei propri crimini.
3) Per diversi decenni nel dopoguerra, vi è stata una damnatio memoriae nei confronti di quelle esperienze umane che la storiografìa ufficiale ha definito come collocate “dalla parte sbagliata” e di quella storia dei vinti o vista dalla parte di chi venne sconfitto dalle armi. Se un tempo vi furono pochi storici d’area a dare dignità ai fascisti della guerra civile o ai partigiani uccisi dai comunisti, ultimamente anche da sinistra con l’impegno di Giampaolo Pansa è iniziata una doverosa revisione di quelle vulgate resistenziali, preconfezionate e stantìe, ormai insostenibili. La sua opera in quale modo vuole porsi nel dibattito storico, cosa intende riequilibrare e quali lacune ha cercato di riempire?
E’ vero che ultimamente anche storici o scrittori di sinistra hanno iniziato a leggere i tragici avvenimenti della guerra civile italiana in modo diverso, riscrivendo la storia già scritta dai vincitori, quelli che ritenevano di stare dalla parte giusta. E’ vero che molti hanno preso a considerare storicamente in modo diverso le ragioni storiche della “parte sbagliata”. Ma è anche vero che costoro sono considerati ancora come traditori e si usa per loro come un marchio di infamia il termine, di per sé neutro o addirittura positivo, di “revisionista”. Per quanti già da tempo coraggiosamente proponevano analisi storiche di segno contrario alla vulgata di regime si è aperta così una più ampia libertà di ricerca e di esposizione dei risultati delle loro ricerche. Il mio libro non si propone alcun riequilibrio storiografico, anche perché non si presenta come una rilettura storiografica, ma solo come una cronistoria in cui tutto ciò che è documentabile, di qualsiasi segno, non viene più omesso omertosamente come è avvenuto in passato. E’ uno strumento che metto a disposizione degli storici e degli storiografi se vorranno provare a dare dei fatti esposti nella loro successione, quasi giorno per giorno, una lettura diversa da quella data finora.
4) Cosa è stato soprattutto a spingerla ad affrontare questo lavoro, quali speranze ha avuto modo di avvertire come fondate attorno a questo impegno e quali situazioni invece le hanno causato amarezze?
Mi ha spinto a fare questo lavoro di ricerca la certezza che su taluni fatti era stata fatta sparire ad arte la documentazione archivistica, che su altri era stato omertosamente steso un velo di copertura badando a che non fosse disvelato ciò che nascondeva, che altri erano stati occultati ed omessi perché non in linea o in contrasto con la versione storica ufficiale di regime, ideologizzata dall’antifascismo imperante. La mia costanza nel ricercare ciò che non trovavo ha avuto fortuna, perché molti documenti sono riapparsi, non pochi sfuggiti all’occultamento perché conservati in archivi nei quali non si era pensato che fossero o nei quali non era stato possibile distruggerli, e nel libro sono meticolosamente riportati, nella loro drammatica successione, con un distacco emotivo che ho preso come principio fondamentale per fare del mio libro non un libro di parte o di contro-parte, ma un testo scientifico. Poi, si sa, la verità storica è di per sé “rivoluzionaria”.
In esclusiva per i lettori di fascinazione l'avvocato Pietro Ferrari, autore di Fascismi, analisi, storie e visioni, intervista il professore Serpentini
1) Lei ha avuto un passato da dirigente del MSI e da professore di storia. Come ha vissuto il suo ruolo di militante nella sua città e il suo dovere di formazione verso i liceali, nell’epoca del pensiero unico e di libri di testo scolastici pieni di omissioni, negazionismi di Stato come quello sulla tragedia delle foibe e caricature di ciò che avvenne in quegli anni?
Da dirigente del MSI ho vissuto l’esperienza comune a quanti hanno militato in un partito considerato al di fuori dell’arco costituzionale e, pur sedendo sui banchi del consiglio comunale, ero considerato politicamente poco meno che un reietto. Ho preso parte ad infuocate campagne elettorali, sono stato più volte candidato a vari livelli, ho fatto centinaia di comizi e alla fine son dovuto uscire dal partito per divergenze profonde con la dirigenza regionale e facendo in tempo ad abbandonare quell’area politica prima del tradimento di Fiuggi e delle vergogne seguite dopo. Da professore di storia di liceo ho, ovviamente, risentito dell’ambivalenza del ruolo, dovendo oscillare tra quello dell’educatore e quello del comunicatore di regime, cioè obbligato per legge a trasmettere la vulgata storica autoreferenziale e autotrionfante, contravvenendo alla quale sarei stato passibile di esemplari provvedimenti legislativi ed amministrativi. Ho risolto il problema con un atto di disobbedienza civile che però era perfettamente in linea con il principio della libertà d’insegnamento. Nel mio programma di storia non ho mai incluso né la seconda guerra mondiale né la guerra civile.
2) In ogni conflitto bellico spesso si realizza il brocardo in cauda venenum per cui, quando ormai gli esiti sono certi, i protagonisti sono spinti a singolari efferatezze e insorgono dinamiche in cui farabutti ed eroi si confondono. Nell’area geografica che lei ha ben scrutato nel suo libro di imminente uscita, ossìa la provincia di Teramo, possiamo rilevare una storia simile a quella di tante altre provincie italiane o vi fu anche qualcosa di peculiare?
Teramo e il teramano hanno visto il verificarsi delle stesse vicende che si sono avute nelle altre regioni e una certa differenziazione tra le diverse aree geografiche della penisola si può fare in base alla geolocalizzazione, sud, centro, nord, e ai tempi nei quali si registrava l’avanzata degli anglo-americani e la ritirata delle truppe germaniche. E’ indubbio che nel nord si registrarono episodi di particolare crudezza, anche a causa di una estrema politicizzazione delle popolazioni, ma anche perché la tragedia della guerra civile stava giungendo al culmine. Sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo gli episodi di particolare drammaticità che si verificarono nel teramano rientrato in quella che, purtroppo, deve essere considerata “la norma”. Così come credo rientrino nella norma i tentativi, assai numerosi, alcuni riusciti altri no, di accreditarsi meriti partigiani da parte di autentici criminali e delinquenti comuni, a scusante o esimente dei propri crimini.
3) Per diversi decenni nel dopoguerra, vi è stata una damnatio memoriae nei confronti di quelle esperienze umane che la storiografìa ufficiale ha definito come collocate “dalla parte sbagliata” e di quella storia dei vinti o vista dalla parte di chi venne sconfitto dalle armi. Se un tempo vi furono pochi storici d’area a dare dignità ai fascisti della guerra civile o ai partigiani uccisi dai comunisti, ultimamente anche da sinistra con l’impegno di Giampaolo Pansa è iniziata una doverosa revisione di quelle vulgate resistenziali, preconfezionate e stantìe, ormai insostenibili. La sua opera in quale modo vuole porsi nel dibattito storico, cosa intende riequilibrare e quali lacune ha cercato di riempire?
E’ vero che ultimamente anche storici o scrittori di sinistra hanno iniziato a leggere i tragici avvenimenti della guerra civile italiana in modo diverso, riscrivendo la storia già scritta dai vincitori, quelli che ritenevano di stare dalla parte giusta. E’ vero che molti hanno preso a considerare storicamente in modo diverso le ragioni storiche della “parte sbagliata”. Ma è anche vero che costoro sono considerati ancora come traditori e si usa per loro come un marchio di infamia il termine, di per sé neutro o addirittura positivo, di “revisionista”. Per quanti già da tempo coraggiosamente proponevano analisi storiche di segno contrario alla vulgata di regime si è aperta così una più ampia libertà di ricerca e di esposizione dei risultati delle loro ricerche. Il mio libro non si propone alcun riequilibrio storiografico, anche perché non si presenta come una rilettura storiografica, ma solo come una cronistoria in cui tutto ciò che è documentabile, di qualsiasi segno, non viene più omesso omertosamente come è avvenuto in passato. E’ uno strumento che metto a disposizione degli storici e degli storiografi se vorranno provare a dare dei fatti esposti nella loro successione, quasi giorno per giorno, una lettura diversa da quella data finora.
4) Cosa è stato soprattutto a spingerla ad affrontare questo lavoro, quali speranze ha avuto modo di avvertire come fondate attorno a questo impegno e quali situazioni invece le hanno causato amarezze?
Mi ha spinto a fare questo lavoro di ricerca la certezza che su taluni fatti era stata fatta sparire ad arte la documentazione archivistica, che su altri era stato omertosamente steso un velo di copertura badando a che non fosse disvelato ciò che nascondeva, che altri erano stati occultati ed omessi perché non in linea o in contrasto con la versione storica ufficiale di regime, ideologizzata dall’antifascismo imperante. La mia costanza nel ricercare ciò che non trovavo ha avuto fortuna, perché molti documenti sono riapparsi, non pochi sfuggiti all’occultamento perché conservati in archivi nei quali non si era pensato che fossero o nei quali non era stato possibile distruggerli, e nel libro sono meticolosamente riportati, nella loro drammatica successione, con un distacco emotivo che ho preso come principio fondamentale per fare del mio libro non un libro di parte o di contro-parte, ma un testo scientifico. Poi, si sa, la verità storica è di per sé “rivoluzionaria”.
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