A 40 anni dai Campi Hobbit
(G.p)L'ex sindaco di Roma, ora segretario del Movimento nazionale per la sovranità, Gianni Alemanno è stato uno dei protagonisti del quarantennale di Campo Hobbit che si è svolto da venerdì 23 a domenica 25 giugno in quel di Montesarchio, in provincia di Benevento.
Dalle colonne virtuali de Il Giornale d'Italia, diretto da Francesco Storace, Gianni Alemanno sostiene l'idea forza in virtù della quale spetta al sovranismo raccogliere l'eredità di quelle istanze comunitarie ed indentitarie figlie del primo Campo Hobbit.
Articolo che riportiamo per intero.
A quaranta anni dai Campi Hobbit
di Gianni Alemanno
In questo fine settimana si è svolta la celebrazione del 40mo anniversario dei Campi Hobbit, sotto la spinta entusiasta della figlia di Generoso Simeone, il primo ideatore di quella meravigliosa esperienza. Alla fine degli anni ‘70 i Campi Hobbit hanno rappresentato un ritorno alle radici più autentiche del pensiero comunitario e contemporaneamente un coraggioso approccio con la modernità, con i suoi stili di comunicazione e con le sue contraddizioni creative.
Senza i Campi Hobbit non ci sarebbe stata la musica alternativa, la passione per Tolkien, una grafica innovativa, la voglia di dialogare con il mondo esterno a noi. Questa esperienza ha rappresentato la prima rottura del ghetto in cui eravamo rinchiusi dal dopoguerra in poi: proprio nel momento drammatico degli anni di piombo, quelle generazioni giovanili avevano avuto il coraggio e la creatività di inventare mille modi per scrollarsi di dosso i vecchi stereotipi del radicalismo di destra.
Questi esperimenti furono guardati con sospetto dalla dirigenza del Movimento Sociale italiano, che ne vedeva da un lato una fonte di eresia ideologica e dall’altro lato uno strumento egemonico delle correnti di opposizione. Solo nel secondo Campo Hobbit il Fronte della Gioventù partecipò ufficialmente all’organizzazione, mentre il primo e il terzo Campo, furono tutti vissuti in aperta polemica con la dirigenza ufficiale del partito.
Cosa è rimasto di quella rivoluzione ideale? Il mito della Comunità. I Campi Hobbit erano proprio una grande rappresentazione vivente degli stili comunitari, dal punto di vista culturale come da quello esistenziale. Fino a quel momento i nostri movimenti giovanili avevano vissuto nel mito dell’alternativa al Sistema e dell’antagonismo da cui doveva emergere il protagonismo militante. Poi, con quella rivoluzione ideale imparammo che, prima ancora di lottare contro il Sistema, era indispensabile vivere in maniera diversa la propria esistenza, per non essere noi stessi figli di quel Sistema.
Sta oggi al “sovranismo” raccogliere l’eredità di quelle istanze comunitarie e identitarie emerse nei Campi Hobbit, unendole alla nuova consapevolezza di dover reagire ai mali della Globalizzazione restituendo al nostro popolo il diritto alla cittadinanza e alla partecipazione democratica.
Se ci si rende conto che questa è una sfida epocale tra i diritti dei popoli e gli interessi dei poteri globali, si comprende quanto è ridicolo trascinarsi ancora appresso gli antichi vizi del settarismo e degli interessi personali che hanno sempre segnato l’area della Destra. Nel ricordo dei Campi Hobbit, come in quello delle drammatiche lotte degli anni di piombo, c’è un messaggio più profondo di quello culturale e politico. Una promessa esistenziale: quella che da tanti sacrifici, da tanto impegno militante e da tanta creatività possa alla fine spuntare il fiore di una grande rivoluzione che parta da destra. Forse il tempo per mantenere questa promessa è proprio questo, quando la sfida tra globalismo e sovranismo dà una centralità assoluta alle culture identitarie e comunitarie che – come imparammo nei Campi Hobbit – sono la vera essenza della Destra politica e sociale.
Dalle colonne virtuali de Il Giornale d'Italia, diretto da Francesco Storace, Gianni Alemanno sostiene l'idea forza in virtù della quale spetta al sovranismo raccogliere l'eredità di quelle istanze comunitarie ed indentitarie figlie del primo Campo Hobbit.
Articolo che riportiamo per intero.
A quaranta anni dai Campi Hobbit
di Gianni Alemanno
In questo fine settimana si è svolta la celebrazione del 40mo anniversario dei Campi Hobbit, sotto la spinta entusiasta della figlia di Generoso Simeone, il primo ideatore di quella meravigliosa esperienza. Alla fine degli anni ‘70 i Campi Hobbit hanno rappresentato un ritorno alle radici più autentiche del pensiero comunitario e contemporaneamente un coraggioso approccio con la modernità, con i suoi stili di comunicazione e con le sue contraddizioni creative.
Senza i Campi Hobbit non ci sarebbe stata la musica alternativa, la passione per Tolkien, una grafica innovativa, la voglia di dialogare con il mondo esterno a noi. Questa esperienza ha rappresentato la prima rottura del ghetto in cui eravamo rinchiusi dal dopoguerra in poi: proprio nel momento drammatico degli anni di piombo, quelle generazioni giovanili avevano avuto il coraggio e la creatività di inventare mille modi per scrollarsi di dosso i vecchi stereotipi del radicalismo di destra.
Questi esperimenti furono guardati con sospetto dalla dirigenza del Movimento Sociale italiano, che ne vedeva da un lato una fonte di eresia ideologica e dall’altro lato uno strumento egemonico delle correnti di opposizione. Solo nel secondo Campo Hobbit il Fronte della Gioventù partecipò ufficialmente all’organizzazione, mentre il primo e il terzo Campo, furono tutti vissuti in aperta polemica con la dirigenza ufficiale del partito.
Cosa è rimasto di quella rivoluzione ideale? Il mito della Comunità. I Campi Hobbit erano proprio una grande rappresentazione vivente degli stili comunitari, dal punto di vista culturale come da quello esistenziale. Fino a quel momento i nostri movimenti giovanili avevano vissuto nel mito dell’alternativa al Sistema e dell’antagonismo da cui doveva emergere il protagonismo militante. Poi, con quella rivoluzione ideale imparammo che, prima ancora di lottare contro il Sistema, era indispensabile vivere in maniera diversa la propria esistenza, per non essere noi stessi figli di quel Sistema.
Sta oggi al “sovranismo” raccogliere l’eredità di quelle istanze comunitarie e identitarie emerse nei Campi Hobbit, unendole alla nuova consapevolezza di dover reagire ai mali della Globalizzazione restituendo al nostro popolo il diritto alla cittadinanza e alla partecipazione democratica.
Se ci si rende conto che questa è una sfida epocale tra i diritti dei popoli e gli interessi dei poteri globali, si comprende quanto è ridicolo trascinarsi ancora appresso gli antichi vizi del settarismo e degli interessi personali che hanno sempre segnato l’area della Destra. Nel ricordo dei Campi Hobbit, come in quello delle drammatiche lotte degli anni di piombo, c’è un messaggio più profondo di quello culturale e politico. Una promessa esistenziale: quella che da tanti sacrifici, da tanto impegno militante e da tanta creatività possa alla fine spuntare il fiore di una grande rivoluzione che parta da destra. Forse il tempo per mantenere questa promessa è proprio questo, quando la sfida tra globalismo e sovranismo dà una centralità assoluta alle culture identitarie e comunitarie che – come imparammo nei Campi Hobbit – sono la vera essenza della Destra politica e sociale.
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