L'ombra di Fini sul tesoro di An
Si rinnova il consiglio di amministrazione della Fondazione Alleanza Nazionale,che gestisce il patrimonio del principale partito della destra italiana. Salta il patto per la maggioranza alla Meloni per cui tornano in gioco Gianni Alemanno e il redivivo Gianfranco Fini come ci racconta con un interessante articolo il collega Antonio Rapisarda dalle colonne de Il Tempo, storico quotidiano romano.
Liti e colpi bassi sul tesoro di An all'ombra del solito Fini. Se è una pratica saggia quella che vuole che i panni sporchi si lavino tra le mura domestiche, nel caso degli ex An è proprio ciò che è rimasto della “casa comune” - la Fondazione Alleanza nazionale - che continua a essere luogo della discordia. Gia, nel momento in cui in Sicilia, a sostegno di Nello Musumeci, si è ricomposta la cordata che include tutti i soggetti della diaspora (da Gasparri agli ex finiani, da Meloni ad Alemanno e Storace), oggi è intorno a ciò che rimane del partito, erede dell'ingente patrimonio politico ed economico del Msi, che si continua a celebrare quello che i maligni chiamano «l'eterno congresso di An».
Una prova? L'ennesima? È ciò che avverrà stamane con la nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione della Fondazione An (sulla quale tanti ex militanti hanno espresso critiche per il nulla prodotto dalla gestione del patrimonio) che sostituirà il Cda con cui – ai tempi dello scioglimento nel 2009 – si fermò in un certo senso il tempo: perché composto dalle componenti che “cristallizzavano” i delicati equilibri dell'allora An. Un'era fa, appunto. Oggi è tutto mutato – gli aennini compongono almeno tre partiti diversi, il leader di sempre, Gianfranco Fini, si è schiantato tra fallimenti politici e il macigno dell'inchiesta sulla casa di Montecarlo ed esiste un partito, FdI, a cui è stato assegnato il simbolo di An – e, a maggior ragione dopo la vittoria nella famosa assemblea dell'Hotel Midas di due anni fa da parte della cordata Meloni-Gasparri sulla cosiddetta “mozione dei quarantenni” di Alemanno e dei finiani, anche il vecchio organigramma necessitava di un aggiornamento. A partire dallo stesso Cda che avrebbe dovuto essere rieletto in modo tale da ridefinire gli organi e le ragioni della Fondazione in base alla mozione presentata da Fratelli d'Italia. Proprio nel momento in cui – dopo ben due anni dal mandato “immediato” ricevuto dall'assemblea – la Fondazione intende riformulare la formazione in campo con forze fresche ecco che riaffiorano puntuali vecchie ruggini e i veleni di sempre.
Il motivo? Procedurale, prima di tutto. Da statuto, infatti, il Cda non viene eletto dai soci ma dal cosiddetto “Comitato dei 100”: organismo, questo, nominato dallo stesso Cda dimissionario. Il pallino, dunque, resta praticamente in mano agli stessi ex colonnelli. E se durante l'estate – come ha appreso Il Tempo – sembrava essere stata raggiunta una mediazione sul Cda allargato (da sedici a ventuno componenti) che riconosceva a FdI un ruolo principale (undici componenti di cui uno “di garanzia”, non di area) in una sorta di cogestione con agli altri due partiti (cinque componenti ad Alemanno ed ex finiani, cinque agli ex An in Forza Italia, Gasparri e Matteoli); e sempre FdI aveva proposto come nuovo presidente della Fondazione Peppino Valentino - avvocato, figura nobile, amica di tutte le componenti -, a pochi giorni dal traguardo questa intesa sembra essere saltata.
Il risultato? L'ennesima spaccatura. E anche il possibile ribaltamento degli equilibri emersi dall'assemblea del Midas. Oggi, infatti, si presentano due liste per il rinnovo del Cda: da una parte quella di FdI, dall'altra i redivivi finiani - capitanati da Roberto Menia – assieme al gruppo di Alemanno. E, a meno di colpi di scena, su questi ultimi dovrebbero convergere anche gli ex An oggi in Fi, Gasparri e Matteoli. Proprio qui sta la novità: rispetto all'ultima votazione - quando la mozione dei quarantenni fu sconfitta - stavolta gli ex nemici gasparriani confluirebbero nella stessa lista di Alemanno, spostando l'asticella del Cda nei confronti degli ex An che non stanno in FdI. Secondo i bene informati la partita potrebbe finire 11-10 o 12-9 per Alemanno, i finiani e Gasparri, segnando sì una vittoria nei confronti di Meloni & co. ma con un fronte già diviso al suo interno (per un ruolo politico attivo della Fondazione è da sempre Alemanno, per una fondazione tecnico-scientifica Gasparri) che potrebbe tradursi in quell'attività “limitata” - come denunciato da tanti - che ha contraddistinto i primi anni dell'ente.
Le responsabilità? Le versioni qui divergono. Secondo quanto appreso da Il Tempo da una fonte vicina alla cordata finiana, la rottura sarebbe nata dalla volontà di FdI di avere un Cda (e un nuovo segretario generale) che rispecchiasse la realtà dell'unico partito di destra che c'è, secondo loro. Diversa, invece, la versione che emerge tra i corridoi di FdI, dove il cambio di verso degli ex An di Forza Italia sarebbe da leggere come il tentativo alla vigilia delle elezioni di limitare il partito di Meloni: operazione per frenare la crescita di Giorgia ed evitare, assieme a questo, un eccessivo protagonismo della Fondazione. E sempre in Fratelli d'Italia, poi, in diversi avrebbero sconsigliato alla leader di essere “corresponsabile” di una cogestione di fatto di una Fondazione congestionata dagli equilibrismi.
Giochi fatti allora? «Bisogna vedere – assicurano significativamente in coro le fonti -, queste cose si decidono nelle ultime ore, tra stasera, domattina...». Di certo vi è che, nonostante sia sotto indagine e sotto il rischio di rinvio a giudizio, l'onta dell'affaire Montecarlo che ha disgustato e disorientato la comunità missina e il suo ruolo attivo nel boicottaggio del governo Berlusconi, si prospetta l'ennesima rentrée di Fini, tramite la sua quota che permane nel Comitato, seppure politicamente evaporato. E se la Fondazione, nonostante tutto questo, non ha ancora stigmatizzato il comportamento dell'ex leader di An, come reagirà la base missina all'ombra di Gianfry che si allunga sinistramente sul patrimonio del vecchio Msi
Liti e colpi bassi sul tesoro di An all'ombra del solito Fini. Se è una pratica saggia quella che vuole che i panni sporchi si lavino tra le mura domestiche, nel caso degli ex An è proprio ciò che è rimasto della “casa comune” - la Fondazione Alleanza nazionale - che continua a essere luogo della discordia. Gia, nel momento in cui in Sicilia, a sostegno di Nello Musumeci, si è ricomposta la cordata che include tutti i soggetti della diaspora (da Gasparri agli ex finiani, da Meloni ad Alemanno e Storace), oggi è intorno a ciò che rimane del partito, erede dell'ingente patrimonio politico ed economico del Msi, che si continua a celebrare quello che i maligni chiamano «l'eterno congresso di An».
Una prova? L'ennesima? È ciò che avverrà stamane con la nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione della Fondazione An (sulla quale tanti ex militanti hanno espresso critiche per il nulla prodotto dalla gestione del patrimonio) che sostituirà il Cda con cui – ai tempi dello scioglimento nel 2009 – si fermò in un certo senso il tempo: perché composto dalle componenti che “cristallizzavano” i delicati equilibri dell'allora An. Un'era fa, appunto. Oggi è tutto mutato – gli aennini compongono almeno tre partiti diversi, il leader di sempre, Gianfranco Fini, si è schiantato tra fallimenti politici e il macigno dell'inchiesta sulla casa di Montecarlo ed esiste un partito, FdI, a cui è stato assegnato il simbolo di An – e, a maggior ragione dopo la vittoria nella famosa assemblea dell'Hotel Midas di due anni fa da parte della cordata Meloni-Gasparri sulla cosiddetta “mozione dei quarantenni” di Alemanno e dei finiani, anche il vecchio organigramma necessitava di un aggiornamento. A partire dallo stesso Cda che avrebbe dovuto essere rieletto in modo tale da ridefinire gli organi e le ragioni della Fondazione in base alla mozione presentata da Fratelli d'Italia. Proprio nel momento in cui – dopo ben due anni dal mandato “immediato” ricevuto dall'assemblea – la Fondazione intende riformulare la formazione in campo con forze fresche ecco che riaffiorano puntuali vecchie ruggini e i veleni di sempre.
Il motivo? Procedurale, prima di tutto. Da statuto, infatti, il Cda non viene eletto dai soci ma dal cosiddetto “Comitato dei 100”: organismo, questo, nominato dallo stesso Cda dimissionario. Il pallino, dunque, resta praticamente in mano agli stessi ex colonnelli. E se durante l'estate – come ha appreso Il Tempo – sembrava essere stata raggiunta una mediazione sul Cda allargato (da sedici a ventuno componenti) che riconosceva a FdI un ruolo principale (undici componenti di cui uno “di garanzia”, non di area) in una sorta di cogestione con agli altri due partiti (cinque componenti ad Alemanno ed ex finiani, cinque agli ex An in Forza Italia, Gasparri e Matteoli); e sempre FdI aveva proposto come nuovo presidente della Fondazione Peppino Valentino - avvocato, figura nobile, amica di tutte le componenti -, a pochi giorni dal traguardo questa intesa sembra essere saltata.
Il risultato? L'ennesima spaccatura. E anche il possibile ribaltamento degli equilibri emersi dall'assemblea del Midas. Oggi, infatti, si presentano due liste per il rinnovo del Cda: da una parte quella di FdI, dall'altra i redivivi finiani - capitanati da Roberto Menia – assieme al gruppo di Alemanno. E, a meno di colpi di scena, su questi ultimi dovrebbero convergere anche gli ex An oggi in Fi, Gasparri e Matteoli. Proprio qui sta la novità: rispetto all'ultima votazione - quando la mozione dei quarantenni fu sconfitta - stavolta gli ex nemici gasparriani confluirebbero nella stessa lista di Alemanno, spostando l'asticella del Cda nei confronti degli ex An che non stanno in FdI. Secondo i bene informati la partita potrebbe finire 11-10 o 12-9 per Alemanno, i finiani e Gasparri, segnando sì una vittoria nei confronti di Meloni & co. ma con un fronte già diviso al suo interno (per un ruolo politico attivo della Fondazione è da sempre Alemanno, per una fondazione tecnico-scientifica Gasparri) che potrebbe tradursi in quell'attività “limitata” - come denunciato da tanti - che ha contraddistinto i primi anni dell'ente.
Le responsabilità? Le versioni qui divergono. Secondo quanto appreso da Il Tempo da una fonte vicina alla cordata finiana, la rottura sarebbe nata dalla volontà di FdI di avere un Cda (e un nuovo segretario generale) che rispecchiasse la realtà dell'unico partito di destra che c'è, secondo loro. Diversa, invece, la versione che emerge tra i corridoi di FdI, dove il cambio di verso degli ex An di Forza Italia sarebbe da leggere come il tentativo alla vigilia delle elezioni di limitare il partito di Meloni: operazione per frenare la crescita di Giorgia ed evitare, assieme a questo, un eccessivo protagonismo della Fondazione. E sempre in Fratelli d'Italia, poi, in diversi avrebbero sconsigliato alla leader di essere “corresponsabile” di una cogestione di fatto di una Fondazione congestionata dagli equilibrismi.
Giochi fatti allora? «Bisogna vedere – assicurano significativamente in coro le fonti -, queste cose si decidono nelle ultime ore, tra stasera, domattina...». Di certo vi è che, nonostante sia sotto indagine e sotto il rischio di rinvio a giudizio, l'onta dell'affaire Montecarlo che ha disgustato e disorientato la comunità missina e il suo ruolo attivo nel boicottaggio del governo Berlusconi, si prospetta l'ennesima rentrée di Fini, tramite la sua quota che permane nel Comitato, seppure politicamente evaporato. E se la Fondazione, nonostante tutto questo, non ha ancora stigmatizzato il comportamento dell'ex leader di An, come reagirà la base missina all'ombra di Gianfry che si allunga sinistramente sul patrimonio del vecchio Msi
La base missina?alcuni dei sopravissuti si sono appereconati per propi interessi personali dietro le varie correnti,...pertanto questi ignobili personaggi possono continuare a fare quello che hanno sempre fatto....il nulla, che a volte e peggio di rubare ingannare etc.e uno schifo che si perpetua.
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