Alain De Benoist: lo ius soli è una calamita per le ondate migratorie E non aiuta a integrarsi"
(G.p) Il collega Sebastiano Caputo dalle colonne de Il Giornale, storico quotidiano milanese, intervista il filosofo e fondatore della nuova destra francese Alain De Benoist sullo ius soli
Alain De Benoist, in Italia è in corso un dibattito accesso sullo ius soli, si è fatto un'idea?«Il dibattito sullo ius soli ha un senso solo nei periodi di grande movimento migratorio come questo e va affrontato con la massima intelligenza. Una legge troppo permissiva rischia di accelerare questo processo e fare da calamita».
Quelli che contestano questa legge utilizzano l'espressione grande sostituzione.
«Renaud Camus, scrittore francese, è stato il primo ad utilizzare questa espressione. Non alludeva specificatamente allo ius soli ma all'immigrazione in generale. Sosteneva che nei Paesi occidentali era in corso una sostituzione dei popoli con un altro venuto da fuori. In Francia e all'estero questa teoria choc ha avuto grande successo. Personalmente non la ritengo esatta. Non contesto le intenzioni ma come viene formulata: non c'è nessuna sostituzione in corso bensì una modificazione demografica dovuta all'arrivo di nuove popolazioni. Siamo di fronte ad una grande trasformazione».
Dall'altro lato, i sostenitori dello ius soli, politici e intellettuali, lo definiscono un atto di civiltà.
«Non vedo questa riforma come un progresso ma come un regresso. Nulla è ineluttabile, e poi non sempre i diretti interessati hanno la voglia di cambiare nazionalità, molti migranti vogliono conservare la propria cultura e le proprie radici, vedi in Francia, alcuni non si sentono francesi nonostante gli sia stata data la nazionalità. La retorica umanitaria è una moda, è un catechismo morale, è una vera e propria ideologia del Bene che andrebbe rimessa in discussione. Domandiamoci piuttosto se l'immigrazione è un processo giusto o sbagliato. Quelli che gioiscono di questo fenomeno in realtà disprezzano il loro popolo e vogliono modificarlo. Come se poi i migranti fossero felici di dover lasciare il loro Paese di origine. Io considero l'immigrazione una forma di sradicamento: è innanzitutto un dramma individuale e familiare. Queste persone non emigrano per piacere o per turismo ma perché fuggono dalla guerra o dalla miseria, di conseguenza affrontare la tematica dell'immigrazione come un fatto naturale vuole dire strumentalizzare i loro sentimenti».
E poi molti dei terroristi che hanno colpito la Francia negli ultimi anni hanno ottenuto nazionalità francese proprio grazie alla legislazione nazionale.
«Non tutti i migranti sono dei terroristi, ma la maggior parte degli attentatori avevano la nazionalità francese e l'hanno ottenuta grazie allo ius soli francese. Questo dimostra che non è sufficiente ottenere lo status di cittadino per sentirsi membro di una comunità, di un popolo o di un Paese. Per cui è necessario pensare prima a quale modello di integrazione o di assimilazione adottare se no si rischia come in Francia di etnicizzare i rapporti sociali. Da un lato si dice che le etnie non esistono, che siamo tutti uguali, ma poi regna il comunitarismo e la giustizia considera le minoranze dei soggetti a sé».
Legge fortemente criticata dal filosofo francese.
Intervista che riportiamo per intero.
Alain De Benoist, in Italia è in corso un dibattito accesso sullo ius soli, si è fatto un'idea?«Il dibattito sullo ius soli ha un senso solo nei periodi di grande movimento migratorio come questo e va affrontato con la massima intelligenza. Una legge troppo permissiva rischia di accelerare questo processo e fare da calamita».
Quelli che contestano questa legge utilizzano l'espressione grande sostituzione.
«Renaud Camus, scrittore francese, è stato il primo ad utilizzare questa espressione. Non alludeva specificatamente allo ius soli ma all'immigrazione in generale. Sosteneva che nei Paesi occidentali era in corso una sostituzione dei popoli con un altro venuto da fuori. In Francia e all'estero questa teoria choc ha avuto grande successo. Personalmente non la ritengo esatta. Non contesto le intenzioni ma come viene formulata: non c'è nessuna sostituzione in corso bensì una modificazione demografica dovuta all'arrivo di nuove popolazioni. Siamo di fronte ad una grande trasformazione».
Dall'altro lato, i sostenitori dello ius soli, politici e intellettuali, lo definiscono un atto di civiltà.
«Non vedo questa riforma come un progresso ma come un regresso. Nulla è ineluttabile, e poi non sempre i diretti interessati hanno la voglia di cambiare nazionalità, molti migranti vogliono conservare la propria cultura e le proprie radici, vedi in Francia, alcuni non si sentono francesi nonostante gli sia stata data la nazionalità. La retorica umanitaria è una moda, è un catechismo morale, è una vera e propria ideologia del Bene che andrebbe rimessa in discussione. Domandiamoci piuttosto se l'immigrazione è un processo giusto o sbagliato. Quelli che gioiscono di questo fenomeno in realtà disprezzano il loro popolo e vogliono modificarlo. Come se poi i migranti fossero felici di dover lasciare il loro Paese di origine. Io considero l'immigrazione una forma di sradicamento: è innanzitutto un dramma individuale e familiare. Queste persone non emigrano per piacere o per turismo ma perché fuggono dalla guerra o dalla miseria, di conseguenza affrontare la tematica dell'immigrazione come un fatto naturale vuole dire strumentalizzare i loro sentimenti».
E poi molti dei terroristi che hanno colpito la Francia negli ultimi anni hanno ottenuto nazionalità francese proprio grazie alla legislazione nazionale.
«Non tutti i migranti sono dei terroristi, ma la maggior parte degli attentatori avevano la nazionalità francese e l'hanno ottenuta grazie allo ius soli francese. Questo dimostra che non è sufficiente ottenere lo status di cittadino per sentirsi membro di una comunità, di un popolo o di un Paese. Per cui è necessario pensare prima a quale modello di integrazione o di assimilazione adottare se no si rischia come in Francia di etnicizzare i rapporti sociali. Da un lato si dice che le etnie non esistono, che siamo tutti uguali, ma poi regna il comunitarismo e la giustizia considera le minoranze dei soggetti a sé».
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